La penisola di Ciukci

Il professore di storia e geografia alle scuole medie era un sacerdote. Da cappellano militare durante la guerra di Spagna benediceva i labari dei legionari accorsi a combattere la crociata contro il bolscevismo. Ma gli orrori ai quali aveva assistito durante quella carneficina che fu la guerra civile, lungi dall'addolcirgli il cuore ne avevano corrotto per sempre il carattere su cui era rimasta appiccicata una vena di perfidia che sconfinava spesso nel sadismo.
Ricordo le punizioni corporali che infliggeva con malcelata voluttà sulle nocche delle dita di noi ragazzi degli anni Sessanta costretti a restare con le braccia tese dopo ogni bacchettata se si voleva essere risparmiati da una seconda dose. Scene ordinarie per i sistemi educativi dell'epoca e che, in base alle leggi e alla nuova sensibilità in tema di tutela dei minori, oggi non avrebbero evitato al professore la galera, la gogna mediatica dell'uscita in manette dalla questura trasmessa dai tg e la valanga di insulti sui social.
E tuttavia il peggio di sé il professore lo metteva in mostra durante l'interrogazione. ''Dove si trova la penisola dei Ciukci?'' era la domanda finale rivolta mentre con la pezzolina puliva il pince-nez appannato, alla maniera di un ufficiale della Gestapo.  E l'alunno, già avvilito per tutte le precedenti domande rimaste senza risposta, con l'indice della manina ancora dolente scorreva l'atlante geografico, senza riuscire a individuare quella stramaledetta penisola. Allora sul volto del prete legionario si disegnava un ghigno terribile: ''Ma come, sei un ciuccio che non sa neppure dove è nato?''. Sì, perché lui Ciukci lo pronunciava ciucci (e magari, al netto della translitterazione dal cirillico, la pronuncia sarà pure quella giusta). La penisola dei Ciucci.
Tutta la classe a quel punto, ciascuno nell'illusione di scongiurare guai futuri, esplodeva in una risata, simile agli sghignazzi del ragionier Filini e degli impiegati dell'ufficio Promozioni e Raccomandazioni quando Fantozzi sbaglia il colpo al bigliardo e l'Onorevole Cavalier Conte Diego Catellani l'apostrofa con il proverbiale “Coglionazzo”.
Naturalmente dopo poco tutti noi avevamo imparato a localizzare immediatamente sulla cartina quel posto d'inferno alla estrema punta nord orientale della Russia, di fronte all'Alaska. Il che non impediva a don Guglielmo (nome di fantasia perché non si esclude che sia ancora in vita avendo sottoscritto un patto con Mefistofele) di chiosare: ''Sei un ciuccio, ma sai ritrovare la strada di casa''. Nuovo scroscio di risate.
Ancora oggi, i sopravvissuti tra i compagni di classe, nessuno dei quali è diventato geografo o esploratore, possono avere esitazioni sulle regioni attraversate dal Po o sulla capitale della Norvegia, ma conservano impressa nella memoria, come avviene con i terrori infantili, quel lembo di terra gelido e inospitale.
Per uno di quegli strambi percorsi della mente che vanno sotto il nome di associazione di idee, l'immagine di don Guglielmo è saltata fuori dal ripostiglio degli incubi più spaventosi leggendo il 21 gennaio l'articolo su la Repubblica di Paolo Rossi dedicato al match del ventenne greco Stefanos Tsitsipas che agli Australian Open ha eliminato Sua Maestà Roger Federer.
Dopo aver elencato i tanti tennisti greci, di nascita o per antenati, come Sampras, Philippoussis, Kokkinakis, Kyrgios, che si sono stabiliti lontani dalla patria, si saluta con entusiasmo la decisione di Tsitsipas di restare a casa. ''Dopo tanti greci fuori dal paese, finalmente uno è rimasto nell'isola, e ne diventerà icona, testimonial, ambasciatore''.
Sarebbe come elogiare Nadal per essere rimasto nella sua 'isola', la Spagna, nella convinzione che il paese di Cervantes e Sergio Ramos sia interamente circondato dal mare quasi fosse una immensa Maiorca. Ho provato a immaginare il voto in pagella che il nostro professore avrebbe affibbiato all'autore dello strafalcione di Repubblica. Di sicuro non gli avrebbe risparmiato la domanda di riserva. E neppure le bacchettate sulle nocche delle dita.

Carlo Forestiere

 
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