Papere
di Josef K. Byte
NESSUNO

Questa è una storia che non sappiamo da dove cominciare a raccontare, se dall'inizio o dalla fine, perché a volte andare a ritroso serve a capire meglio. Ma partiamo dal principio, perché una fine - almeno, così speriamo - non c'è ancora.
La mattina del 5 giugno, ad Arzano, un carabiniere uccide Mohammed Khaira Cisse, di 33 anni, immigrato della Guinea. Come sempre accade in questi casi, le prime notizie sono frammentarie. Un lancio dell'Ansa delle 12.17, siglato da Franco Tortora, riferisce quel che è accaduto "secondo una prima ricostruzione dei fatti fornita dai carabinieri": che, poiché mentre tali fatti accadevano erano presenti, hanno forse in serbo una seconda e una terza ricostruzione solo per creare un po' di suspense. Una donna, prosegue l'agenzia, "avrebbe sollecitato l'intervento dei carabinieri a causa della presenza nel letto di un uomo armato di coltello. All'arrivo dei carabinieri l'immigrato si è scagliato loro contro ma è stato raggiunto da un colpo di pistola sparato da uno dei militari".
Passa un'ora e mezza e, alle 13.41, un lancio siglato dalla collaboratrice Amalia De Simone e dal redattore Armando Petretta cambia sensibilmente lo scenario: lo sconosciuto era a letto perché ammalato, e non è altri che il fratello della donna, Kadiatou Cisse, che ha telefonato ai carabinieri perché Mohammed da giorni dava segni di squilibrio. "Quando un militare è entrato nella stanza dove si trovava l'extracomunitario, chiedendogli di alzarsi e di lasciare il coltellaccio - continua il take - l'uomo si è scagliato contro di lui cercando di colpirlo. Il militare, tra le urla delle donne, ha cominciato a indietreggiare finendo spalle al muro". Poi, gli spari: due colpi all'addome.
Dopo poco più di quattro ore di implacabile ricerca di notizie, alle 17.49, arriva l'ultimo lancio, siglato da Mariano Del Preite: otto righe per aggiungere solo che Mohammed "soffriva da tempo di crisi depressive,

per le quali era stato più volte in cura presso specialisti", e che "da poco meno di un mese era stato colpito da una forma di anoressia che lo spingeva a rifiutare il cibo".
Ma, al Mattino, tutto questo non importa. Mohammed è nessuno: non è un fratello, non è un malato, è solo un negro con un coltello. Il 6 giugno, nelle pagine


Armando Petretta e Franco Tortora
della Campania curate da Antonino Pane, esce un articolo firmato da Domenico Maglione; e né lui né il suo capo hanno letto quelle agenzie nelle quali almeno due punti sono chiari: Mohammed era il fratello della donna che ha telefonato ai carabinieri, e le sue condizioni di salute, sia fisica che psichica, erano precarie. Il titolo è un asciutto "Carabiniere uccide un immigrato", ma sommario e catenaccio hanno due certezze: "Il militare prima di sparare aggredito e accoltellato", "era intervenuto per sedare una rissa". Una rissa? Ma certo: "a causarla, a quanto pare, il comportamento del giovane di infilarsi, armato di coltello, nel letto di una donna con la quale divideva, insieme con altri, l'alloggio. Questa (…) incomincia a gridare a squarciagola". Attirati dalle urla, due connazionali della donna chiamano i carabinieri. "Una gazzella della locale tenenza, comandata dal sottufficiale Roberto Ragucci, interviene subito". Cercano di placare Mohammed, che presenta i tipici sintomi della depressione e dell'anoressia: "Ormai è una furia indomabile. Non vuole sentire ragioni. E brandendo il coltello si scaglia contro uno dei due carabinieri ferendolo per fortuna in modo non grave. Dall'arma di ordinanza impugnata precauzionalmente dal militare, quasi contemporaneamente, a questo punto, parte un colpo che colpisce l'aggressore. (…) Sembra che non ci siano dubbi sui motivi di legittima difesa con i quali ha agito il carabiniere (…)". Resta un dubbio, almeno uno, sulla "scintilla che ha causato l'aggressione nei confronti della donna: se si è trattato di un tentativo di violenza a scopo sessuale o se alla base c'erano altri motivi".
Chissà, forse davvero conveniva partire da qui: dalla furia indomabile che tenta di violentare una connazionale armato di coltello, e finire con l'Ansa, che già prima delle 18 parla di una donna che chiede aiuto per il fratello depresso e anoressico e se lo ritrova, "precauzionalmente", con due proiettili nella pancia. Ma a chi importa? Mohammed era nessuno da vivo, ed è nessuno da morto.
 
