Papere e papaveri
di Josef K. Byte

IL COGNOME

È un fatto di cronaca drammatico, forse senza precedenti: una donna, nipote di un boss della camorra, per impedire il sequestro della propria attività commerciale si dà fuoco dopo aver cosparso il negozio di benzina. Morirà dopo una breve agonia. Accade a Portici, comune di quella fascia vesuviana che, soprattutto a Ercolano, registra un'impennata della violenza criminale: omicidi, sparatorie, marce per la legalità di disperante, coraggiosa inutilità. Il 10 ottobre, il Mattino apre con questa notizia il settore Campania, curato da
Antonino Pane, ma in prima pagina non ce n'è traccia. C'è un titolo sulle ricerche di scienziati francesi e americani ("Contrordine: l'infinito non esiste"), ce n'è un altro su un trentottenne di Serre che parla col papa,
Portici (Napoli). La pizzetteria di Anna Vollaro
con Giovanni XXIII e con Padre Pio ("L'uomo che vede i numeri del Lotto"): tutti argomenti che al direttore Mario Orfeo e al responsabile dei redattori capo Antonello Velardi piacciono molto. Il dramma di Portici viene ignorato.
Più sensibile alla vicenda Repubblica Napoli, che affida la cronaca a Irene De Arcangelis e il commento a Stella Cervasio, che solitamente si occupa di cultura. Il racconto delinea un quadro chiaro. La polizia doveva eseguire su disposizione della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Napoli il sequestro di beni riconducibili al clan Vollaro, sette appartamenti e due attività commerciali. Tra queste, la "pizzetteria" di Anna Vollaro, figlia di Antonio e nipote di Luigi Vollaro, noto nelle cronache della camorra come "'o Califfo".
L'articolo della Cervasio si intitola "Il destino di una donna segnato da un cognome"; l'occhiello è "Anna Vollaro penalizzata senza aver neanche conosciuto lo zio"; il sommario, "La sola a lavorare per tutta la famiglia. Il marito agli arresti domiciliari". È la sintesi precisa del pezzo: in cui sembra che la donna sia stata assassinata


Lucia La Posta, Mario Orfeo e Antonello Velardi

dai killer di un clan rivale, ignari del fatto che la vittima non conosceva lo zio, lavorava, "portava i tre bambini al doposcuola", come si legge nell'articolo. "Di sicuro vite ai margini della legalità, ma lontane
mille miglia dai lussi dei boss"; e in conclusione: "Ma quando la famiglia potente non c'è più, il nome non è nell'elenco di quelli 'di rispetto', resta l'inedita tragedia di Anna, una disperazione solitaria".
Ma allora su quali basi hanno agito i magistrati? Per antipatia, per inerzia, per fascinazione del cognome Vollaro? Per il "peso insostenibile" della famiglia, "una zavorra che tira sul fondo"? O, semplicemente, perché sette appartamenti e due negozi risultavano acquisiti con denaro proveniente da attività illecite? Non è chiaro da dove si ricavi che "la famiglia potente non c'è più" e che "il nome non è nell'elenco di quelli di rispetto": non certo dalle 25 pagine del decreto di sequestro, firmato il 30 settembre dal presidente della sezione Misure di prevenzione Vincenzo Lomonte e dai giudici Paola Faillace e Lucia La Posta. Anzi, il provvedimento nasce da una proposta avanzata il 25 marzo di quest'anno dal questore di Napoli, Franco Malvano, nei confronti di Antonio Vollaro, definito testualmente "capo incontrastato dell'omonimo clan malavitoso attivo nel comune di Portici, che gestisce in maniera preponderante gli affari illeciti nella cittadina vesuviana".
Che una donna di 29 anni, madre di tre figli, si dia fuoco
e muoia è
una tragedia: questo non è in discussione. Ma da qui a dipingere, senza documentarsi, l'operato di magistratura e polizia come un abuso, una "penalizzazione", come il cieco rigore
Stella Cervasio, Irene De Arcangelis e Antonio Vollaro
verso una "famiglia potente che non c'è più", come un atto d'imperio anacronistico contro una donna che portava i bambini al doposcuola e non conosceva lo zio, c'è una dolorosa distanza: la distanza tra la linea di un giornale che della difesa della legalità ha fatto sempre la sua bandiera, e l'espressione di una pietà che non dovrebbe mai trasformare la cronaca in esercizio di stile.
 
ZONA FRANCA

In certe cose la chiarezza è tutto. La candidatura di Napoli a ospitare la Coppa America di vela è già diventata un tale tormentone che non si sente la necessità di altra confusione. Per fortuna la stampa cittadina dà ai lettori un quadro preciso della situazione. Il 5 ottobre


Nino Femiani e Victor Uckmar

l'edizione napoletana di Repubblica titola così un pezzo in prima pagina di Giantomaso De Matteis: "Zona franca, sì di Uckmar: Bagnoli come Torino 2006". Bene, il professor Victor Uckmar prende una posizione netta. Quello stesso giorno, il Corriere del Mezzogiorno apre la prima
pagina con la stessa notizia, titolando l'articolo di Nino Femiani "Uckmar: zona franca? Non serve". Resta da capire chi, a furia di sognare di stare in barca a vela, stia andando alla deriva.
 
