L'autobiografia di
Felice Piemontese

    Nato nel 1942 a Monte S. Angelo, centro garganico famoso fin dal Medioevo per il santuario di S. Michele (re e principi in partenza per le Crociate ci andavano in pellegrinaggio per chiedere la protezione dell’arcangelo guerriero), FP vive dal 1946 a Napoli. La famiglia vi si trasferì non appena finita la guerra perché l’attività del padre, sarto, era stata messa in

crisi dagli eventi bellici.
     Dopo un tormentato e incompleto percorso scolastico – culminato in una sorta di pubblico autodafè al liceo Genovesi, con le classi schierate per assistere all’espulsione, comprensiva di calcio nel sedere da parte del


Eugenio Donise e Felice Piemontese
preside, sua e di Eugenio Donise, diventato poi dirigente del Pci e parlamentare (erano rei di aver organizzato degli scioperi per chiedere l’istituzione di rappresentanze studentesche) – le prime collaborazioni giornalistico-letterarie, con recensioni e articoli su argomenti culturali, a riviste come “Cronache meridionali” e “Il Baretti”.
     Fermamente deciso a vivere occupandosi di letteratura, FP si ritrova quasi per caso in una redazione giornalistica: quella napoletana de “l’Unità”. Ce lo porta la sua amica Lina Tamburrino per aiutarlo a uscire da un lungo periodo di depressione iniziato nell'agosto del '64, il mese della scomparsa di Palmiro Togliatti, quando muore la madre. È l’agosto del 1965, e si tratta di coprire per un mese i buchi determinati dalle ferie. Per la prima volta, peraltro, la redazione ha un capo, Ennio Simeone, che non è un dirigente politico “prestato” per un certo periodo al giornalismo, ma un giornalista vero e


Lina Tamburrino, Nora Puntillo e Mario Riccio

proprio.
     Passato il fatidico mese, Simeone propone a FP di rimanere. Naturalmente come “volontario”, senza nessuna retribuzione, cioè, e con vaghe

promesse di inquadramento quando la situazione lo consentirà. Lo sciagurato rispose di sì, e “volontario” sarebbe rimasto per un lungo periodo, fino al ’71, per la precisione, quando sarebbe arrivata la fatidica dichiarazione per il praticantato.
     Seguono anni di lavoro durissimo. A “l’Unità” non c’era la settimana corta e poiché l’unica retribuzione possibile, per FP, era il pagamento del lavoro domenicale, ne conseguiva che per periodi lunghissimi (in pratica con la sola interruzione delle vacanze estive) si lavorava senza riposare mai. Nonostante questo, FP – che si consola pensando che si tratta pur sempre di un’occupazione provvisoria – trova il modo di non sacrificare del tutto l’attività letteraria. Diventa grande amico di Luigi Incoronato (il cui suicidio sarà, qualche anno dopo, un trauma da cui faticherà non poco a riprendersi), poi di Luigi Compagnone, e spesso partecipa alle loro serate, in casa o dal famoso “Sica” in via Bernini.
     Nel mondo letterario c’è l’esplosione della neo-avanguardia, e FP entra in contatto con i membri del Gruppo 63 – partecipando all’ultimo incontro

organizzato dal gruppo, quello di Fano nel ’67, e poi alla redazione di “Quindici”, il giornale in cui le due anime neo-avanguardiste (quella che privilegia comunque la letteratura, e quella che sostiene invece un più diretto impegno “rivoluzionario” nei gruppi


Giancarlo Pajetta e Palmiro Togliatti
della cosiddetta “nuova sinistra” che si vanno formando qua e là per l’Italia) si fronteggiano sempre più duramente, fino all’implosione finale.
     Memorabili gli incontri con Giangiacomo Feltrinelli, in cerca di riferimenti locali in vista del suo passaggio all’attività “rivoluzionaria”: incontri che avvenivano nei lussuosissimi saloni dell’Excelsior, nei quali FP metteva piede, non senza imbarazzo, per la prima volta.
     Redattore, o collaboratore, di riviste come “Nuovo Impegno” e “Che fare”, FP fatica sempre più a conciliare queste attività con quella di redattore del giornale del Pci (che era il principale obiettivo polemico dei “gruppi”) ed è infatti chiamato a dare spiegazioni (e rassicurazioni) in una sorta di assemblea-processo alla quale partecipa nientemeno che il mitico Giancarlo Pajetta. FP è attratto, come (quasi) tutti i giovani dell’epoca dal mito della Rivoluzione, ma ritiene anche – non senza travagli e incertezze - che quella letteraria non sia, nonostante tutto, un’attività di cui vergognarsi. E pubblica nel ’71 un libro di


Manifesto di poesia visiva di Piemontese

poesia (Là-bas) seguito nel ’73 da Testo, romanzo iper-sperimentale, impegnandosi nello stesso tempo con Luciano Caruso e altri in fogli come “Continuum” e in riviste come “Uomini e idee”, dove vengono pubblicati per la prima volta in Italia testi di Guy Debord e dei situazionisti francesi.
     Quando il Pci – che sembra essersi finalmente accorto dell’importanza della questione media - decide di promuovere una nuova rivista – “La Voce della Campania” – Ennio Simeone lascia per circa due anni la direzione della redazione napoletana de “l’Unità”, della quale FP è chiamato a farsi carico, in maniera non ufficiale. È questo, peraltro, il periodo in

