Roberto Paolo: Siani,
"il caso non è chiuso"

DAL 22 NOVEMBRE è nelle librerie ‘Il caso non è chiuso / La verità sull’omicidio Siani’, scritto dal giornalista Roberto Paolo (*), edito da Castelvecchi. Iustitia ha intervistato l’autore.
A oltre ventinove anni dall’esecuzione di piazza Leonardo un altro libro su Giancarlo Siani. Perché?Perché la verità sull’omicidio Siani non è stata ancora scritta per intero. Mancano altri mandanti, oltre i Nuvoletta; mancano altri moventi, oltre l’articolo del 10 giugno in cui veniva ipotizzato il tradimento dei Nuvoletta nei confronti dell'alleato Valentino Gionta; e soprattutto perché, a mio parere, gli esecutori materiali non sono i condannati con sentenza definitiva, Ciro Cappuccio e Armando Del Core, che probabilmente non furono estranei al delitto e forse hanno avuto un ruolo minore anche nella fase esecutiva”.
Chi sono gli esecutori e gli altri mandanti?
Nel libro avanzo delle ipotesi e

faccio nomi e cognomi di persone che possono essere state coinvolte nell’organizzazione e nell’esecuzione del delitto o che non hanno detto tutto ciò che sanno. Le mie ipotesi nascono da quattro anni di giornalismo investigativo che mi

Enrica Parascandolo e Henry John Woodcock

hanno portato a rintracciare testimoni e documenti inediti”.
Facciamo qualche nome.Il più importante dei testimoni inediti l’ho coperto con un nome di fantasia. È un signore che dopo avere passato la metà della sua vita in galera, è poi tornato libero. Durante le mie indagini ho trovato il suo nome e ho chiesto di incontrarlo. Aveva letto alcuni articoli su Siani che ho pubblicato nel 2010 sul mio giornale, il Roma, e mi ha raccontato che aveva fatto parte di un gruppo criminale che a metà degli anni Ottanta viveva e operava a Chiaia, era agli ordini di Paoletto Cotugno, uomo del clan Giuliano. Nel corso dell'incontro mi ha detto di avere consegnato le armi ai killer di Siani e di avere raccolto le loro confidenze prima e dopo l’esecuzione”.  
E i documenti inediti?Uno dei più importanti riguarda la parentela di Vincenzo Cautero, ucciso quattro mesi dopo l’omicidio di Giancarlo Siani per motivi che non sono stati mai chiariti, con Guglielmo Giuliano, che aveva sposato una sua cugina. Cautero, il capo zona dei Giuliano al Vomero, era il leader di una cooperativa di ex detenuti con sede in via Suarez, a pochi metri da piazza Leonardo, e aveva l’incarico, insieme a Ciro Giuliano, di contabilizzare le tangenti che le cooperativa dovevano versare al clan, in particolare a Salvatore e a Ciro Giuliano”.

Francesco Greco e Giuseppe Narducci

Altri inediti?C’è un servizio di Siani che non viene mai citato. È un articolo dell’aprile del 1985 nel quale il corrispondente del Mattino parla delle cooperative di disoccupati di Torre Annunziata e fa un parallelo con le

cooperative di ex detenuti di Napoli fino a ipotizzare che nelle une e nelle altre ci fossero infiltrazioni camorristiche. All’epoca non c’erano inchieste sulla presenza della camorra nelle cooperative e le prime indagini partono soltanto un anno dopo, nella primavera del 1986 ad opera del pm della procura di Napoli Francesco Greco, procuratore oggi di Napoli Nord”.
Chi sono i mandanti?L’omicidio, secondo me, va attribuito alla decisione di tre clan: i Nuvoletta di Marano, i Giuliano di Forcella e i Gionta di Torre Annunziata. Soltanto Nuvoletta è dentro la ‘verità’ giudiziaria acquisita salvo che andrebbe approfondito il ruolo avuto dalla mafia, perché nessun mafioso è stato indagato per l’omicidio di via Romaniello. A cavallo della sentenza di Cassazione su Siani molti dei Corleonesi si sono pentiti, e tra questi Giovanni Brusca, il quale rivela di essere stato per lungo tempo e a più riprese nella tenuta dei Nuvoletta a Marano dove insegnava ai camorristi come sciogliere i cadaveri nell’acido. Eppure nessuno dei magistrati ha chiesto a Brusca di parlare dell’omicidio Siani. E sarebbe opportuno che qualcuno lo facesse”.
Valentino Gionta è stato condannato, ma poi la Cassazione ha cassato la sentenza.Ben cinque pentiti del clan Gionta affermano che il loro clan ha partecipato all’omicidio. E poi c’è Ferdinando Cataldo che, secondo me, non ha detto tutto quello che sa. Altro filone subito accantonato è quello di Alfonso Agnello, attualmente detenuto perché autore di diversi omicidi, che venne subito arrestato per il riconoscimento senza tentennamenti del garagista che era a pochi metri da dove avvenne l’esecuzione e qualche giorno dopo venne scagionato per un alibi molto dubbio. Tra l’altro nessuno cita mai i verbali dei titolari del bar Lety di piazza Leonardo che dichiarano di avere visto nel loro bar, nei giorni che

