Napoli, riflettori
spenti su Cesaro

È VENUTO FUORI, con la 'solita' inchiesta dell’Espresso, un nuovo e importante capitolo della vita di Luigi Cesaro, dal 1996 sempre eletto alla camera dei deputati, con una parentesi dal '99 al 2001 all'europarlamento di Strasburgo, e da giugno anche presidente della Provincia di Napoli.
L'inchiesta del settimanale, firmata dal collaboratore Claudio Pappaianni, racconta alcune vicende della famiglia Cesaro (con il capostipite Francesco ci

sono una sorella e cinque fratelli: Aniello, Antimo, Antonio, Raffaele e Luigi) e le disavventure giudiziarie di quest’ultimo, disavventure ormai lontane nel tempo ma di notevole allarme. Pappaianni scrive dei rapporti di Luigi Cesaro nella prima metà degli anni ottanta con i


Raffaele Cutolo e Claudio Pappaianni

vertici della Nuova camorra organizzata. In particolare riporta la notizia di una condanna in primo grado a cinque anni di reclusione per favoreggiamento dell’attuale presidente della Provincia per aiuti, contatti e incontri con Raffaele e Rosetta Cutolo, Antonio Cuomo, Pasquale Scotti e “altri personaggi di rilievo dell’organizzazione camorristica denominata Nco”.
Il 19 giugno 1986 la IV corte d’appello (presidente Luigi Cristiano, giudici a latere Massimo Freda e l’estensore Alfonso Stravino, mentre l’accusa è affidata al sostituto procuratore generale Armando Olivares) muta la condanna in assoluzione per “insufficienza di prove”, decisione poi confermata dalla Corte di cassazione. I giudici elencano sei addebiti nei confronti di Cesaro che scaturiscono dalle accuse di due esponenti della Nco, Mauro Marra e Pasquale D'Amico. Il primo addebito. “Avrebbe partecipato all’evasione di Raffaele Cutolo dall’ospedale psichiatrico di Aversa (il 5 febbraio 1978, ndr)”. Il secondo. “Avrebbe assistito nel 1978 a una riunione dei capi storici della Nco tenutasi nella casa paterna”. Il terzo. “Avrebbe fornito appartamenti a Antonio Cuomo”. Il quarto. “Avrebbe accompagnato il Cuomo, durante la latitanza di costui, in vari posti”. Il quinto. “Secondo il Marra (arrestato nel dicembre del 1983, poi dissociatosi dall’organizzazione e diventato collaboratore delle forze dell’ordine, ndr) avrebbe favorito i collegamenti tra i vertici della Nco”. L’ultimo. “Avrebbe ripetutamente


Rosetta Cutolo e Marco Demarco

finanziato la Nco”.
Accuse, come si vede, pesantissime, ma secondo i giudici della corte d’appello non confortate da prove solide. Stravino scrive: “Il primo addebito è smentito dalle indagini svolte dai carabinieri che hanno accertato che il giorno dell’evasione di

Cutolo il Cesaro si trovava, insieme con i fratelli e altri amici, a Torino per assistere a una partita di calcio. Quanto al secondo addebito, il D’Amico in un primo tempo riferisce che la riunione dei vertici della Nco si tenne a casa di Francesco Cesaro, padre dell’imputato, e solo in seguito riferisce che ad essa partecipò anche Luigi Cesaro. In ordine al terzo addebito va osservato che non l’imputato, ma il padre ha dato appartamenti in locazione a elementi della malavita organizzata, ma i contratti di locazione sono stati regolarmente denunziati al comando della stazione dei carabinieri di Sant’Antimo, sicché in tale operato non è ravvisabile una finalità favoreggiatrice”.
Stravino passa poi a rileggere e ridimensionare le altre accuse. “In ordine al quarto addebito (negato dall’imputato) va osservato che il D’Amico è teste ‘de relato’ avendo appreso dal Cuomo la circostanza che costui, a richiesta, veniva accompagnato dal Cesaro. Orbene l’inesistenza del primo addebito, l’imprecisione, l’incertezza, o infondatezza degli altri pone in dubbio l’attendibilità dell’intera deposizione del D’Amico, non potendosi escludere che lo stesso, così come ha mentito in ordine alla prima circostanza, abbia potuto mentire anche sulle altre circostanze riferite. Per quanto concerne poi l’accusa mossa dal Marra, il Cesaro ha spiegato (e ciò in ordine al quinto

