Authority, davanti
al gip il 24 maggio

NON STA VIVENDO giorni facili Alfredo Meocci: il 27 aprile l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha stabilito che Meocci non può essere direttore generale della Rai perché dal ’98 al marzo 2005 è stato commissario dell’Agcom, in quota Udc, e la legge, la numero 481 del ‘95, vieta che un “controllore”, se non sono trascorsi almeno quattro anni, possa diventare un “controllato”. L’Authority ha inoltre inflitto una mega multa alla

Rai (14,3 milioni di euro) e a Meocci (373mila euro). Ma spesso le cattive notizie vanno in compagnia e per l’ormai ex direttore generale Rai si sta avvicinando un appuntamento che potrebbe spegnere in maniera definitiva le sue aspirazioni politiche,


Pierferdinando Casini, Marco Follini e Alfredo Meocci

perché Meocci, con l’appoggio dei vertici dell’Udc (tra gli invitati del suo secondo matrimonio Follini e Casini, che è stato testimone), punterebbe a candidarsi nella primavera del 2007 a sindaco della sua città, Verona.
Il 24 maggio si terrà l’udienza camerale fissata dal giudice del tribunale di Napoli Alberto Vecchione, titolare della VII sezione dell’ufficio gip, guidato da Renato Vuosi. Vecchione dovrà decidere sulla richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero Luigi Gay, che ha svolto lunghe indagini su una serie di clamorose irregolarità avvenute all’Agcom, l’Autorità che ha sede a Napoli, al Centro direzionale. Tredici gli indagati: l’ex presidente Enzo Cheli e l’intero consiglio: con Meocci, i commissari Mario Lari, Alessandro Luciano, Paola Manacorda, Vincenzo Monaci, Antonio Pilati, Giuseppe Sangiorgi, Silvio Traversa, tutti difesi dall’avvocato Enrico Tuccillo, affiancato, nel caso di Monaci, Pilati e Traversa dall’avvocato Mario Tuccillo; due dirigenti: Umberto Benezzoli, assistito dall’avvocato Filippo Liguori e Mario Belati, difeso da Alfonso Maria Stile; e due consulenti. Giancarlo Coraggio e Gilberto Micheli, entrambi assistiti


Enzo Cheli, Alessandro Luciano e Paola Manacorda

dall'avvocato Stile.
Durante la presidenza Cheli la stampa nazionale (glissiamo sulla napoletana, in molti casi o disattenta quando c'è da resocontare vicende su centri di potere) si è occupata poco e male delle vicende dell’Authority; e chi se ne

è occupato con troppo impegno è stato destinato ad altri incarichi. È il caso del redattore di Ansa Napoli Maurizio Dente, che, dopo un paio d’anni di attività troppo puntuale (dal giugno '98 all'aprile 2000), venne allontanato dal grattacielo del Centro direzionale. Nel maggio 2002 fu il quotidiano Libero, diretto da Vittorio Feltri, a dedicare all’Agcom un’inchiesta aggressiva firmata da Gianluigi Marchi, stoppata improvvisamente alla quinta puntata. Nel 2003 e 2004 è stato il settimanale Iustitia a dedicare due ampi servizi all’Authority. Il primo era centrato su un grave caso di mobbing (vittima la giornalista professionista Patrizia Orpello) all’ufficio stampa, guidato da Franco Angrisani; la vicenda, sulla quale è intervenuto anche il segretario generale della Fnsi Paolo Serventi Longhi, è stata raccontata nel libro ‘Il lavoro perverso’, edito nell’autunno scorso dall’Istituto italiano di studi filosofici (il volume è per intero scaricabile dal sito dell’Istituto, www.iisf.it,

cliccando ‘edizioni on line’). Il secondo servizio, intitolato ‘Authority: venticinque piani per sessantadue dipendenti’, era dedicato agli sprechi clamorosi dell’Agcom. E il caso volle che quattro settimane dopo l’inchiesta di Iustitia il vertice dell’Authority decise di


Fabio Salvadori, Luigi Santulli e Enrico Tuccillo

dismettere sette dei venticinque piani del palazzo del Centro direzionale di proprietà di Francesco Gaetano Caltagirone, per i quali nel biennio d’avvio ’98-’99 l’Agcom pagava un canone annuo di oltre tre miliardi e mezzo di lire.
La ricognizione più recente sulle vicende dell’Authority l’ha pubblicata Diario, il settimanale diretto da Enrico Deaglio, con un articolo del 12 maggio scorso, firmato da Mario Portanova e centrato su ‘I cocci di Meocci’.
Ma torniamo nelle aule di giustizia. L’udienza camerale del 24 maggio potrebbe concludere la prima fase di un’inchiesta partita con un esposto anonimo arrivato alla procura di Napoli nel 2001 e affidato al pm Luigi Gay. Un secondo esposto arriva alla procura di Napoli nell’autunno del 2004; lo firma l’avvocato Fabio Salvadori, assunto all’Authority nel giugno del ’98 e destinato a diventare assistente di Meocci. Ma quell’incarico a Salvadori non verrà mai assegnato perché il commissario dell’Udc cambia idea e decide di privilegiare l’amico Giuseppe Baracchi, che “pur in possesso della sola