LO SCONTO

C'è una nuova stagione nel giornalismo locale: quella degli editorialisti del Roma. Sembra che ogni giorno il direttore Antonio Sasso, al termine della riunione di redazione, giri fra colleghi e collaboratori stringendo in pugno dei fili di paglia: chi estrae il più corto, è chiamato a dire la sua. Abbiamo già citato un esemplare
fondo di economia di Rosa Benigno, e spesso abbiamo ammirato quelli pacati di Pietro Lignola. Lo scorso 22 settembre la galleria si arricchisce di altri due opinionisti. Raffaele Auriemma, parlando della violenza nel calcio, attacca il pezzo con un "Non Unno, ma duecento" che avrebbe fatto
Raffaele Auriemma e Pietro Lignola
invidia a Allen Ginsberg, per proseguire così: "Cambiano i tempi eppure le abitudini restano immutate: dove passano i barbari non cresce più l'erba", e sembra di vedere Attila con la falciatrice bofonchiare nel giardino di casa "Che noia, sempre la stessa vita". Al primo capoverso, "Sono saltate tutte le regole, tranne chi è rimasto a vigilare sulle stesse" non siamo andati avanti, perché la letteratura d'avanguardia non è una nostra passione.
Quella di retroguardia, invece, ci esalta: e ci è piaciuto molto, quello stesso giorno, l'editoriale di politica firmato da Eduardo De Filippis, fino allo scorso 31 marzo responsabile del settore politico del Mattino. Andato in pensione, sembra aver trovato una seconda giovinezza, primavera di bellezza. L'articolo è dedicato alla destra, anzi alla Destra, con la maiuscola, come viene sempre scritto, ed è, più che altro, un inno. Il "popolo della Destra" si è "radunato" a


Eduardo De Filippis e Ignazio La Russa

Napoli per la festa di An, un partito che rivendica un ruolo centrale nella coalizione: "nessun passo avanti ma, attenzione, neanche passi indietro". Se avanzo seguitemi.
Ignazio La Russa parla e fa "una sorta di 'chiamata alle armi'": "che quadri di partito e simpatizzanti, uomini e
donne del 'popolo della Destra', attendevano con ansia". Qualcuno, tra il pubblico, ha alzato il figlioletto che aveva in braccio, offrendolo a La Russa: chiama alle armi pure lui, quelle giocattolo, però. "C'è da dare risposte effettive alle motivazioni della base, alle ragioni della militanza, a quella voglia di partecipazione che è nel Dna degli uomini e delle donne di Destra, che ne rappresenta la tensione esistenziale". Dite la verità, queste parole non vi danno un brivido, scegliete voi di che tipo?
Alleanza Nazionale è "ormai forza di governo dalla massima affidabilità anche nel panorama internazionale": infatti, c'è "a ottobre una giornata contro il carovita, il 9 novembre la celebrazione della caduta del Muro di Berlino - e, dunque, della fine del
comunismo: la più grande vittoria della Destra - a dicembre il giorno della Carta dei Valori". Tutto vero: chi non ricorda Gorbaciov e Wojtyla telefonare, in quei giorni storici, a Gianfranco Fini e Antonio Rastrelli per chiedere consigli su come cambiare il mondo? Poi la
Gianfranco Fini e Antonio Rastrelli
chiusa: "An, un partito che c'è, un partito che non è disposto a fare sconti (in leggera contraddizione con la giornata contro il carovita, ndr). Fase due, parte la sfida". E, se ci capite, guai a chi molla.
 
BICIPITI

Prima o poi dovremo deciderci a raccogliere in volume quello che sempre più spesso, nella fascia bassa della prima pagina, pubblica il Corriere del Mezzogiorno: una rassegna entusiasmante del futile, del vacuo, dell'irrisorio. Quando poi a questi aggettivi si aggiunge quello di surreale, i titoli meritano persino l'apertura, come nel caso della voglia di maternità di Maria Sung, l'ex moglie di Milingo, e del tatuaggio di Che Guevara sul braccio del figlio di Maradona. Il direttore, Marco Demarco, dev'essere una di quelle persone che, quando sentono la parola "sfizioso", anziché al napalm pensano al corsivo.
Bisogna però riconoscere che a questa abdicazione al ridicolo non fa difetto la fantasia. Il 10 ottobre compare un titolo degno di figurare