addebito) che al fine di sottrarsi alle pesanti richieste estorsive del gruppo Scotti (ammesse dal Marra) chiese i buoni uffici di Rosetta Cutolo la quale inviò una lettera di “raccomandazione” allo Scotti. Tale lettera consegnata da due donne, emissarie della Cutolo, al


Ennio Bonadies e Armando Cono Lancuba

Cesaro, venne da costui a sua volta consegnata allo Scotti, che da quel momento cambiò “atteggiamento” nei confronti dell’impresa edile del Cesaro. Per quanto concerne l’ultimo addebito è dubbio se i finanziamenti alla Nco erano atti di liberalità ovvero rappresentassero le tangenti che comunque i Cesaro erano tenuti a versare, così come lascia intendere il Marra allorché al giudice istruttore il 5 aprile 1984 dichiara: non posso dire che il Cesaro fosse una nostra vittima, anche se doveva pagare soldi su ogni lavoro che faceva”. 
Quindi Stravino tira le somme. “In conclusione, il quadro probatorio relativo alla posizione del Cesaro non può dirsi tranquillante. L’amicizia dell’imputato con tutti i grossi esponenti della Nco può trovare la sua ragion d’essere nella necessità di evitare pesanti sacrifici economici, come sostiene l’appellante (Luigi Cesaro, ndr), ovvero in una sorta di compiacimento psicologico per tante importanti “conoscenze”. Il dubbio, però, che l’imputato abbia reso favori ai suddetti personaggi per ingraziarseli sussiste e non è superabile dalle contrastanti risultanze processuali. Si impone l’assoluzione dell’imputato dal reato attribuitogli per insufficienza di prove”.
Sono lunghi gli stralci della sentenza della corte d’appello, ma sono utili perché forniscono un quadro sorprendente e allarmante e potrebbero in qualche modo dare una luce diversa ad alcune recenti dichiarazioni dei pentiti su Cesaro (anche queste pubblicate dall’Espresso nel settembre del 2008 in un


Emiliano Fittipaldi e Adolfo Izzo

servizio firmato da Gianluca Di Feo e Emiliano Fittipaldi). Infine due dettagli che non hanno alcun riflesso sulla sentenza. Nel 1994 Massimo Freda è stato indagato nell’ambito delle indagini sui rapporti ravvicinati tra magistrati e camorristi, indagini

condotte dai sostituti della procura di Salerno Ennio Bonadies e Adolfo Izzo che portarono all’arresto di Armando Cono Lancuba, mentre la posizione di Freda venne poi archiviata. Nel 1985 Stravino fu tra i magistrati coinvolti nell’inchiesta sulla casa squillo di via Palizzi condotta dal pm di Salerno Alfredo Greco, ma le accuse contro di lui furono successivamente archiviate.
E chiudiamo il capitolo della sentenza della corte d’appello che, al di là dell’assoluzione per insufficienza di prove, stabilisce alcuni punti certi, anche prescindendo dal summit a casa Cesaro e dagli appartamenti fittati “ad esponenti della malavita organizzata”. Il primo. Luigi Cesaro era in “amicizia con tutti i grossi esponenti della Nuova camorra organizzata”. Il secondo. Luigi Cesaro per ridurre l’importo della tangenti (o contributi) da versare a Pasquale Scotti chiede e ottiene l’intervento di Rosetta Cutolo e consegna di persona la lettera di raccomandazione a Scotti, che gli accorda lo sconto.
Nella scorsa primavera Cesaro è stato protagonista di una lunga campagna elettorale e da sei mesi guida la terza Provincia d’Italia, ma nell’arco di un intero anno nessun giornale napoletano ha dedicato spazio alla sua “amicizia con tutti gli esponenti di spicco della Nco”. Eppure nelle due scuole di giornalismo della Campania insegnano ai praticanti che compito della stampa,

