Repubblica, Verdelli
silurato dalla Juve?

CON UNA ESECUZIONE plateale il 23 aprile Carlo Verdelli, da quattrodici mesi direttore di Repubblica, è stato licenziato da John Elkann, presidente della Gedi, la società per azioni che controlla la Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, i dodici quotidiani del gruppo ex Finegil, L’Espresso, Radio Capital e altre testate minori.
Il 23 aprile la Exor, cassaforte di casa Agnelli, ha perfezionato l’acquisto della maggioranza assoluta del Gruppo Gedi con il versamento alla Cir della famiglia De Benedetti di 102,4 milioni di euro per l’acquisto del

43,78 per cento delle azioni. Nonostante i debiti, un vero affare se si pensa a quanta roba gli Agnelli hanno portato a casa con cento milioni, più o

John Elkann e Carlo Verdelli

meno la quotazione del difensore del Napoli Kalidou Koulibaly.
Il 23 aprile era anche la data indicata dagli anonimi che dalla rete hanno ripetutamente minacciato Verdelli, che da settimana vive sotto scorta, per uccidere l’ormai ex direttore di Repubblica. E Elkann, cinicamente, potrà anche dire che con il licenziamento gli ha salvato la vita.
Ma perché la velocità e le modalità offensive dell’esonero? Spiegazioni ufficiali non ce ne sono, si brancola tra le ipotesi. Nel saluto ai lettori, pubblicato on line il 23 aprile, Verdelli fa gli auguri al suo successore, Maurizio Molinari, e, considerando la sua riservatezza, usa parole che sembrano commosse. “Ho parlato tante volte – scrive – con Eugenio (Scalfari, ndr) e Ezio (Mauro, ndr) e ho soprattutto imparato quale sia l’anima profonda di questo giornale, quanto abbia a che fare con i valori forti della democrazia, dell’indipendenza, della libertà”. E ribadisce il suo legame forte con Repubblica, come se ci lavorasse dalla fondazione e non da poco più di un anno: “lo seguirò da lettore, con l’attaccamento appassionato per un giornale che è qualcosa di più di un giornale, per una comunità di lettori che ne è la ragione prima di esistenza, per una redazione con la quale è stata una fortuna condividere questo viaggio”. Poi la chiusa criptica: “partigiani si nasce, e non si smette di esserlo”.
Passiamo alle ipotesi. Eliminiamo subito la più colorata. Il taglio secco è una ‘vendetta’ dei vertici della Juventus, dal presidente Andrea Agnelli, cugino di John Elkann, ai dirigenti, nei confronti del giornalista, allora direttore della Gazzetta dello Sport, che nella primavera del 2006 ha

Mattia Feltri, Massimo Giannini e Maurizio Molinari

seguito con grande professionalità giorno per giorno il processo napoletano su Calciopoli con la squadra bianconera e i suoi dirigenti,

a cominciare da Luciano Moggi, principali imputati. Citiamo un solo titolo, del 12 maggio 2006: “Così il sistema Moggi ha falsato 29 giornate”. Una professionalità che ha consentito a Verdelli il 10 luglio del 2006, in occasione della vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio in Germania, di stabilire il record nazionale delle vendite: due milioni di copie della Gazzetta con il titolo “Tutto vero”.
Lasciamo il calcio. C’è chi ipotizza che la rottura dipenda soprattutto dal carattere ruvido di Verdelli, che anche alla Rai nel 2015 è durato poco. Nei pochi incontri con Elkann non c’è stato feeling; ancora peggio è andata con il direttore generale di Gedi Maurizio Scanavino in carica dallo scorso dicembre a causa di idee sul giornale molto distanti. E Verdelli sarebbe stato scostante anche quando ha incontrato personaggi esterni: ad esempio si parla di un imbarazzante lungo incontro con il numero uno di un importantissimo gruppo bancario. Da qui la decisione di fare ruotare subito le direzioni del gruppo con Molinari a Repubblica, Massimo Giannini al vertice della Stampa e Mattia Feltri alla guida dell’Huffington Post per occupare la casella liberata dalle dimissioni presentate da Lucia Annunziata quando la proprietà è passata dai De Benedetti a Elkann.
Tutti dicono – osserva un cronista ex Repubblica Milano che Molinari è un bravo inviato, parla di un ‘giornale liberale e occidentale’, una definizione che piace molto al nuovo padrone e che fa venire l’orticaria ai vecchi lettori. Ho comunque l’impressione che il nuovo direttore andrà a sbattere perché mi sembra molto rigido, un sergente dell’esercito israeliano, allineato alle decisioni del capo e non è un caso che nell’editoriale di insediamento è riuscito non dico a ringraziare Verdelli, come cortesia vorrebbe, ma neanche a nominarlo. E, quando dall’editore arriverà la richiesta, darà il suo via libera a tagli drastici: si parla di una sforbiciata di decine di redattori, della possibile chiusura di tre o quattro redazioni locali, del benservito a una dozzina di senatori

dallo stipendio molto alto”.
Chiudiamo con la terza lettura, la più diretta, questa volta con un giornalista romano. “Elkann – spiega – vuole

Andrea Agnelli, Kalidou Koulibaly e Luciano Moggi
un cambio netto della linea politica, con un occhio attento al centro destra, e lo vuole subito. Non si è preoccupato di salvare la faccia. Verdelli aveva difeso la redazione sulla questione degli esuberi. E, nel solco della tradizione, ha realizzato un giornale partito con una fortissima identità. Quando poco più di un mese fa è morto Gianni Mura, una grandissima firma dello sport italiano, gli sono state dedicate pagine e pagine ma erano scritte anche per celebrare il giornale. Tutto questo alla nuova proprietà non interessa, anzi lo considera un ostacolo. E in pochi giorni i cambiamenti già si vedono: si dà molto spazio alla necessità di un nuovo governo, persino nella contrapposizione sulle messe tra papa Francesco e la Conferenza episcopale sono emerse posizioni sorprendenti ed è illuminante mettere a confronto la prima pagina del 25 aprile firmata da Verdelli nel 2019 e la prima realizzata da Molinari quest’anno. Il 23 aprile è morta la Repubblica nata il 14 gennaio del 1976”. Una sensazione confermata facendo un giro tra gli edicolanti che segnalano lettori decisi a lasciare il giornale per altre testate, tra queste il Fatto Quotidiano e il Corriere della Sera.
Ultima notazione sulla solidarietà al direttore licenziato. L’ha ricevuta da Scalfari ma è durata poche ore, fino all’editoriale pubblicato domenica 26 aprile. L’ha incassata anche dalla redazione che ha proclamato un giorno di sciopero, però subito dopo ha votato a larga maggioranza la fiducia a Molinari: 354 aventi diritto, 220 a favore (il 62 per cento), 36 contrari, 44 astenuti, mentre 54 non hanno votato.