Gianluca Abate, Luigi Bobbio e Giovanni Corona

in quei "Segni della fine del mondo" che Fabio Fazio e Michele Serra catalogano in tv: "Schwarzy trionfa, rivincita per i palestrati / L'euforia dei culturisti vip campani dopo l'elezione di
Terminator". Arnold Schwarzenegger, un altro dei pessimi attori diventati politici, come Ronald Reagan, è stato eletto governatore della California: e tanto basta per andare a sentire i "culturisti vip campani", che hanno evidentemente brindato a champagne e steroidi. L'ingrato compito tocca a Gianluca Abate, che intervista per primo il magistrato Giovanni Corona, presentandolo con toni involontariamente offensivi: "Il palestrato con i bicipiti gonfi sotto la camicia azzurra non grugnisce. Anzi, riesce anche ad articolare un discorso di senso compiuto". Complimenti, anche perché il ritrattino non finisce qui: Corona "addirittura si interessa di musica da camera", e, per chi pensasse che amare Schubert è ancora insufficiente, "ha letto anche la biografia di Arnold Schwarzenegger". Non so se mi spiego.
Tra i vip del bilanciere c'è anche l'ex pm Luigi Bobbio, senatore di An, del quale si tace, per non mortificare Corona, che ama la musica lirica e ha letto anche tutte le raccolte di Topolino. "La sinistra è stata stupida a cavalcare il cavallo sbagliato - dice - un paravento dei gracilini per giustificare il rifiuto della fatica", e si capisce che sta pensando a Fassino.
Ma ci sono anche i dubbiosi. Tullio Pironti, editore ed ex pugile, dice
che "spesso il palestrato non è un intellettuale"; e Abate, scrivendo col portatile appoggiato al manubrio della cyclette, chiosa "tesi azzardata visti gli interlocutori". Il coreografo Enzo Paolo Turchi,
Piero Fassino, Tullio Pironti e Enzo Paolo Turchi
titolare di una palestra, insinua che "i giovani belli che vengono qui pensano al fisico e trascurano tante altre cose; la verità è che per fare palestra ci vuole il cervello". E Abate chiude: "E soprattutto non bisogna grugnire". Il dibattito è aperto, ma ne proponiamo altri: cosa pensano i vip di nome Giorgio di un eventuale secondo mandato per George W. Bush? Quali cure consigliano i vip col raffreddore al papa malato? Cosa propongono i diportisti vip per rendere più sicure le barche degli immigrati clandestini?


 

L'agenda è uno strumento di lavoro, ma anche, da tempo, un veicolo di informazione, spesso alternativa, dal basso. E di una informazione non omologata sulla giustizia (sulla giurisdizione assai più che sui magistrati) c'è oggi bisogno, in un periodo in cui dominano il falso (ripetuto ossessivamente per farlo diventare verità) e la rimozione.
Nasce da qui il progetto di agemda, rivolto ai magistrati, agli avvocati, ai giuristi, alle forze sociali, alla società civile, a tutti quelli che si interessano di giustizia.
È, insieme, uno strumento di servizio (con una raccolta di siti e di riferimenti telefonici utili) e di informazione, attraverso una lettura per date, e per flash, di alcune vicende della giustizia nel nostro paese a partire dal dopoguerra. Non è, né potrebbe essere, una storia, e neppure, un frammento di storia; è piuttosto un viaggio in cinquant'anni e più di vicende del bel paese. Come tutti i viaggi è incompleto e frammentario; soprattutto risente dell'esperienza e della sensibilità di chi lo
ha curato. È, in ogni caso, un viaggio
laico
: senza trionfalismi sulla giurisdizione (che è, in realtà, un sistema complesso in cui le pagine alte si affiancano alle cadute
e alle inadeguatezze) e inquieto nell'interrogarsi su quale giustizia. Com'è
la storia e l'esperienza di Magistratura democratica.
Mi hanno dato suggerimenti e indicazioni in molti: più degli altri Stefano Erbani, Antonio Ingroia, Juanito Patrone e Gianfranco Viglietta. Come si dice in questi casi, le cose buone sono di tutti e le
 
  Pagine 360
Formato cm. 12,7 x 18
Copertina rilegata con cordoncino segnagiorno
Prezzo € 11,00 (iva 20% inclusa)
Isbn 88-88838-12-0
eventuali imprecisioni solo mie.
Altan, Chiappori, Elle Kappa e Staino ci hanno regalato le loro vignette con una disponibilità che, pur nella reciproca autonomia, li rende partecipi del nostro progetto. Di questo li ringrazio di cuore, convinto che le vignette sono, spesso, assai più efficaci di concettosi editoriali.
 
  Per informazioni rivolgersi a :
Eugenio Albamonte 338-4918816
eugenio.albamonte@giustizia.it
Stefano Erbani 348-7342823
stefano.erbani@flashnet.it
Fernanda Torres 349-7805555 fax 06-41205794
ferdmaur@tin.it

Inutile aggiungere che agemda è un'operazione culturale e non commerciale: ogni utile conseguente alla sua diffusione sarà devoluto all'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Buona lettura e buon lavoro.

settembre 2003---------------- livio pepino