Cassazione, nuova
sberla a Caltagirone

IL 13 OTTOBRE la sezione lavoro della Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’avvocato Giovanni Lazzara, legale della Servizi Italia 15, una srl della galassia del gruppo editoriale Caltagirone, contro la riassunzione dell’archivista del Messaggero Lorenzo Carresi, assistito dall’avvocato Marco Petrocelli. E ha condannato l’editore a pagare oltre cinquemila euro di spese legali. In quattro pagine la Suprema corte (presidente Lucia Tria, consiglieri Elena Boghetich, relatrice, Fabrizio Amendola, Margherita Maria Leone, Carla Ponterio) smonta tutti i motivi del ricorso e conferma la decisione del 3 ottobre del 2019 della Corte d’appello di Roma (Vittoria Di Sario presidente, consiglieri Guido Rosa e Vincenzo Selmi, relatore) e la sentenza del 19 marzo 2019 del giudice della terza sezione lavoro

Eliana Pacia che hanno dichiarato illegittimo il licenziamento inflitto da Servizi Italia a Carresi il primo giugno 2017.
Con il sigillo apposto il 13 ottobre dalla Cassazione Carresi ha finora

Elena Boghetich, Lorenzo Carresi e Lucia Tria

incassato sei sentenze di reintegra nel posto di lavoro ottenute sia in primo grado che in Corte d’appello, tre per Servizi Italia 15 e tre per il Messaggero, con decisioni univoche di decine di magistrati. Un’impresa titanica considerata la sproporzione delle forze tra i contendenti. C’è però una ‘questione’ Caltagirone che va risolta.
L’editore e i suoi dirigenti vogliono mano libera nelle loro manovre senza troppo curarsi dei dipendenti. La filosofia è semplice: se non ti sta bene, fammi causa. A questo primo principio se ne è aggiunto un secondo: se il magistrato ti reintegra nel posto di lavoro, dopo qualche giorno ti licenzio di nuovo e, se vuoi, rifammi causa. L’obiettivo è stroncare la resistenza anche del più coriaceo dei dipendenti, senza contare che magari, a furia di cercare, si potrebbe anche trovare un giudice più sensibile alle tesi degli imprenditori.
La strategia dei licenziamenti a ripetizione dimostra però plasticamente la volontà della società di non dare nella sostanza esecuzione alle sentenze della magistratura. È forse giunto il momento che un giudice non solo reintegri il lavoratore illegittimamente licenziato ma sanzioni in maniera adeguata chi cerca di farsi beffe delle sentenze.