Uno la propria terra se la porta nel cuore, altro che chiacchiere. La fama, la celebrità, il sottile ma composto piacere di essere un viso noto e riconosciuto tra tanti anonimi (“Hai visto, ma è proprio lui?). Sono segnali che ti gratificano, però il pensiero torna sempre lì, al paesello da cui è partita la grande avventura (“la città del corallo ai piedi del Vesuvio” come la descrive in poche ma originali pennellate di biro uno dei suoi figli più illustri, e ci pare quasi di cogliere nella calligrafia un velo di struggente malinconia), agli amici di una spensierata infanzia fatta di partitelle a calcio alla periferia del paesello all’ombra del vulcano sonnacchioso, se possiamo consentirci anche noi una botta di originalità. Poi passano gli anni, e quel ragazzo ne ha fatta di strada, come il Celentano della via Gluck. Il monello torrese in braghe corte cresce e diventa Ermanno Corsi (e ho detto tutto. E scusate il ciclico riferimento a Peppino De Filippo).
E ritorna a sentire gli antichi odori torresi, il vento tumultuoso che si insinua tra i filari di vite che crescono floridi nel terreno vulcanico, osserva il paese che si trasforma in città e la storia della piccola banca nata come scommessa e oggi radicatasi nel terreno come quei filari di vite (“sul mercato ormai da 120 anni, con sessanta sedi dislocate strategicamente sul territorio campano. E entro un paio di anni saremo a settanta”), come racconta ad un commosso Corsi il presidente della banca, De Simone, che nella prima colonna dell’articolo che il 9 febbraio scorso gli dedica il Denaro di Alfonso Ruffo si chiama Antonino, ma che subito dopo alla seconda colonna è già diventato un più familiare Nino e immaginiamo la conversazione davanti ad una allegra impepata di cozze. E ci ritornano alla labile memoria gli indimenticabili Tg Campania di qualche anno fa, quando con il cuore in gola per le mattanze di camorra, il cancro della corruzione nella pubblica amministrazione, gli operai licenziati barricati disperatamente nelle fabbriche dismesse…dal tubo catodico usciva lui, misurato e rassicurante, sviluppando il notiziario, più che su una regione che ogni giorno fa a sportellate con se stessa per sopravvivere, sulle 'buone notizie' come l’apertura di un nuovo sportello della banca di Nino e del suo predecessore Francesco Coscia.
Col permesso di Mario Capanna, davvero formidabili quegli anni. E allora ecco che l’encomiabile iniziativa dell’istituto torrese di dare vita a iniziative mecenatesche a favore della musica classica diventa un dolce pretesto per dare ulteriore lustro ai ricordi, alla città e ad un altro suo figlio illustre, quel Salvatore Accardo indiscusso virtuoso del violino che per Corsi è stato compagno di gioco nell’infanzia, quasi un fratello. In realtà, come ci dice Wikipedia, un cugino, avvicinato all'arte di Niccolò Paganini proprio da Ermanno. E mentre i ricordi volano struggenti su magiche sinfonie barocche, Nino ha il tempo di ricordarci l’apertura di uno sportello a Formia, non prima di regalarci un sottilissimo aforisma che avrebbe fatto impallidire Oscar Wilde: “Il nostro principio è sempre lo stesso: investire dove si raccoglie”. |