Antonio Pilati, Giuseppe Sangiorgi e Silvio Traversa

licenza media inferiore - come scrive nel suo esposto Salvadori, - viene collocato nella fascia operativa A8 come assistente del commissario stesso (Meocci, ndr), percependo uno stipendio (annuo, ndr) di 45.448, 20 euro oltre a un assegno ad personam di 6.713,93

euro”. “Tale qualifica – continua Salvadori - è illegittima poiché, per coprire il ruololo di funzionario, secondo la delibera numero 5 del 24 marzo 1998, è necessario almeno il conseguimento della laurea”.
Ma le delibere, forse, vanno interpretate; così mentre la carriera di Baracchi fila ad alta velocità, Salvatori viene via via emarginato: si ritrova prima a imbustare lettere, poi senza stipendio quando va in aspettativa perché le sue condizioni di salute peggiorano e gli viene certificata “una patologia ansioso-depressiva caratterizzata da tachicardia, gastrite e cefalea”.
L’esposto di Salvatori viene assegnato al sostituto procuratore Luigi Santulli, che, tempo due mesi, se ne libera girandolo al collega Gay. Dopo cinque anni di indagini e nonostante tutto il materiale accumulato dai carabinieri nelle ripetute visite alle sedi di Napoli e Roma dell’Agcom, il 16 febbraio 2006 il

pm Gay, ormai in partenza perché promosso aggiunto alla procura di Santa Maria Capua Vetere, firma la richiesta di archiviazione nei confronti di tutti i tredici indagati.
“A mio giudizio, – commenta Salvatori - si tratta di una decisione davvero sorprendente.


Maurizio Dente, Gianluca Marchi e Patrizia Orpello
Nella richiesta di archiviazione il pubblico ministero richiama più volte l’articolo 61 del regolamento per il trattamento giuridico ed economico del personale, una disposizione transitoria, che non ha più efficacia dall’entrata in vigore il 23 luglio del ’99 del nuovo regolamento del personale. Sulle spese private (trasferte all’estero, soggiorni in alberghi di lusso e altro) effettuate con le carte di credito dell’Agcom, Gay parla di importi esigui, ma non dettaglia le somme. In ogni caso, io credo che se anche restituisci somme indebitamente percepite (e non sappiamo se ciò sia davvero avvenuto), questo elemento costituisce un’attenuazione del reato, non il suo azzeramento. Ancora: fino al dicembre, 2004 quando ha presentato le dimissioni dall’Authority, Baracchi, con la licenza media, ha percepito per sei anni una retribuzione superiore ai cento milioni di lire l’anno. Questa situazione viene inquadrata dal pm come abuso d’ufficio. Non siamo invece di fronte alla truffa aggravata?”
Così il coriaceo Salvatori, con le energie residue dopo una battaglia che va


Franco Angrisani, Francesco Caltagirone, Paolo Serventi

avanti ormai da oltre cinque anni e con l’assistenza degli avvocati Emanuela Perazzoli del foro di Verona e Carminantonio Del Plato del foro di Napoli, il 3 marzo scorso presenta in dodici pagine la sua opposizione alla richiesta di archiviazione. Ora la

parola passa al gip Vecchione che ha davanti tre strade: accoglie la richiesta di archiviazione; chiede un supplemento di indagini; ordina al pm di formulare l’imputazione coatta, cioè individua precise ipotesi di reato e affida al pubblico ministero la formulazione dei capi d’imputazione.
Intanto dalla primavera del 2005 l’Agcom ha un nuovo presidente, Corrado Calabrò, e un nuovo consiglio. Sull’aria nuova che si respira nelle stanze dell’Authority e sul fatto che è definitivamente chiusa la stagione della presidenza Cheli, insiste, parlando con Iustitia, il segretario generale Roberto Viola. Alla domanda: “Se ci sarà il processo, vi costituirete parte civile?”, Viola risponde con prudenza: “Noi sapevamo che l’indagine era stata archiviata. Ora aspettiamo le decisioni del gip, poi il consiglio valuterà la situazione e deciderà come muoversi”.