E polis, dorso milanese dei quotidiani di Niki Grauso, debutta a
ventiquattro ore dalle due giornate di sciopero proclamate dalla Fnsi per il
rinnovo del contratto. Quasi certamente, è un caso.
In contemporanea uscirà anche il dorso romano e gli altri giornali del
gruppo che ha sede a Cagliari e redazioni a Padova, Verona, Bergamo,
Brescia, aumenteranno la foliazione passando da 56 a 68 pagine. I redattori
resteranno invece sempre quelli: 40 circa per 11 edizioni che diventeranno
13 quando si aggiungeranno Napoli e Bologna.
Il cinque però deve essere il numero perfetto per Antonio e Gianni Cipriani,
rispettivamente direttore e condirettore dei giornali che puntano su cinque
giornalisti anche per gli ultimi nati a Roma e Milano. Con una novità in
più: niente redazione, solo giornalisti dotati di computer e telefonino e
sguinzagliati per la città.
Li vedremo svolazzare per le strade e nei palazzi che contano senza sosta,
senza scrivania, senza corta, senza pausa pranzo. Hanno un contratto da
redattore ordinario “chiavi in mano”, che scade - per i più fortunati - tra
un anno, uno stipendio netto di 1400 euro circa e 100 euro per le ore di
straordinario (a forfait, ovviamente). Computer e telefonino sono forniti
dall’azienda. In cambio, il redattore scrive, coordina i collaboratori,
gestisce il traffico di pezzi suoi e degli altri, titola, impagina e
spedisce il tutto a un super-desk di tre capi che stanno a Cagliari e che
dall’isola confezionano il giornale, sia quello milanese che quello romano.
Tra le pieghe del contratto che lega i giornalisti senza fissa dimora
all’editore sardo non sfugge la clausola secondo cui un preavviso di soli 30
giorni basterà a comunicare il trasferimento in una qualsiasi delle sedi del
gruppo, possibile su indicazione del direttore.
Gli aspiranti collaboratori si preparino: un articolo di apertura, che per
il formato del giornale non va oltre le 2400 battute, peserà nelle tasche
dei malcapitati fino a18 euro; per 8 euro potranno scrivere il resto, tagli
bassi feulletton, brevi. Ma solo se superano l’esame del direttore, che, da
Cagliari, vigila su tutto e tutti e screma fior da fiore i fortunati.
“Niki Grauso è, senza dubbio alcuno, la personificazione più riuscita
dell’intuizione di fondo della Scuola psicologica di Palo Alto, riassumibile
nella capacità di ‘change’: se cambi il punto di vista con cui guardi le
cose, anche le cose cambiano”, si legge nell’articolo che Prima
Comunicazione (n.365) di settembre ha dedicato alla nuova catena di
quotidiani.
Di sicuro, gli editori italiani hanno già cambiato il loro punto di vista.
C’è qualcosa di fin troppo innovatore (o di eversivo?) nell’esempio di
Grauso e della sua strana free press.
Se un imprenditore può permettersi di fare incursioni di questo tipo nel
mercato dell’editoria e guadagnarci, senza che nessuno faccia o dica nulla,
perché gli altri dovrebbero attenersi alle regole anziché inventarne di
piratesche? Chi mai sarà disposto a sedersi al tavolo delle trattative con
il sindacato per siglare il rinnovo del contratto?
Il mercato è libero, anche gli imprenditori. Ma in nome di quale libertà si
fa carta straccia del
contratto di lavoro giornalistico che è legge di Stato?
Per favore, potete allargare la discussione a Serena Dandini e Lella Costa
che hanno fatto da madrine al lancio dei dorsi di Roma e Milano?
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