24 ORE

Deve passare un intero giorno, ventiquattr'ore, perché venga voglia di capire come e perché è morto Mohammed. Così, il 7 giugno, Domenico Maglione torna sull'argomento, e fa quello che avrebbe dovuto fare prima di descriverci un'indomabile furia stupratrice: sentire anche qualcun altro oltre ai carabinieri, se no tanto varrebbe risparmiare su redattori e corrispondenti e fare contratti di collaborazione direttamente al comandante della Regione Campania, il generale Vittorio Barbato, e a quello della provincia di Napoli, il colonnello Vincenzo Giuliani.
Così, parla il parroco Francesco De Luca, che guida una comunità che si occupa dei problemi degli immigrati. Dal suo racconto, emerge un'altra storia. Kadiatou ha chiamato il 118 per far ricoverare il fratello anche contro la sua volontà, ma i sanitari le hanno risposto che in questi casi è necessario il supporto delle forze dell'ordine. Arrivati i carabinieri, mentre la donna prendeva i documenti, sono stati sparati i due colpi. Il parroco dice che Mohammed, nelle condizioni in cui era ridotto, non avrebbe avuto la forza di aggredire nessuno.
Ma in un documento diffuso da Legambiente, dal Tribunale per i diritti del malato e dalla Ta.Co.Ci.S.U. (Tavola per la convivenza civile e lo sviluppo umano), Giulia Casella e Maria Antonietta Rozzera, che da tempo stavano seguendo il caso di Mohammed, dicono anche altro. "La signora Cisse apre e si trova di fronte due carabinieri, uno dei quali impugna la mitraglietta (…). I carabinieri, con atteggiamento aggressivo


Vittorio Barbato

e tracotante impongono di aprire tutte le porte, chiedendo chi si trovi in casa, e pretendono i documenti quasi fossero lì per una retata e non per soccorrere un malato. (…) Mohammed Cisse non reagisce in nessun modo, se non con qualche debole cenno di mano". Kadiatou va a prendere i documenti, mentre il suo figlioletto di 13 mesi piange spaventato dalle urla dei carabinieri, e un'amica italiana della donna lo porta sul balcone perché non assista alla scena. Improvvisamente, due spari. Il corpo del

giovane è "a terra, presso il letto. 'È morto?' chiede la sorella. E uno dei carabinieri, mentre l'altro va via, spingendo il corpo riverso con un piede, 'No, dorme' risponde".
Kadiatou "abbraccia il corpo del fratello, poi, ai carabinieri che arrivano in forze, chiede di telefonare, ma le viene impedito; chiede di restare ma viene minacciata con l'arma puntata, poi lei e il cugino (Fato Cisse, che era in casa, ndr) vengono prelevati con la forza, portati giù e chiusi nella macchina dei carabinieri, senza alcuna possibilità di uscire, pur chiedendo lei ripetutamente di aprire. I due vengono trattenuti in macchina per circa due ore, mentre i carabinieri si trattengono in casa per il medesimo tempo, sconvolgendo la scena della tragedia appena avvenuta (…). Non dovevano toccare nulla e aspettare l'arrivo della scientifica e del magistrato. (…) Al ritorno a casa, avvenuto verso le 15, trova l'abitazione in uno stato del tutto differente in confronto a quando ne è uscita".
Noi non sappiamo come siano andati i fatti. Ma dovrebbe bastare l'un per cento di probabilità che la verità sia quest'ultima perché un giornale resti sul fatto con accanimento, esigendo chiarezza. Non da investigatori, non da avvocati. Da cronisti. Ma al terzo giorno, la vicenda è già sparita dalle pagine del Mattino. Caso archiviato. Avanti il prossimo.