NEI TEATRI DI Napoli ai critici dei quotidiani veniva assegnato un posto in settima fila. E forse al teatro hanno pensato gli addetti al cerimoniale della prefettura di Napoli il primo aprile scorso, in occasione dell’arrivo del ministro Lamorgese per la firma della convenzione che istituirà il numero unico di emergenza 112 anche in Campania.
Giornalisti in settima, anzi ottava fila, ‘autorità’ davanti, in poltroncine riservate. Cronisti, fotoreporter e videoperatori si ammassano in fondo al |
clan dell’area Nord in effervescenza, c’è il racket sempre più minaccioso e c’è un presidio di ‘No green pass’ sotto il palazzo, che grida forte contro il ministro e il governo Draghi.
Il numero unico di emergenza (se tutto va bene, lo avremo a fine 2023) interessa poco. Piuttosto si pensa che il ministro – come tutti i suoi predecessori - parli delle emergenze al plurale.
Dopo oltre 40 minuti di attesa, si apre una tenda e spuntano la titolare del Viminale, il presidente della Regione De Luca e il sindaco di Napoli Manfredi. Parla De Luca, poi la parola passa alla Lamorgese: complimenti alla Regione Campania (solo undicesima ad attuare il numero unico), profughi ucraini e accoglienza in Italia. Grazie e arrivederci. Interlocuzione zero.
“E le domande?”, chiede un giornalista a un impettito attaché della Lamorgese. “Non era una conferenza stampa”. Vero, nel comunicato del ministero degli Interni si parlava di firma “alla presenza della stampa”. Ma se la stampa è presente, è per fare il suo lavoro, che comprende domande sull’attualità a un ministro. Se deve soltanto assistere, dal fondo della sala, al modesto spettacolo della firma di una convenzione, basta uno streaming. |