Il deserto dei Tartari

Gentile direttore, “La questione della sinistra cittadina e dell’elettorato di sinistra a Napoli è ben più grave, è un nodo politico ormai storico e forse insolubile. Come fosse il deserto dei Tartari rivisitato. Nel fortino sperduto della sinistra si continuano ad affilare le armi, tutti pronti all’ultima battaglia. Non si sono accorti che i Tartari sono già arrivati e hanno fatto piazza pulita. Non c’è più niente da difendere”, così Paolo Macry conclude la sua analisi titolata, impropriamente, (dal direttore Enzo d’Errico? Dai suoi collaboratori Paolo Grassi e Vincenzo Esposito?), “La sinistra nel Deserto dei Tartari” (Corriere del Mezzogiorno del 30 aprile).
Vorrei precisare all’ignaro autore del titolo, che il Deserto dei Tartari cui si riferisce Macry, è il titolo del romanzo di Dino Buzzati, che tutti dovremmo leggere almeno una volta nella vita. Un’opera imprescindibile, che ha consacrato lo scrittore bellunese come una delle voci maggiori della narrativa novecentesca, tanto da fargli valere l’epiteto di Kafka italiano. Era il 1940, sono passati molti decenni, ma Il Deserto dei Tartari resta una delle opere più originali della letteratura italiana. La trama è scarna perché protagonisti del romanzo sono solo il tempo, lento e inesorabile, e l’attesa: nella lontana e leggendaria Fortezza Bastiani generazioni di soldati invecchiano aspettando l’evento che dia un senso alla loro esistenza, l’arrivo dei Tartari dal deserto. Ma i giorni e gli anni si succedono uguali con gli occhi puntati all’orizzonte, tra speranze e disillusioni, senza che nulla accada. In conclusione, la titolazione più appropriata all’editoriale di Paolo Macry era: “La sinistra e il Deserto dei Tartari” e non nel Deserto dei Tartari, che è un luogo immaginario. 

Sergio Formale

 
Paolo Macry
Dino Buzzati
Franz Kafka