Sono settimane, ormai, che tra i corridoi della redazione del Roma diretto dal pensionando Antonio Sasso i leghisti stazionano stabilmente nella casella dei cattivi, dopo le baruffe con Futuro e Libertà di Gianfranco Fini e Italo Bocchino, patron del quotidiano napoletano. E l’ultima baruffa chiozzotta, per rimanere nella stessa ambientazione della commedia di Carlo Goldoni, riguarda il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che sul Corriere della Sera del 9 ottobre aveva ricordato come il federalismo passa anche attraverso la gestione autonoma della propria spazzatura.
Il 12 ottobre, a pagina 2 del Roma, gli risponde l’assessore regionale all’Ambiente della Campania, Giovanni Romano che parla di polemica pretestuosa. Nulla più di una baruffa, appunto, che viene arricchita anche dalle foto dei due politici. E scatta il solito luogo comune: uno dei due ha la faccia da celodurista, lo sguardo fiero rivolto verso il Po e un taglio di capelli tra il naziskin e il padano. L’altro ha lo sguardo più mansueto, le basette lunghe e guarda sorridente nell’obiettivo, o forse verso il Volturno. E succede, l’avete già capito, che il nome di Zaia esce con la faccia di Romano e viceversa.
Un piccolo dispetto: e così se loro hanno avuto Giovanni Minoli, la piccola vedetta lombarda (da non confondere con l’inventore di La storia siamo noi), il Chiatamone può vantare la piccola vendetta vesuviana. La parola d’ordine è: destabilizzare l’avversario, fargli perdere le boriose certezze della propria identità celtica. E per il futuro è già pronto il nuovo soprannome per l’erede di Umberto Bossi, il trota Renzo: ‘o purpetiello.
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