Per la P3 Caliendo cita
il Fatto e paga le spese

ARRIVA DA ROMA una nuova, articolata difesa del diritto di critica. La firma il 15 maggio giudice Anna Mauro della prima sezione civile del tribunale capitolino a conclusione del giudizio per diffamazione a mezzo stampa promosso dal magistrato Giacomo Caliendo nei confronti del Fatto Quotidiano, con rappresentante pro tempore Giorgio Giacomo Poidomani, del direttore Antonio Padellaro e dell’autrice dell’articolo Antonella Maria

Mascali, difesi dall'avvocato Martino Umberto Chiocci.
La vicenda ha inizio con un articolo pubblicato dal Fatto il 21 luglio 2010 intitolato “Coccobello e le colpe di Marra”, centrato sul coinvolgimento di Caliendo, allora sottosegretario alla Giustizia del quarto governo Berlusconi, “nell’indagine penale di grande risonanza mediatica condotta dai pubblici ministeri di

Martino Umberto Chiocci

Roma a carico di Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi accusati di avere costituito un’associazione segreta”.
Napoletano di Saviano, settantadue anni, in magistratura dal 1970, Caliendo, assistito dagli avvocati Mario Nuzzo e Vincenzo Mariconda, ha ritenuto diffamatori tre passaggi dell’articolo: il nomignolo ‘coccobello’ legato al ciuffo gonfio degli anni giovanili; il giudizio critico sulla sua attività di dirigente dell’Associazione nazionale magistrati; la citazione di una visita di Caliendo nel 1981, quando è membro del Consiglio superiore della magistratura, all’allora procuratore generale di Milano Carlo Marini per incarico del vice presidente del Csm Ugo Zilletti.
Prima di procedere all’esame dei singoli punti il giudice fa una premessa ricordandoche le questioni trattate nell’articolo erano all’epoca della pubblicazione di grande interesse. La magistratura si stava infatti occupando della vicenda, qualificata ‘P3’in cui risultavano coinvolti politici e personaggi con rilevanti incarichi istituzionali e che presentava notevoli punti in comune con l’altra ben nota e precedente vicenda della cosiddetta ‘P2’.” Passa quindi al merito rimarcando che l'ex sottosegretario

Pasquale Lombardi (*)

non contesta il nucleo essenziale dell’articolo e cioè i suoi rapporti con Lombardi (sottoposto a custodia in carcere nel corso dell’inchiesta); l’invio da parte del procuratore generale presso la Corte di cassazione al Csm dell’atto di incolpazione in relazione al procedimento nei confronti del dottor Marra che contiene anche il nome di Caliendo;

il contenuto del rapporto dei carabinieri da cui risultava che ‘l’associazione segreta ha potuto contare sul contributo di Caliendo’.”
Non trascura la questione del nomignolo ‘coccobello’ e del perché in gioventù era così soprannominato dagli amici e scrive che “tali affermazioni risultano del tutto prive di effettiva valenza offensiva essendo ‘prima facie’ espressione del folclore giornalistico”. Per quanto riguarda poi le altre considerazioni osserva che “esse, ove riguardate nell’ambito complessivo dell’articolo, appaiono del tutto marginali ove si consideri che il nucleo essenziale di esso è da ritenersi vero essendo desumibile dagli atti ufficiali della commissione Anselmi con riferimento alle dichiarazioni del procuratore generale di Milano Carlo Marini da cui si ricava che l’attore ha tenuto un comportamento sicuramente del tutto estraneo ai suoi compiti di magistrato e di consigliere del Csm”.
Il giudice Mauro aggiunge che Caliendo ritiene falsa la notizia riportata nell’articolo del Fattoladdove si fa riferimento a sue pressioni per far

restituire il passaporto a Roberto Calvi quando, invece, egli aveva ‘effettuato semplicemente una visita all’allora procuratore generale Carlo Marini, su invito del vice presidente del Csm, professore Zilletti, avente ad oggetto esclusivamente un invito alla cautela nell’assegnazione del procedimento in questione’. Orbene, già tale affermazione

Roberto Calvi (**)

contenuta nella citazione è di per sé prova della verità, nel suo nucleo essenziale, della notizia riportata e della conseguente legittimità dello scritto in questione posto che, senza alcun dubbio, è del tutto estranea alla funzione del Magistrato e a quella ancora più delicata di Consigliere del Csm, ogni attività volta indirizzare l’assegnazione di un procedimento penale”. E continua: “l’importanza del nucleo essenziale della notizia e la sua verità rendono prive di rilievo, scolorendole del tutto, le ulteriori frasi ritenute diffamatorie dal Caliendo”.
Il magistrato tira quindi le fila del suo ragionamento affermando che “l’articolo in questione si ritiene costituisca espressione del cosiddetto ‘giornalismo di denuncia’ che, come stabilito di recente dalla Cassazione, è tutelato dal principio costituzionale in materia di libera manifestazione del pensiero in contesti in cui sussiste l’interessa pubblico all’oggetto dell’indagine giornalistica e, quindi, il diritto della collettività

Flavio Carboni (**)

a essere informati non solo sulle notizie di cronaca ma anche sui temi sociali di particolare rilievo attinenti alla libertà, alla sicurezza, alla salute e agli altri diritti di interesse generale. In questa prospettiva è scriminato il giornalista che eserciti la propria attività mediante la denuncia di sospetti di illeciti, allorquando tali sospetti, secondo un apprezzamento

caso per caso riservato al giudice di merito, non siano obiettivamente del tutto assurdi ma risultino espressi sulla base di elementi obiettivi e rilevanti”. Da qui la decisione di rigettare la domanda dell'ex sottosegretario condannandolo al pagamento delle spese legali liquidate in 5.600 euro.


(*) Da www.caffemolise.it
(**) Da www.dagospia.com