sul modello anglosassone, è ‘vivisezionare’ i candidati perché i cittadini possano essere bene informati su chi li andrà a governare. Del resto le omissioni e silenzi su chi amministra o vuole amministrare la cosa pubblica sono la regola, anche su aspetti minori;


Nicola Cosentino e Antonio Cuomo

basti pensare che nell’ultima campagna elettorale nessun giornale ha stigmatizzato con forza che proprio Cesaro è riuscito con motivazioni varie a sottrarsi ai tre confronti organizzati dalla Rai con tutti i candidati alla presidenza della Provincia di Napoli.
Il silenzio generalizzato dei giornali viene rotto soltanto dal Corriere del Mezzogiorno di Marco Demarco, che ha scelto il ruolo di difensore d’ufficio dei vertici campani del Pdl, ramo Forza Italia, rimediando sul fronte delle notizie più di uno scivolone (vedi la vicenda imbarazzante della richiesta d’arresto del sottosegretario Nicola Cosentino).
Torniamo a Cesaro. Due giorni dopo l’arrivo in edicola dell’Espresso, il Cormezz dedica all’inchiesta di Pappaianni l’apertura della seconda pagina con un servizio di Angelo Agrippa: tutto è sfumato, sono passati tanti anni, e quindi non c’è la notizia della condanna a cinque anni in primo grado, ma si dice di un’assoluzione in appello senza il dettaglio della “insufficienza di prove”. Si arriva a oggi e il quadro diventa più nitido quando viene registrato lo “sdegno” di Cesaro contro le “insinuazioni”. E sono “secche” le smentite. Leggiamo Agrippa. “Nei verbali (in realtà nella sentenza d’appello, ndr) si fa riferimento a un possibile incontro tra Cesaro e Scotti”. Sono “ricostruzioni che il presidente della Provincia respinge seccamente: “Si tratta, - aggiunge (Cesaro, ndr) - di fandonie che furono oggetto, da parte mia, di una denuncia


Angelo Agrippa e Pasquale D'Amico

alla magistratura… Non ho mai conosciuto né Rosetta Cutolo, né Scotti”. Per il Cormezz va bene così, ma negli stralci della sentenza pubblicati dall’Espresso si legge che è lo stesso Cesaro a spiegare ai giudici la sua scelta di rivolgersi a Rosetta Cutolo per avere

una lettera di “raccomandazione” che consegna di persona a Scotti. Forse anche Cesaro, dopo tanti anni, non ricorda più bene i fatti, ma o diceva una cosa non vera allora o la dice oggi.  
L’inchiesta dell’Espresso si chiude citando due protagonisti delle indagini del 1984: Franco Malvano, allora capo della squadra mobile, che arresta Cesaro, e Arcibaldo Miller, che è uno dei pm della procura di Napoli titolari dell’inchiesta. E l’Espresso ricorda anche che il primo è oggi assessore alla Legalità della Provincia di Napoli, mentre il secondo è stato testimone di nozze del fratello di Luigi Cesaro, Antimo. Al primo Agrippa chiede notizie di quel lontano arresto, ma Malvano non ricorda; non ci sono invece dichiarazioni di Miller. Da notare che il prefetto Malvano e il magistrato Miller sono tra i nomi (soprattutto il secondo) che oggi circolano come  possibili candidati ‘non politici’ del Pdl per la presidenza della Regione Campania.