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In Cassazione Furfaro
battuta da Mastrantuoni |
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DOPO QUATTORDICI anni si è chiusa in Cassazione la vicenda giudiziaria avviata da una querela presentata da Rachele Furfaro, all’epoca assessore alla Cultura della giunta comunale guidata da Rosa Russo Iervolino.
Occorre però un riepilogo delle puntate precedenti. Nel giugno del 2004 Napolipiù, quotidiano diretto da Giorgio Gradogna, titola in prima pagina “Rifondazione chiede la testa della Furfaro” e apre una pagina interna con un ampio servizio di Arnaldo Capezzuto (“Vogliamo le |
dimissioni della Furfaro”) che intervista quattro esponenti politici: Franco Di Mauro, Alessandro Fucito, Lydia Mastrantuoni e Raffaele Tecce. Al centro del servizio il presunto conflitto di interessi dell’assessore che è anche socia di una scuola privata (‘Dalla parte dei bambini’). Particolarmente determinata nell’evidenziare l’incompatibilità Lydia Mastrantuoni, presidente della commissione Scuola |
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Giovanni Battista Vignola |
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della circoscrizione Vomero, che si era impegnata a fondo perché la palazzina di via Morghen da anni destinata a un utilizzo pubblico (ospitava il centro di salute mentale della Asl Napoli 1) rimanesse a disposizione dei cittadini mentre invece la palazzina era stata fittata alla scuola della Furfaro. E al giornalista che la intervista dichiara: “la moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto”. L’assessore non gradisce e assistita dall’avvocato Claudio Botti presenta querela contro Gradogna, Capezzuto e Mastrantuoni alla procura di Benevento perché il quotidiano si stampava nella tipografia sannita di Vitulano.
Il 30 marzo il giudice del tribunale di Benvenuto Vittorio Melito assolve Capezzuto e Gradogna perché hanno esercitato il diritto di cronaca e quindi non “non costituisce reato” avere riportato le dichiarazioni di un esponente politico, mentre condanna Lydia Mastrantuoni a pagare 500 euro di multa, pena estinta per l’indulto, e duemila euro di spese legali.
Il 7 marzo la terza sezione della Corte d’appello (presidente Giovanni
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Claudio Botti |
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Cerbone, estensore Elena Conte, consigliere Francesco Gesué Rizzi Ulmo) conferma la sentenza di primo grado. E arriviamo alla Cassazione.
L’otto febbraio scorso, settantesimo anniversario della legge sulla stampa, si tiene l’udienza davanti alla Suprema corte. Poco dopo arriva il dispositivo della quinta sezione penale che annulla senza rinvio la condanna di Lydia Mastrantuoni. |
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“Le dichiarazioni della consigliera del Vomero – chiarisce il suo legale, Giovan Battista Vignola – non erano assolutamente diffamatorie in quanto espressione del diritto di critica politica garantita dalla Costituzione. Perciò la decisione della Cassazione non è sorprendente, mentre lo erano certamente le sentenze di primo e secondo grado”. |