"Una proprietà avida e miope"

Sul trasferimento della redazione del Mattino da via Chiatamone a Poggioreale, in una torre del centro direzionale di proprietà dell’editore Francesco Gaetano Caltagirone, Iustitia pubblica l’intervento tecnico-politico di Alessandro Dal Piaz, già docente di Progettazione urbanistica della facoltà di Architettura dell’università Federico II

La notizia che Il Mattino lascia la sede occupata da oltre 50 anni per trasferire la sua redazione in una torre del “centro direzionale” (di proprietà del medesimo gruppo aziendale) suscita più di una preoccupazione.
In primo luogo, sotto il profilo culturale, lascia interdetti la nuova destinazione del palazzo di via Chiatamone. Realizzato all’inizio del ‘900 come spazio urbano coperto, ad imitazione minore dei prototipi locali delle Gallerie Umberto I e Principe di Napoli, l’edificio si articola intorno a un grande ambiente centrale circolare che dovrebbe ora ospitare un supermercato con sottostante autorimessa: utilizzazioni delle più scadenti fra quelle terziarie accreditate nelle odierne città. Un edificio di pregio del centro storico, su cui è intervenuto negli anni ’80 anche un maestro contemporaneo dell’architettura napoletana, il compianto Nicola Pagliara, per di più ubicato in posizione strategica nel contesto dei tessuti urbani del lungomare, verrà così degradato a contenitore di funzioni banali e banalizzanti, che sviliranno senza rimedio anche il valore simbolico della intitolazione a Giancarlo Siani di un salone al secondo piano.
A tale esito sconfortante hanno concorso la palese avidità della proprietà, molto più interessata ad una remunerativa speculazione immobiliare che al futuro di un antico quotidiano meridionale, e qualche superficialità del piano regolatore che consente anche una destinazione “mercatale” in quel palazzo, dichiarato, sì, “unità edilizia speciale otto/novecentesca”, ma attribuendo ad esso una “struttura modulare” (tipica, cioè, di un edificio composto da pluralità di vani equivalenti, magari disimpegnati da corridoi) e non la “struttura complessa” che in effetti possiede.
Altre preoccupazioni sono di tipo urbanistico. È elementare la valutazione che un supermercato dotato di parcheggio coperto non possa che incrementare il traffico in un ambito già ora fra i più congestionati del centro. Ma anche di maggior portata è la considerazione che il cuore della città si sta progressivamente svuotando delle attività urbane più rare e qualificate, già peraltro più scarse di quanto le potenzialità e le ambizioni del terzo capoluogo metropolitano italiano richiederebbero, specie nell’attuale fase socio-culturale. Certo, il centro direzionale è geograficamente fin troppo interno agli aggregati edilizi cittadini, ma la sua insuperabile estraneità di enclave forzatamente incastrata nella trama insediativa napoletana e, soprattutto, la sua scadentissima accessibilità attuale ne fanno quasi un ‘altrove’, in particolare per funzioni delicate e rilevanti come quelle della produzione e gestione delle informazioni e della comunicazione, che, fra l’altro, comportano pure articolate e complesse interlocuzioni dirette con i cittadini.
Il vigente Prg ha confermato e sviluppato la delimitazione ministeriale del centro storico che nel 1972 cancellò i clamorosi sventramenti previsti dal “piano Servidio” e, con la sistematica classificazione tipologica degli edifici, ha dettagliato (al netto di qualche superficialità, come ho appena chiarito) le regole di tutela dei valori architettonici superstiti. Ma il rispetto burocratico delle norme che garantiscono la conservazione degli edifici non è sufficiente. È sempre più urgente un’attività istituzionale di regia che, gestendo strategie con il respiro richiesto dagli obiettivi di un profondo riassetto metropolitano, governi anche i cambiamenti d’uso consentibili nel centro storico, incentivandovi quelli qualificanti e innovativi e disincentivando invece quelli che, in qualunque modo, finiscano per impoverirlo e dequalificarlo.
Per esemplificare sui più vistosi fenomeni recenti, il cospicuo incremento dei turisti rappresenta una novità assai positiva, ma non ci si può, in relazione ad essa, accontentare del proliferare di B&B, friggitorie e negozi di souvenir, pur legittimamente proposti e realizzati dai proprietari di appartamenti e locali vari. Ecco, la ristrutturazione del palazzo del Chiatamone obbedisce, molto più in grande, alla stessa ricerca miope di vantaggi particolari immediati a scapito di quelli più vasti e lungimiranti che debbono perseguirsi nell’interesse collettivo della città.

Alessandro Dal Piaz

 
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