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Mobbing, il provveditorato
rischia il rinvio a giudizio
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IL 31 OTTOBRE è un giorno importante per i giornalisti vittime del mobbing. Il gip del tribunale di Napoli Lucio Aschettino dovrà decidere se ordinare al pubblico ministero di formulare il capo d'imputazione nei confronti dei dirigenti del provveditorato agli studi di Napoli che hanno prima emarginato e poi allontanato dall’ufficio stampa Angela Genovese, giornalista pubblicista dal 1989.
Nell’ottobre e nel novembre 2004, la Genovese, napoletana, cinquantasette anni, una laurea in Pedagogia e oltre un quarto di secolo speso nel mondo
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della scuola, ha presentato due esposti alla procura della Repubblica denunciando “di essere stata ingiustamente discriminata nella propria attività lavorativa, messa da parte, esclusa dalle funzioni richieste e per svolgere le quali aveva titolo, di avere subito abusi e prevaricazioni”.
Le iniziative di mobbing da parte
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Angela Genovese e Claudio Petrella |
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dei superiori sono cominciate nel 1993 quando stava diventando operativo l’incarico all’ufficio stampa affidatole dall’allora provveditore Mascoli. Le vessazioni si sono protratte per oltre dieci anni e hanno causato danni via via più gravi alla sua salute come risulta dalle certificazioni mediche rilasciate dalla seconda metà degli anni novanta a oggi, certificazioni che hanno in calce le firme degli specialisti dell’Unità operativa di salute mentale della Asl Napoli 1, guidati dal primario Claudio Petrella, e dello psichiatra Antonio Scala, docente di Riabilitazione psicosociale alla II università di Napoli e responsabile della comunità Aquilone di Solopaca.
Le indagini, affidate al sostituto Federico Cafiero de Raho, si sono concluse il 30 novembre scorso con la richiesta di archiviazione contrastata dalla Genovese con un atto di opposizione depositato il 20 gennaio.
All’udienza del 9 giugno il gip Aschettino ha ascoltato gli avvocati Cesare Amodio, per la Genovese, e Arturo Frojo, difensore dell’indagato Luigi De Filippis, all’epoca dei fatti vice provveditore con delega al personale e oggi provveditore di Napoli (tecnicamente ‘dirigente del centro servizi’), mentre il direttore regionale è Alberto Bottino. A fine udienza il giudice delle indagini preliminari ha depositato un’ordinanza nella quale, dopo aver premesso “che la richiesta (di archiviazione, ndr) del pubblico ministero non può trovare, allo stato, accoglimento”, ha disposto un articolato supplemento di indagini.
“Con una sentenza apripista pronunciata nell’autunno del ’99, – ricorda l’avvocato Amodio – il mobbing è entrato a pieno titolo nella giurisprudenza civile italiana. Il tribunale di Torino sancì infatti che il mobbing è configurabile ‘nell’ipotesi in cui il dipendente sia oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori, volti a isolarlo dall’ambiente di lavoro, nei casi più gravi a espellerlo,
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Lucio Aschettino e Federico Cafiero de Raho
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con gravi menomazioni della sua capacità lavorativa e dell’integrità fisica’. Pochi anni dopo ha cominciato a farsi strada anche nella giurisprudenza penale: tra le sentenze significative va ricordata la decisione della Cassazione del marzo 2001”.
Nel diritto penale non esiste il reato di mobbing, ma questo può essere un vantaggio. “Sarebbe
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complicato – osserva Amodio – trovare tutti gli aspetti necessari a configurare il mobbing. Invece nel codice penale esiste già un sistema di norme che consente di affrontare in maniera adeguata il problema: si va dalle lesioni colpose o dolose alla violenza privata, dai maltrattamenti all’abuso d’ufficio, dalla diffamazione all’ingiuria. Nella vicenda dell’ufficio stampa del provveditorato partenopeo ci sono tutte le circostanze per dimostrare almeno le lesioni e i maltrattamenti. E a chi parla in casi come questo di decisioni e comportamenti meramente organizzativi, obietto che proprio con un certo modo di ‘organizzare’ il lavoro si può danneggiare e marginalizzare un dipendente”.
Che succede il 31 ottobre? Il gip ha davanti a sé tre strade: decide l’archiviazione; ordina nuove indagini; impone al pubblico ministero ‘l’imputazione coatta’ (cioè la formulazione del capo di imputazione con la richiesta di rinvio a giudizio dell’indagato) e si spoglia del processo, che viene assegnato a un nuovo giudice per le indagini preliminari.
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