Mancuso, il gip archivia
la querela contro il Roma

CON POCO PIÙ di una pagina Rosalba Liso, gip del tribunale di Roma, ha archiviato la querela presentata nel novembre 2006 da Paolo Mancuso, oggi procuratore capo a Nola, contro il giornalista Roberto Paolo e il direttore responsabile del Roma Antonio Sasso.
All’origine della querela un articolo, pubblicato dal Roma il 21 ottobre 2006 e firmato dal redattore capo Roberto Paolo, centrato sulla decisione del Consiglio superiore della magistratura di archiviare l’azione disciplinare, per frequentazioni ‘discutibili’, avviata nei confronti di Mancuso, all’epoca procuratore aggiunto a Napoli. L’occhiello del servizio è: “Giustizia e Veleni / Il procuratore aggiunto napoletano ora ha la via spianata per diventare capo

del Dap, il vertice delle carceri italiane”; il titolo: “Il Csm scagiona Mancuso”; il sommarione: “Un magistrato può andare a caccia con pregiudicati, imputati di camorra o persone indagate dal proprio ufficio: nessun illecito disciplinare”. 
Il gip di Roma, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Carlo Luberti, ha respinto l’opposizione all’archiviazione presentata dall’avvocato di Mancuso, Giuseppe Fusco. “Appaiono ravvisabili nel caso in esame – scrive il giudice Liso – i tre presupposti dell’esimente dell’esercizio del diritto di


Antonio Sasso

cronaca indicati dalla giurisprudenza per la sua esistenza, cioè il pubblico interesse o meglio l’interesse diffuso, riscontrabile nell’attenzione che può suscitare la correttezza istituzionale di un magistrato, e la veridicità della notizia, poiché i soggetti con i quali il Mancuso era entrato in contatto erano di fatto indagati e nei cui confronti, sia pure limitandosi ad apporre un visto, costui aveva esercitato una supervisione ed un controllo nel corso delle indagini”. “Anche la continenza dell’espressione, nel caso in esame, rileva la correttezza di contenuto e forma, essendo state utilizzate nel riferire i fatti espressioni di per sé non offensive, né di particolare significato evocativo ed insinuante”. Del resto, annota il gip, “non può non rilevarsi come nella querela l’opponente (Mancuso, ndr) in realtà abbia lamentato solo e unicamente l’effetto lesivo della valutazione sottesa alla descrizione dei fatti offerta nell’articolo, mentre in realtà egli non ha mai contestato la veridicità degli eventi, nella sostanza fornendo una versione dei fatti non del tutto lontana da quella riportata nell’articolo”.
Un’affermazione sulla quale è in totale disaccordo la difesa del procuratore Mancuso, che ha già presentato ricorso in Cassazione. Due i punti al centro delle nove pagine del ricorso firmate dall’avvocato Fusco: “l’inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità”; “l’inosservanza ed erronea applicazione di legge penale”.
Sul primo punto “la pacifica e non contestata ammissibilità dell’opposizione (all’archiviazione, ndr) – sostiene il legale di Mancuso – avrebbe imposto la fissazione della camera di consiglio anche perché non ricorrevano le condizioni


Giuseppe Fusco

per la pronuncia di un decreto de plano”.
Più articolata e complessa l’analisi del secondo punto che parte da una premessa: “la capacità e potenzialità oggettivamente diffamatoria delle espressioni usate dal giornalista nell’articolo denunciato sono riconosciute come sussistenti dallo stesso pubblico ministero”. Nel servizio del Roma, osserva Fusco, “si afferma che Mancuso, non solo era frequentatore di ‘persone condannate per gravi reati’, ma che era addirittura andato a caccia ‘con pregiudicati imputati di camorra’ e anche ‘con

presunti fiancheggiatori del clan Di Lauro, indagati o condannati per gravi reati (fra essi Stefano Marano)’ e frequentava persone indagate per camorra o condannate per droga, ricettazione e estorsione“.
Ma, secondo l’avvocato del magistrato, sono affermazioni inesatte. “Dalla lettura del capo di incolpazione (al Consiglio superiore della magistratura, ndr) – puntualizza Fusco nel ricorso in Cassazione – risulta che Marano Stefano era stato più volte condannato ma ‘per plurime violazioni della legge urbanistica, per omicidio colposo, per violazioni dei sigilli’; era stato inoltre sottoposto a processo, conclusosi in primo grado con l’assoluzione per i delitti di cui agli articoli 416 bis, 640, 629 del codice penale (associazione camorristica, truffa e estorsione, ndr) e aveva subito altro procedimento per il delitto di cui all’articolo 416 bis definito con l’archiviazione”.
E l’avvocato continua: “nessun riferimento vi è, invece, sempre nel capo di incolpazione a una vicenda, pur essa riferita nell’articolo, secondo la quale Mancuso in altre occasioni andò a caccia con un esponente di primo piano di un clan del foggiano, attualmente detenuto con l’accusa di omicidio”.
Dal tribunale capitolino, quindi, è stato assegnato il primo round al Roma; per il secondo bisognerà attendere la decisione della Suprema corte. Poi tempi certamente lunghi per il giudizio civile promosso da Mancuso contro il Roma per una lunga serie di articoli chiusa proprio dal servizio dell’ottobre 2006 sulla decisione del Consiglio superiore della magistratura.