Pedofilia, la curia
alla prima condanna

PER LA CURIA partenopea guidata dal cardinale Crescenzio Sepe è arrivata la prima sentenza. Il 14 gennaio il giudice della quarta sezione penale del tribunale di Napoli Anna Laura Alfano ha reso pubblico il dispositivo con il quale condanna il cancelliere arcivescovile padre Luigi Ortaglio a quaranta giorni di arresto, con pena sospesa, e al pagamento delle spese legali, mentre rinvia la quantificazione del risarcimento dei danni a un giudizio da tenere in sede civile. Una decisione arrivata in tempi rapidi perché Ortaglio e il suo legale, Mauro Torregrossa, hanno scelto il rito abbreviato, conseguendo due vantaggi: la riduzione di un

terzo della pena e il taglio di qualsiasi approfondimento della vicenda, senza ascoltare testi e con Ortaglio mai presente in aula.
Ricapitoliamo in maniera sintetica la vicenda ricordando che il giudizio davanti alla Alfano è partito da una

Gianfranco Iannone e Luigi Ortaglio

denuncia di una persona oggi quarantaquattrenne che dai tredici ai diciassette anni nel quartiere napoletano di Ponticelli è stato abusato sessualmente dal suo insegnante di religione, don Silverio Mura.
La vittima, che per proteggere la moglie e i figli utilizzava il nome di copertura di Diego Esposito, nel 2010 ha deciso di denunciare le violenze subite chiedendo al cardinale Sepe di fare chiarezza e giustizia ma si è scontrato contro il muro di gomma della curia.
Dopo anni di sostanziale silenzio nel febbraio del 2017 la vicenda di Esposito torna di attualità grazie a un’inchiesta pubblicata da Elena Affinito e da Giorgio Ragnoli sulle pagine nazionali di Repubblica. Sepe accusa il colpo e reagisce in maniera scomposta: diffonde un comunicato per far sapere che il caso della presunta vittima degli abusi è chiuso, lo fa firmare da un suo collaboratore, Luigi Ortaglio, ma soprattutto, con l'intento neanche mascherato di dare una lezione, fa pubblicare in trentuno righe otto volte il vero nome di Esposito.
La scelta di Sepe ha conseguenze drammatiche su Esposito e sulla sua famiglia. “Nel giro di poche ore – ha denunciato Francesco Zanardi, presidente della Rete L’Abuso, l’associazione costituita nel 2009 dalle vittime dei preti pedofili – parenti, conoscenti, amici e ex colleghi di lavoro ai quali Diego Esposito non aveva mai voluto raccontare l’orrore

Silverio Mura e Francesco Zanardi

che aveva subito da piccolo e che più volte sotto anonimato aveva raccontato alla stampa e alla tv, lo hanno immediatamente riconosciuto”. 
Sepe dimostra così di non avere sensibilità nei confronti di chi per anni è stato abusato ma

dimostra anche di non avere conoscenza delle leggi della Repubblica. “Le norme sulla privacy – ricorda Gianfranco Iannone, l’avvocato di Esposito – vietano la diffusione di dati sensibili e considerano reato la pubblicazione del nome di vittime di abusi sessuale”.
Il divieto violato si è ora tradotto in una sentenza che è un buon segnale per Esposito sul fronte delle complicate vicende giudiziarie che lo vedono contrapposto a Sepe e ai suoi collaboratori decisi a negare o a minimizzare la questione della pedofilia dei sacerdoti a Napoli. Intanto la sentenza della giudice Alfano dovrebbe spingere papa Francesco a prendere finalmente una posizione netta su Sepe e sulla curia partenopea dei quali si è finora occupato soltanto con scelte interlocutorie.