Estonia, vittime di Stalin non di Hitler

È quantomeno singolare il titolo apparso il 16 giugno su ‘Italia Oggi’, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi, che ricorda ai suoi lettori: “Anche l’Estonia ha la sua Shoah”. Affermazione giusta, non fosse altro perché alla conferenza di Wannsee del gennaio 1942, dove si discusse del progetto di soluzione finale della questione ebraica (Endlösungder Judenfrage), il paese baltico fu l’unica nazione del Vecchio continente che Adolf Eichmann classificò “Judenfrei”, che detto in termini più brutali stava a significare che nessuno dei circa cinquemila ebrei censiti in Estonia all’inizio della guerra era – in quel gennaio del 1942 - più presente all’appello.
Anche per questo motivo la regione fu scelta per ospitare alcune decine di ghetti e campi di lavoro (il più famoso è quello di Vaivara) dove furono deportati (e massacrati) migliaia di ebrei, in maggioranza provenienti da Germania, Austria e Francia.
Che dunque anche l’Estonia annoveri tra le pagine della sua storia un capitolo dedicato alla Shoah non è una notizia. Perlomeno per gli storici e gli ebrei. Quel che invece stupisce è il contenuto dell’articolo che, prendendo spunto dall’inaugurazione di un monumento in memoria delle vittime delle persecuzioni e delle purghe staliniane, non spende una sola parola sul dramma vissuto dagli ebrei, vittime sia di Stalin che di Hitler.
Per carità, le vittime restano vittime, siano esse state uccise nel nome della svastica o della falce e martello. Quel che invece stupisce è l’uso del termine “Shoah”, che da tre quarti di secolo è utilizzato per indicare solo ed esclusivamente lo sterminio degli ebrei vittime del genocidio nazista. Questo per dire – non me ne voglia il collega che ha titolato quell’articolo – che a volte anche un termine messo a sproposito può offendere l’intelligenza dei lettori e la memoria di sei milioni di ebrei. Quelli sì, vittime della Shoah.

Nico Pirozzi

 
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