In appello sentenza
a favore dei precari

ARRIVA DALLA CORTE d’appello di Napoli una buona notizia per i lavoratori della Rai  (dall’intrattenimento all’informazione, dalla fiction alla soap) che vedono scorrere gli anni  accumulando contratti a termine e via via assorbono precarietà e insicurezza che rischiano di diventare strutturali.
La notizia nasce dall’azione promossa nell’ottobre 2003 da Lucia Bolognino che dopo sei anni di contratti a termine come costumista spesi dal ’97 al 2003

tra programmi come ‘Posta del cuore’, ‘Furore, ‘Convenscion’, ‘Alle falde del Kilimangiaro’, ‘Un posto al sole’, si è rivolta alla magistratura per vedere riconosciuto il


Licia Colò, conduttrice di 'Alle falde del Kilimangiaro'

diritto a un contratto a tempo indeterminato. Il 21 luglio 2005, in primo grado, la richiesta è stata respinta dal giudice Michele Caroppoli e nel 2008 accolta nel giudizio di secondo grado.    
Con sentenza depositata il 14 gennaio, la sezione lavoro della Corte d’appello di Napoli (presidente Alessandro Bavoso, giudici a latere Giovanni Maria Rossi e il relatore Paolo Landi), ha dichiarato “la sussistenza di un lavoro a tempo indeterminato tra l’appellante (Lucia Bolognino, ndr) e la società appellata (la Rai, ndr) a decorrere dal 22 dicembre 1997” e ha condannato “la Rai a riammettere in servizio l’appellante Bolognino Lucia con la qualifica attribuita al momento della risoluzione del rapporto”.
Ha condannato la Rai, difesa dagli avvocati Raffaele De Luca Tamajo e Carlo Boursier Niutta, “al pagamento in favore della Bolognino a titolo di


Lo studio di 'Furore'

risarcimento del danno di una somma di ammontare pari alle retribuzioni maturate dal 23 maggio 2003”, con rivalutazione e interessi legali, al pagamento all’avvocato

Rocco Truncellito, difensore della Bolognino, delle spese legali del doppio grado di giudizio, liquidate in 2.700 euro complessivi.
“Il punto nodale della controversia - scrive nella sentenza il relatore Landi – è l’interpretazione dell’articolo 1 della legge 230 del ’62, come modificato dalla legge 266 del ’77,  secondo cui è consentita l’apposizione del termine nelle assunzioni di personale riferite a pubblici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi”. E cita la Cassazione, secondo la quale per instaurare un rapporto a termine è necessario che il contratto si riferisca a un’attività limitata nel tempo e che abbia anche una sua specificità.
“Affinché il rapporto di lavoro a termine – chiarisce il giudice – possa ritenersi legittimo occorre che il rapporto si riferisca a una esigenza di carattere temporaneo della trasmissione, da intendersi non nel senso di straordinarietà o occasionalità dello spettacolo (che può essere anche diviso in più puntate e ripetuto nel tempo), bensì nel senso che lo spettacolo abbia una durata limitata nell’arco di tempo della complessiva  programmazione fissata dall’azienda (cosiddetto palinsesto), per cui essendo destinato a esaurirsi, non consente lo

stabile inserimento del lavoratore nell’impresa”.
E continua: “Quanto poi al requisito della specificità, la Suprema Corte ha affermato che il programma,


Natasha Stefanenko, conduttrice di 'Convenscion' e Rocco Truncellito

oltre a essere temporaneo nel senso sopra precisato, sia anche caratterizzato dall’atipicità o singolarità rispetto ad ogni altro programma normalmente e correntemente organizzato dall’azienda nell’ambito della propria ordinaria attività radiofonica e televisiva. I due requisiti sono tra loro strettamente connessi perché solo se il programma è specifico, e quindi dotato di proprie caratteristiche, idonee ad attribuirgli una propria individualità e unicità, esso si configura come un momento episodico dell’attività imprenditoriale, e quindi risponde al requisito della temporaneità”. E per essere ancora più chiaro il relatore cita un caso in cui la Corte di cassazione ha ritenuto legittimo l’utilizzo di un contratto a termine: si trattava di “un giornalista esperto d’arte incaricato di realizzare puntate televisive monografiche specificatamente individuate e dedicate ciascuna a un pittore locale calabrese”.
Quindi il giudice Landi si avvia alle conclusioni, non risparmiando una serie di punture critiche alle argomentazioni e alla documentazione presentate dalla Rai: “Non può omettersi di rilevare che la lavoratrice appellante è stata comunque sempre inquadrata nel nono livello (tra i cui profili esemplificativi è


Sabina Guzzanti, protagonista de 'La posta del cuore'

compreso anche l’addetto ai costumi)” e “risulta, poi, circostanza non contestata quella secondo cui, nell’arco temporale durante i quali i contratti a

termine in contestazione hanno avuto esecuzione, nella Rai prestavano servizio un numero cospicuo di addetti ai costumi assunti a termine, di gran lunga superiore a quello dei dipendenti adibiti ad analoghe mansioni e con rapporto a tempo indeterminato. Detta circostanza e il fatto che i programmi cui l’appellata (Lucia Bolognino, ndr) ha successivamente collaborato avevano – giusta quanto è dato desumere dalle scarne annotazioni contenute nella memoria di costituzione (della Rai, ndr) – oggetti assai vari (di intrattenimento, umoristici, soap opera, musicali), alcuni dei quali (‘Furore, ‘Convenscion’, ‘Un posto al sole’) andati in onda per molti anni, ulteriormente confermano la non ravvisabilità nel caso di specie delle condizioni oggettive e soggettive” richieste dalla legge.
“Tali elementi, invero, – continua Landi – da un lato, evidenziano che il fabbisogno del personale con la qualifica di addetto ai costumi era senz’altro maggiore di quello garantito dai lavoratori assunti stabilmente, e così l’insussistenza di una necessità temporanea; dall’altro, inducono ancora di più

a dubitare che l’apporto lavorativo dell’appellata potesse essere idoneo a caratterizzare una gamma così variegata di spettacoli ovvero ad


I protagonisti di 'Un posto al sole'
‘esprimere  un’impronta distintiva e di personale significato al prodotto radiotelevisivo’ (secondo l’indicazione fornita dalla Cassazione con la  sentenza 6918 del 2004, ndr)”. Inevitabile la decisione: “Alla luce delle considerazioni esposte, il gravame (l’appello, ndr) deve, dunque, essere accolto e, in riforma della impugnata sentenza, va dichiarata la nullità del termine apposto al primo contratto di lavoro a tempo determinato stipulato dalle parti in data 22 dicembre 1997”.

Le foto delle trasmissioni televisive sono di Alfredo Capozzi