Mattino, la mail
del cdr Espos
ito

Dopo l’assemblea di redazione del 23 giugno il componente del cdr Marco Esposito ha indirizzato una lettera a tutti i giornalisti del Mattino per rispondere alle loro domande

Lettera aperta

Cari colleghi,
le tante domande che riceviamo come Cdr rischiano di avere, con l’accavallarsi delle mail, risposte confuse. Anche per l’animosità del momento, peraltro a mio parere inevitabile.
Faccio un passo indietro al 10 giugno, giorno dell’assemblea richiesta dalla redazione. In quel momento - spiegai - avevamo immaginato un percorso lineare: trattativa con l’azienda, eventuale sigla di un preaccordo, verifica in assemblea e con voto, trattativa finale al ministero (l’appuntamento era per martedì 16). La trattativa presupponeva la volontà di uscita di tutti i prepensionandi e puntava tra le altre cose a tutelare il salario di chi resta, con la formula delle 16 ore garantite in busta paga. Dall’assemblea emerse con chiarezza il no all’uscita di alcuni prepensionandi e ciò faceva cadere il presupposto per l’accordo in azienda.
Andammo così al ministero, martedì 16, con l’obiettivo di giocarci tutte le carte: assurdità della chiusura di Roma, tagli eccessivi eccetera. Alla Fnsi il giorno 15 avevamo chiesto due cose: che un nostro componente partecipasse alla ristrette, al contrario di quanto era accaduto in Fieg il 19 maggio, e che si allargasse la vertenza unificando quelle di Gazzettino e Messaggero perché con tutta evidenza facevano parte di un solo piano. La risposta era stata che “non si commissaria la delegazione“ (Siddi, 15 giugno) e che “è meglio trattare le vertenze in modo separato”. Il martedì la Fnsi rifiuta di entrare in una ristretta con il responsabile del ministero e Ronsisvalle ci spiega: “La Fnsi ha una visione generale, questa vertenza è tutt’uno con quella del Gazzettino e del Messaggero”. Non sarà la sola sorpresa della giornata. La trattativa va avanti a spezzoni. Siamo delusi dal fatto che il ministero non fa suo nessuno dei nostri rilievi tecnici, neppure quando l’azienda è costretta ad ammettere di aver sbagliato la previsione di costo dei giornalisti nel budget 2009. Il dirigente, Francesco Cipriani, si limita a ricordare che il ruolo del tavolo è trovare formule morbide di uscita dei lavoratori. L’azienda punta al verbale di non accordo mentre l’Fnsi cerca non senza abilità l’aggiornamento dell’incontro. Alla fine il ministero, dopo l’intervento del sottosegretario Viespoli, impone d’ufficio un rinvio al lunedì 22 giugno per un incontro “ultimativo”. Noi Cdr convochiamo al volo un’assemblea per mercoledì 17 e ci accingiamo a prendere il treno per Napoli. Solo a quel punto Ronsisvalle ci chiama e dice che c’è il problema della delibera dell’Inpgi sugli abbattimenti ai prepensionati, lasciandoci sbigottiti.
Nell’assemblea del 17 chiediamo un voto segreto per decidere se fermarci qui o andare avanti, pur sapendo che ormai i margini per trattare si stanno restringendo. Dal dibattito emerge che il voto non è necessario: c’è l’invito a trattare fino all’ultimo minuto, lasciandoci la responsabilità di decidere se firmare o meno, perché un mandato a firmare comunque ci avrebbe indeboliti. “Trattare sì, ma su cosa?” viene chiesto. E io spiego che i nostri obiettivi principali a questo punto sono due: dare tempo ai prepensionandi in attesa che si definisca la normativa Inpgi e tutelare le retribuzioni di chi resta. Ma sulle 16 ore avverto: l’altra volta abbiamo discusso del perché 16 ore sono 22, ma sappiate che l’obiettivo dell’azienda è risparmiare su tutte le voci di costo e quindi sarà difficilissimo spuntarla.
È il caso di rilevare che ho sempre parlato pubblicamente di 16 ore anche se i miei calcoli davano il pareggio a 15 ore perché non mi sembrava saggio sedermi al tavolo partendo dal cosiddetto punto di caduta: volevo riservarmi un margine per fingere di concedere un ribasso.
Il 19 giugno abbiamo incontrato l’azienda per verificare la possibilità di un’intesa che favorisse la firma per il 22. Come c’era da aspettarsi, lo scoglio è stato lo straordinario e il notturno, con l’azienda che proponeva 100 ore di notturno su 156 e 10 e 5 (a seconda delle redazioni) per lo straordinario. Noi abbiamo obiettato che su quelle voci non era possibile risparmiare. L’azienda ha replicato che in una situazione di crisi bisognava risparmiare su tutto. Così ci siamo alzati dal tavolo senza alcuna intesa.
