Un editoriale
da 374 righe

IL CASO HA voluto che il 12 marzo, giorno dell’insediamento di Alessandro Barbano alla direzione del Riformista, arrivasse la sentenza sul filone principale dell’inchiesta Consip con la VIII sezione del tribunale di Roma che ha firmato due condanne e otto assoluzioni. Tra gli assolti per un’inchiesta partita nel 2016, con l’ex ministro Luca Lotti e Tiziano Renzi, il padre dell’ex presidente del consiglio Matteo, anche l’imprenditore Alfredo Romeo, editore del Riformista e dell’Unità. E ai nodi della giustizia Barbano riserva tutta la parte finale del suo editoriale: “noi ci proponiamo di rendere effettivo il principio costituzionale del

giusto processo, fondato sull’acquisizione della prova in dibattimento, sulla parità d’armi tra accusa e difesa, sulla terzietà del giudice”.
Leggendo il suo fondo si percepisce

Alessandro Barbano e Sergio Zavoli

che Barbano è oggi un uomo contento. Dopo il plateale licenziamento dalla direzione del Mattino inflittogli il primo giugno del 2018 dall’editore Caltagirone, dopo i mesi necessari per riprendersi dalla botta, dopo i quattro anni al vertice del Corriere dello Sport diretto da Ivan Zazzaroni, può finalmente tornare a occuparsi di politica.
Deve però controllare il suo entusiasmo ed evitare di strafare perché il Riformista è una barca leggera con una diffusione decisamente modesta. Prima di diventare direttore del Mattino nel dicembre del 2012, Barbano aveva già lavorato nel palazzo di via Chiatamone nel 1993 quando il giornale era guidato da Sergio Zavoli che non riuscì mai a conquistare i lettori napoletani anche perché produceva editoriali a molte colonne, mattoni di difficilissima digeribilità.
Forse memore del maestro Barbano è partito con la stessa ‘leggerezza’. Il fondo di esordio (‘Vogliamo un paese che pensa riformista’) occupa una colonna in prima e per intero l’ultima pagina: in totale 374 righe.