precedono l’omicidio, Agnello con Cautero”.
E i Giuliano?Nei primi mesi dopo l’omicidio ci fu un rapporto riservato dei carabinieri del gruppo Napoli 1 che riporta le dichiarazioni di un confidente, Patrizio Annunziata, uomo di punta al

Giovanni Melillo e Alessandro Pennasilico

Vomero del clan Giuliano, secondo il quale gli omicidi di Siani e Cautero erano stati eseguiti dai Giuliano. Nessuno dei Giuliano pentiti ha mai parlato dell’omicidio Cautero, neanche Salvatore Giuliano che era il suo referente nel business delle cooperative, né Guglielmo che era il marito della cugina di Cautero, Rita Tolomelli, morta alcuni anni fa perché pestata da un vicino. Né Salvatore, né Guglielmo, entrambi pentiti, parlano dell’omicidio Cautero forse perché potrebbe portare all’esecuzione di Siani, che nessuno si vuole accollare”.
Dopo i suoi articoli del 2010 sul Roma la procura di Napoli apre un fascicolo, ora affidato ai sostituti procuratori Enrica Parascandolo e Henry John Woodcock. A che punto sono le indagini?A chi sia affidata oggi l'indagine non lo so. Posso dire che in alcuni miei articoli del 2010 parlo di Paoletto Cotugno e di Alessandro Apostolo, che vengono indicati da più parti come i possibili esecutori del delitto Siani. Dopo di allora sono stato più volte sentito in procura mentre andavo avanti nel mio lavoro investigativo. Nella prima fase il fascicolo era seguito dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico, responsabile della Direzione distrettuale antimafia per Napoli e area nord, e dal pm Giuseppe Narducci. Poi le indagini sono passate al procuratore aggiunto Giovanni Melillo. Da tempo ormai Pennasilico, Melillo e Narducci non lavorano più a Napoli”.

(*) Natali napoletani, radici a Montesarchio nel Beneventano, cinquanta anni da compiere nei primi giorni di dicembre, Roberto Paolo è laureato in Scienze politiche alla Luiss e ha due master, uno a Bruges in Belgio e il secondo a Caserta. Nel dicembre del ’94 viene assunto al ministero dei Lavori pubblici dove rimane fino al marzo ’96; dal primo aprile viene assunto come praticante al ‘Corriere di Caserta’, fondato e diretto da Pasquale Clemente; nel maggio del ’98, sempre con Clemente al timone trasloca alla ‘Gazzetta di Caserta’, supplemento


Roberto Paolo

provinciale del ‘Roma’, da due anni rieditato da Giuseppe Tatarella e Italo Bocchino. Dal gennaio 2001 si trasferisce a Napoli per lavorare con i gradi di redattore capo al Roma e attraversa tutte le travagliate fasi (con licenziamento e riassunzione, retrocessione a capo servizio) vissute fino ad oggi dal quotidiano “più antico del Mezzogiorno”.
Attualmente, con i gradi di redattore capo, fa parte della squadra di vertice del giornale con il pensionato Antonio Sasso direttore editoriale e Pasquale Clemente direttore responsabile ed è presidente del consiglio d'amministrazione della cooperativa ‘Nuovo giornale Roma’ che confeziona il quotidiano. Roberto Paolo ha pubblicato servizi, anche fotografici, su 'l’Espresso', 'Io Donna', 'Il Tempo' e il bimestrale 'Africa'.