Arriviamo alla giornata ultimativa di lunedì 22. Siddi in una telefonata con Troise di venerdì ci aveva invitato a firmare, perché la non intesa è disastrosa per le redazioni. Lo stesso ministero aveva detto che quando non si firma, di solito appena arrivano le lettere di cassa integrazione il sindacato torna con il cappello in mano. Noi cerchiamo quindi di trovare un’intesa rinunciando magari alla voce straordinari, che consideravamo irraggiungibile, ma puntando a dare minori incertezze ai prepensionandi. Ronsisvalle ci assicura: state tranquilli, la Fnsi non firmerà mai un accordo che non vi convinca e firmerà sempre un’intesa che vi soddisfi. Poi ci spiega che in caso di mancato accordo lui metterà a verbale una serie di critiche sui conti aziendali per cui, con l’arrivo delle lettere di Cig (“fino a 25”) potevamo andare davanti a un giudice e impugnare i provvedimenti “come faranno quelli del Gazzettino”. Alle nostre rimostranze sul fatto che la Cig a 1.000 euro al mese su prepensionandi e non avrebbe avuto un impatto durissimo ha replicato: “Dovete capirlo, arriveranno c… grossi così per tutti”.
Torniamo alla trattativa e le proposte che facciamo vengono a una a una bocciate perché tecnicamente impraticabili o perché inaccettabili per l’azienda (che aveva la priorità di partire comunque il primo luglio). Alla fine troviamo la formula – che il ministero giudica fattibile – della cassa integrazione di solidarietà per due mesi. A questo punto il ministero invita Cdr e azienda a verificare se può esserci intesa anche sul cosiddetto accordo interno, quello cioè che regola le sorti di chi resta. La Fnsi sostiene che non si può discutere di accordo interno se prima non si è fatta chiarezza sui numeri degli esuberi. Ribattiamo che sui numeri abbiamo appena discusso al tavolo plenario. Ronsisvalle replica che è stata una discussione informale. Abbiamo quindi la netta sensazione che di fronte alla possibilità di un accordo la Fnsi voglia comunque, senza entrare nel merito della bontà o meno di un’intesa, spingere per il verbale di mancato accordo e alzare il livello dello scontro una volta partite le lettere di cassa integrazione.
Una parte dei componenti della delegazione sindacale ci spinge a trattare ugualmente con l’azienda. Comincia così il tavolo interno, con l’azienda che rialza un po’ le sue offerte (120 ore di notturno, 12 e 6 di straordinario) e noi che spieghiamo: la redazione già darà moltissimo con il piano di crisi, non può cedere su questi punti.
L’accordo non c’è. Torniamo al tavolo plenario e la Fnsi muove ulteriori rilievi formali. Con un argomentare barocco, Ronsisvalle afferma prima che non c’è rispondenza tra i tagli chiesti dall’azienda e i conti del bilancio, poi sostiene che il fatto che nell’accordo trovato al tavolo i prepensionamenti siano scesi a 14 “dimostra come tutta questa crisi non c’è”. A me sembra un autogol perché di fatto si dà ragione all’azienda ma non c’è tempo per riflettere in quanto la delegazione Fnsi si allontana in un’altra stanza.
Noi spieghiamo all’azienda che non c’è margine per trattare: non possiamo spaccare il sindacato e portare in redazione un risultato al ribasso. L’azienda fa salire la sua offerta a un passo dai nostri obiettivi: 14 ore di straordinario (7 per le redazioni non di cronaca) e 130 di notturno, poi 135 di notturno e 13 di straordinario. La nostra risposta è ancora no. Chiediamo il pareggio. Del Noce mi fa vedere la sua tabella tecnica che dimostra come il pareggio con le 22 ore per 11 mesi si raggiunga a 13,50 ore. Non mi fido e resto al mio conteggio: 15. Alla fine, lo sapete, spuntiamo le 15 ore (10 per le altre redazioni) sullo straordinario e le 156 (su 156) per il notturno. Al momento della lettura dei verbali scopriamo che la Fnsi non si limita a una serie di prese di distanza, come ci aspettavamo, ma si rifiuta di firmare, venendo meno a quanto ci aveva assicurato poche ore prima. E persino chi ci aveva detto esplicitamente che facevamo bene a trattare nell’interesse della redazione firma il documento della Fnsi che critica peraltro l’accordo che tutela il lavoro straordinario.
Ci guardiamo negli occhi e ci diciamo che abbiamo fatto il possibile, guardando all’interesse di tutti. Rispetto al non accordo, la cassa intergazione scende da un massimo di 25 unità a un massimo di 13 (14 da settembre). La decorrenza resta il primo luglio, ma i primi due mesi sono di solidarietà in favore dei prepensionandi. La durata dello stato di crisi si riduce da 18 mesi a 12. Chi viene accompagnato alla pensione non farà cassa integrazione fino al raggiungimento della finestra del primo gennaio 2010. C’è qualche contentino per Roma (ma lì la sconfitta resta tutta). Si riduce il taglio degli articoli 2. Si salvano cinque prepensionandi su 19. C’è uno stop all’attacco alle retribuzioni. Si trova una formula sulle settimane corte che mette fine all’assurdo di giornate lavorate che non danno diritto alla quota di riposo.