cui fanno il loro ingresso in redazione giovanissimi collaboratori, destinati a fare poi brillanti carriere altrove: Marco Demarco, Antonio Polito, Luigi Vicinanza, Federico Geremicca.
     Arriva finalmente il momento di sanare l’anomalia di una redazione senza un responsabile, e FP vede deluse le sue aspettative dalla nomina di un funzionario di partito, Rocco Di Blasi (poi rivelatosi peraltro eccellente professionista). Chiede quindi di essere destinato ad altro incarico (farà l’inviato per un anno) e poi di lasciare “l’Unità”. La mutata situazione politica e l’imminente avvio della Terza Rete hanno finalmente aperto le porte della Rai anche ai giornalisti non democristiani e non socialisti, così il primo febbraio del ’78 FP (con Pino Blasi, Ermanno Corsi, Nando Spasiano e Pietro Vecchione) fa il suo ingresso in via Marconi, accolto con vero e proprio terrore dal capo-redattore Baldo Fiorentino, giornalista stimabilissimo ma uomo decisamente pavido, che probabilmente vedeva per la prima volta in vita sua un “comunista” e si aspettava chi sa quali sfracelli.
     Del resto, quella della Rai napoletana è, all’epoca, una redazione molto sui generis. Produce soltanto due edizioni giornaliere del Giornale radio (alle

12,10 e alle 14) e qualche servizio per i giornali radio nazionali e i telegiornali quando ci sono avvenimenti che lo meritano (allora molto meno frequenti di oggi). Ci sono scrittori come Rea e Compagnone (impegnati soprattutto nelle loro private schermaglie), uomini di teatro come Fayad e Frascani, qualche “figlio di papà” piazzato lì dal padre o da qualche potente protettore e perfino alcuni giornalisti di razza come Luciano Lombardi e Carlo Franco, allora giovani, e meno giovani come Franco Ammendola e Antonio Ravel.


Luigi Incoronato
     Per più di un anno FP viene tenuto in una specie di quarantena, con turno di lavoro dalle 14 alle 21, ore in cui in redazione, oltre allo stesso Fiorentino, non c’è praticamente nessuno. Se c’è qualcosa da fare per il TG1 o il TG2 compaiono a una certa ora Mario De Nitto e Luigi Necco, se no solitudine assoluta.
     Per FP una situazione avvilente, alla quale sembra possibile ovviare subito. Corrispondente di “Panorama”, FP scrive moltissimo per il settimanale mondadoriano, allora bellissimo e autorevole, e ancora diretto dal suo inventore, il grande Lamberto Sechi: articoli di cronaca, inchieste di copertina, servizi per la sezione culturale. E, come era quasi scontato, ecco arrivare una proposta di assunzione nella redazione romana, in vista di un successivo trasferimento a Milano come responsabile appunto della cultura.
     Purtroppo (o per fortuna, considerando quel che è avvenuto dopo, con lo “scippo” della Mondadori da parte di Berlusconi) arriva quasi


Marco Demarco e Rocco Di Blasi

contemporaneamente – da Roberto Ciuni diventato direttore del “Mattino” – la proposta di ricoprire lo stesso incarico nel giornale di via Chiatamone, che vive allora – dopo decenni di grigiore - una fase di grandi cambiamenti. Le due proposte hanno l’effetto di elidersi a vicenda: quella di “Panorama” perché non si trova un accordo economico, quella del “Mattino” per ragioni oscure (al posto

che avrebbe dovuto essere di FP arriva infatti uno della P2. E FP conserva tra i suoi cimeli il biglietto dell’allora amministratore del quotidiano in cui si fissavano per lui compensi e “regole d’ingaggio”, tanto che solo un salutare moto di cautela lo induce a non presentare le dimissioni dalla Rai).
     Rassegnato da tempo a privilegiare le ragioni del giornalismo su quelle letterarie - ma questo non gli impedisce di pubblicare due romanzi, Epidemia (1989) e Dottore in niente (2001) – molto recensiti e premiati, ma pochissimo letti - alcuni libri di poesia (l’ultimo, Il migliore dei mondi, pochi mesi fa, selezionato per il premio Napoli) e il fortunato, e saccheggiatissimo, Autodizionario degli scrittori italiani - FP si rassegna anche a rimanere in Rai, dove vede fare rapidissima carriera a colleghi appena assunti, incrementando anche la collaborazione – come critico letterario – al “Mattino”, e scrivendo saltuariamente su “Tuttolibri” (supplemento culturale de “La Stampa”) e su “Diario”.
     Per la tv, che non ha mai amato, realizza comunque servizi a Parigi, Londra, Dublino, Amsterdam, Lisbona, Praga, Il Cairo e, negli ultimi anni, la

rubrica settimanale “Album”. Ma la nascita (venti anni fa) di un’edizione del Giornale radio regionale alle 7,20 del mattino gli offre l’opportunità di concentrare il suo impegno sulla


Marina Maresca, Federico Geremicca e Luigi Vicinanza
radio (che gli piace molto di più) e nella fascia oraria mattutina (che inizia alle 5,30), un impegno da molti ritenuti “impossibile”, che infatti lo costringe a modificare sensibilmente abitudini, stili di vita e frequentazioni, lasciandogli però libero il pomeriggio per cercare di conciliare finalmente le diverse attività. Un’impresa quasi impossibile, per la quale peraltro non sono possibili, a questo punto, ulteriori verifiche.
Felice Piemontese

Le foto di Donise, Piemontese, Tamburrino, Puntillo, Pajetta, Incoronato, Di Blasi, Demarco, Geremicca, Maresca, Vicinanza e del manifesto di poesia visiva sono di Mario Riccio, dal '64 al 1985 fotografo della redazione napoletana dell'Unità