Vespa, nuovo ko con
Cantelmo e Quatrano

Dopo Telecamere con vista (’93), Il cambio (’94), Il duello (’95) e La svolta (’96), nell’ottobre del ’97 Bruno Vespa pubblica La sfida, un grande successo in libreria (due edizioni e 150mila copie vendute), ma non in tribunale. Il libro infatti ha già incassato diverse condanne per diffamazione; basti ricordare le sentenze del tribunale di Milano a favore del pm della procura di Napoli Vincenzo Piscitelli (giugno 2002, giudice Paola Maria Gandolfi) e dei magistrati partenopei Rosario Cantelmo e Nicola Quatrano (maggio-giugno 2003, giudice Domenico Bonaretti).
Una nuova condanna nei confronti di Vespa è stata firmata il 25 gennaio scorso (e depositata il 22 febbraio) dalla seconda sezione civile della corte

d’appello di Milano (presidente Domenico Piombo e consiglieri Marcello Marinari e Domenico Chindemi, giudice relatore).
Alla corte d’appello s’erano rivolti lo stesso Vespa e la casa editrice Mondadori, il primo assistito dagli avvocati


Achille Janes Carratù e Vincenzo Piscitelli

Ugo Carnevali e Vincenzo Zeno Zencovich e la seconda dai legali Giovanni Polvani e Antonio Palmieri. Chiedevano che venisse modificata la sentenza del giudice Bonaretti, che in primo grado li aveva condannati a risarcire a Cantelmo e Quatrano dodicimila euro a testa, con seimila euro di spese legali e la pubblicazione del dispositivo, “su due colonne e a caratteri doppi del normale”, su il Mattino e il Messaggero, i quotidiani capozona nelle aree di vita e di lavoro dei magistrati (Napoli) e del giornalista (Roma).
C'è stata invece una sorpresa rispetto al trend abituale delle sentenze di secondo grado. La corte ha confermato la condanna di Vespa e della Mondadori e raddoppiato la sanzione: ventiquattromila euro di risarcimento a ognuno dei magistrati, difesi dagli avvocati Enrico Vitali e Achille Janes Carratù, e settemila euro di spese legali.
Oggetto del contenzioso giudiziario il capitolo de La sfida, Storia di Chiara, dedicato alla figlia di Vito Gamberale, arrestato il 27 ottobre del 1993, quando era amministratore delegato di Sip, su richiesta degli allora pm


Paolo De Feo e Vito Gamberale

della procura di Napoli Cantelmo e Quatrano. L’accusa, dalla quale è stato successivamente prosciolto, nei confronti di Gamberale era di tentata concussione ai danni del titolare della Ipm, Paolo De Feo, al quale avrebbe imposto delle assunzioni in cambio del rinnovo di

commesse per la rete telefonica. Una vicenda che vide coinvolti esponenti del Partito socialista, l'allora vice segretario nazionale Giulio Di Donato e il deputato Salvatore Arnese.
Nel libro Vespa fa proprie le tesi di Gamberale e indirizza una serie di accuse nei confronti dei magistrati Cantelmo e Quatrano. “Sostanzialmente – è scritto nella sentenza – l’accusa più grave mossa (nel libro, ndr) ai magistrati napoletani consiste nella privazione della libertà personale del Gamberale prima ancora che il gip (Luigi Esposito, ndr) emettesse il provvedimento di custodia cautelare, accusa rivelatasi, in seguito, infondata”. Il giudice estensore passa poi ad occuparsi delle azioni disciplinari di cui sono stati oggetto Cantelmo e Quatrano: “La falsa affermazione dell’archiviazione del procedimento disciplinare da parte del Csm che avrebbe sostenuto di non potere entrare nel merito di una pura attività giurisdizionale, mentre, nella realtà l’archiviazione era stata disposta dal Ministero per la infondatezza degli addebiti mossi ai magistrati, come risulta anche dalla sentenza prodotta dal gup di Salerno, e solo successivamente, a seguito di tale archiviazione, dal Csm, fa ingenerare nel lettore la falsa convinzione che il Csm abbia archiviato il procedimento senza esaminare il merito della vicenda. Anche il titolo del paragrafo ‘Carabinieri senza mandato’ riproduce, amplificandola, tale accusa

che, rivelatasi non corrispondente a verità, appare gravemente offensiva dell’onore e del prestigio dei magistrati a cui tale grave comportamento viene attribuito”.
Dopo avere esaminato a fondo “l’omissione delle circostanze che hanno


Salvatore Arnese e Giulio Di Donato

escluso la responsabilità penale degli appellati (Cantelmo e Quatrano,ndr)”, la valenza nulla “dell’esimente dell’intervista”, la responsabilità di Vespa nel “non avere accertato la verità delle dichiarazioni riportate nel libro” e nel non avere rispettato “una posizione di terzietà, con eventuali indicazioni di opinioni difformi o contrarie, per un’informazione completa”, l’errata invocazione del “diritto di cronaca non essendo stato rispettato il canone della verità della notizia” il giudice conferma la “valenza diffamatoria dei brani del libro già affermata dal Tribunale”. Con un aggiunta: “Valutati tali elementi la somma complessivamente riconosciuta a ciascuno dei soggetti lesi appare non congrua rispetto all’effettivo pregiudizio di natura non patrimoniale subito, che va quantificato, in base agli elementi di valutazione sopra evidenziati , in via equitativa, per ciascuno, in moneta attuale, già rivalutata, in € 20.000,00, mentre la sanzione pecuniaria va determinata, per ciascuno, in € 4.000,00”.