L’intesa, nel suo insieme, è questa. E non so se dopo il mancato accordo si poteva spuntare di meglio o se, come ci dicevano, ci saremmo davvero ritrovati con il cappello in mano. So che alcuni non sono convinti dei conteggi fatti e in particolare si stupiscono del fatto che 15 possa fare 22 o che le corte misurate a giornata siano vantaggiose rispetto al sistema attuale.
Sugli straordinari bisogna ricordare che il contratto non ci aiuta, ovvero dice con chiarezza che lo straordinario è a richiesta e non è un diritto. E’ vero che da noi si sono pagate per anni le 22 ore a tutti, talvolta (ma non sempre) persino durante le ferie. Ma secondo la Fnsi non ci sono credibili margini per ottenere un riconoscimento legale. L’unico modo per garantire per sempre lo straordinario è di portarlo nella parte alta della busta paga, quella inattaccabile. Come per chi ha il conglobato.
Portare direttamente le 22 ore sarebbe un Bengodi, perché la parte alta della busta paga è quella che si utilizza per remunerare domeniche, festivi, permessi retribuiti, malattie, maternità oltre che tredicesima e tfr. Bisogna quindi calcolare qual è il numero che, considerando tutti gli effetti indiretti in busta paga, dà come risultato 22 per undici mesi, ovvero 242 ore.
Intanto facciamo il calcolo più semplice e cioè 15 ore per 12 mesi più tredicesima e tfr. Cioè 15 per 14 che fa 210. Queste 210  (19 al mese) sono sicure, cioè garantite anche se non si lavorasse mai la domenica.
Cosa succede se si lavora una domenica? La parte alta della busta paga, si è detto, si arricchisce di 15 ore. Cioè di quasi il 10% (9,6%) visto che le ore mensili sono convenzionalmente 156. Questo +9,6% ha effetto sulla domenica la quale è di 6 ore pagate all’155% e cioè 9,3 ore standard. Un aumento del 9,6% su 9,3 ore è pari a 0,89 ore. Quindi ogni domenica e festivo lavorato porta 0,89 ore in più. Considerando 33 domeniche lavorate su 52 e 5 festivi su nove il totale fa 34 ore. Che sommate alle 210 portano il pacchetto annuo a 244 ore. Ovvero 22,2 ore per undici mesi. Per il forfait a 10 ore il calcolo è analogo e l’importo finale diventa di 14,8 ore per undici mesi. A ciò si aggiunge il beneficio che l’importo non scende nemmeno in caso di permessi retribuiti, malattie più o meno prolungate o maternità, se non per la quota su eventuali domeniche e festivi non lavorati.
È vero che tale somma è fissa e non legata agli scatti contrattuali, come del resto accade per tutti i conglobati. Ma nella fase attuale con dinamiche salariali molto modeste appare più importante evitare tagli già in atto. Ferma restando la possibilità, che non può essere esclusa, di una trattativa per rivedere i compensi se e quando le condizioni economiche saranno rosee. Quella somma, quindi, può salire e non più scendere.
Sulle corte, infine, c’è chi si sta esercitando nel cercare la trappola nella nuova formula. In realtà basta guardare le presenze della settimana in corso per vedere che c’è una decina di colleghi che ha programmato una presenza di soli due o tre giorni (iniziano le ferie) e che per quelle giornate di lavoro non si vedrà riconoscere alcun diritto al riposo, contro gli 0,2 giorni per presenza del nuovo sistema. È vero che c’è chi oggi lavora quattro giorni in una settimana e si vede riconoscere una corta intera (con il nuovo sistema solo 0,8) ma basta che capiti una settimana con tre giorni lavorati per ottenere un credito di +0,6 e compensare la perdita di tre settimane con quattro giorni lavorati (-0,2 rispetto a oggi).
Nelle prossime settimane inoltre molti salteranno la settimana corta, a causa degli organici ridotti, e accumuleranno corte arretrate. Ebbene: con il sistema attuale la corta arretrata è una a settimana, con il nuovo metodo si passa a 1,2 perché anche il sesto giorno lavorato dà diritto a uno spicchio di riposo. Ogni cinque settimane di corta saltata, anche non consecutiva, c’è insomma un giorno di riposo in più. Il quale poi, se ci pensate, non è un regalo. Perché cinque settimane lavorate sono 30 giorni (dal lunedì al sabato) e 30 giorni diviso cinque (numero di giorni di lavoro che fa maturare una corta) porta a sei giorni di corta e non solo cinque (uno a settimana) come adesso.
Detto ciò, non si può perdere di vista il quadro generale. Che è di piena crisi dell’editoria cartacea.
Il giornale che ci avviamo a fare sarà più piccolo, privo di un aggancio diretto su Roma, sempre più dipendente da agenzie e servizi esterni. Sarà dura per tutti.

Napoli, 26 giugno 2009 Marco Esposito