Un elenco per le vittime del fascismo

Un museo al Fascismo. A dirla così, aggiungendo che sono già pronti circa cinque milioni di euro per passare dalle parole ai fatti, è difficile non pensare a male (anche se a farlo spesso ci si azzecca, come ricordava
Andreotti
). Ma perché edificare un monumento a un regime che, per cause dirette o indirette, è responsabile della morte di almeno 250mila persone? Chi e perché potrebbe avere interesse a riesumare e santificare il Ventennio? Possibile mai che un Paese che si confronta con la peggiore congiuntura economica degli ultimi novant’anni, con la più grave crisi umanitaria dal dopoguerra, con il terrorismo islamico di al-Baghdadi e Boko Haram, con il rischio disintegrazione dell’Unione Europea, non abbia di meglio da pensare? Infrangendo - giusto per completare il ragionamento – quanto previsto da una delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione, che al punto XII vieta la “riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Una postilla che qualcuno, compreso il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Luca Lotti (che a nome del Governo si è impegnato a staccare un assegno da due milioni di euro) e il sindaco di Predappio, Giorgio Frassineti, tra i principali sponsor del progetto, potrebbero aver dimenticato.
Che la pessima memoria sia una prerogativa di molti politici italiani che hanno attraversato la storia di questa Repubblica non è una novità. Sarebbe sufficiente ricordare che, dall’aprile 1957 al gennaio 1961, a ricoprire l’incarico di presidente della Corte Costituzionale (la quinta carica dello Stato, per chi non l’avesse capito) è stata chiamata la stessa persona che, quindici anni prima, aveva svolto le funzioni di presidente del Tribunale della razza (Gaetano Azzariti). E cosa dire della scuola media di Noicattaro, in provincia di Bari, che in spregio ai tanti inquilini che quotidianamente la popolano resta dedicata a Nicola Pende, il primo e più famoso tra i dieci firmatari del Manifesto degli scienziati razzisti (prologo alle leggi razziali del 1938).
Questo, senza voler aprire il lungo capitolo delle strade e delle piazze intitolate a personaggi la cui storia non si può dire un esempio di umane virtù. Come Rodolfo Graziani, fascista, ministro della Repubblica Sociale Italiana e criminale di guerra (è stato condannato a 19 anni di carcere), a cui gli amministratori di Neviano, in provincia di Lecce, si sono sentiti in dovere di dedicare una via della cittadina.
Insomma, una perversa coerenza che continua a far da collante a un Paese che non si è mai confrontato con il suo passato; che per autoassolversi dalle responsabilità accumulate nei vent’anni trascorsi in camicia nera si è inventato il mito del “buon italiano” (rimuovendo il ricordo di stragi come quella di Domenikon, in Grecia, dove i soldatini del Regio Esercito fucilarono per rappresaglia 150 contadini) e l’armadio della vergogna. Uno stipite – vale la pena ricordarlo – che per quasi cinquant’anni è stato con le ante rivolte al muro (senza che a nessuno venisse in mente di girarlo, guarda un po’).
Spunta ora la storia del museo del Fascismo, in attesa che domani qualcuno ci venga a raccontare che i massacri di Marzabotto e di Sant’Anna di Stazzema furono dei suicidi di massa.
E veniamo al motivo per il quale ti ho scritto. A indurmi a farlo potrebbe essere stata quella vena di idealismo che, da sempre, fa da sfondo a certe professioni. O più realisticamente un richiamo al dovere. A quella particolare funzione di sentinella, che la società ha riservato ai media. La proposta è semplice. Se ciascuno di noi facesse uno sforzo per ricordare almeno un nome di una vittima del fascismo, potremmo stilare un elenco lungo, lunghissimo, di uomini, donne e bambini che da più di settant’anni attendono giustizia. A quel punto sfido chiunque, anche un sottosegretario di Stato, a farsi portavoce di un insulto alla storia e alla memoria del nostro Paese, come solo può essere un museo del Fascismo.

Nico Pirozzi
 (coordinatore del progetto Memoriæ)

 
Giulio Andreotti
al-Baghdadi
Luca Lotti
Giorgio Frassineti
Gaetano Azzariti
Rodolfo Graziani
Nico Pirozzi