Venerdì, 2 aprile 1993 - pagina 10
AFFARI E MISTERI
CIRILLO E DE MARTINO DUE CASI DA RIAPRIRE
Armando Cono Lancuba, uno dei due magistrati napoletani messi sotto inchiesta, fu pm in entrambe le indagini. Con quali risultati? Risponde Carlo Alemi, giudice istruttore per il rapimento dell' esponente dc: ' Io lavoravo, la Procura proscioglieva...'
NAPOLI - È il magistrato che prima e più di ogni altro ha indagato sui misteri di Napoli. E che subito è inciampato nel peggiore e più inquietante dei misteri, quello che frena le inchieste giudiziarie. Ma oggi Carlo Alemi, il giudice del caso Cirillo, può dare un volto agli ostacoli, alle trappole, alle tagliole che si è trovato tra i piedi mentre scavava sugli intrecci fra camorra e politica. Il volto è quello di Armando Cono Lancuba, il primo sostituto della Procura, l' uomo che controllava l' ufficio denunce, il magistrato adesso finito nel ciclone delle rivelazioni di Pasquale Galasso. Il nome del "grande insabbiatore" è sulla bocca di tutti, a palazzo di giustizia. Era Lancuba il sostituto che coordinava il lavoro sul rapimento e la liberazione di Ciro Cirillo, soprassedendo in continuazione quando si toccavano gli aspetti più scottanti: la raccolta dei miliardi per il riscatto, la mediazione con le Brigate rosse da parte di Raffaele Cutolo, gli incontri fra gli uomini di Antonio Gava e i boss della camorra, il "regalo" che la Dc assicurò per ricambiare il favore: una quota negli appalti della ricostruzione post-terremoto. Il secondo incontro Non fu l' unica volta che le strade di Alemi e di Lancuba si incontrarono. Anche se la seconda avvenne del tutto indirettamente. Fu ancora al giudice dell'inchiesta Cirillo che arrivò dai magistrati di Milano uno stralcio dell' indagine relativa al rapimento di Guido De Martino, il figlio del senatore Francesco, allora segretario nazionale del Partito socialista e candidato alla presidenza della Repubblica. Ieri Francesco De Martino ha clamorosamente rivelato che i soldi per il riscatto provenivano dal Psi, da Calvi e dai proventi di altri sequestri. I riciclatori del denaro del sequestro De Martino erano certamente legati a Francis Turatello, il padrino della malavita lombarda poi ucciso in carcere dal futuro pentito Pasquale Barra. Ma dietro Turatello c' erano ambienti politici?
E si erano mossi in occasione del rapimento? Perchè la mafia chiese conto a Cutolo dell' omicidio di Turatello, quando si accorse che dopo l' omicidio di quest' ultimo tutti i suoi uomini erano passati con il boss di Ottaviano? E ancora, perchè Cutolo a quel punto scaricò il suo killer, tanto da spingere Barra al pentimento? Domande su domande che Alemi, da giudice istruttore, si pose. Lancuba, il sostituto procuratore, era stato invece il pubblico ministero della prima inchiesta sul sequestro De Martino. Quella che portò alla sbarra una semplice banda di malvimenti. Ieri mattina, al suo posto in tribunale, Carlo Alemi era restio a parlare, a commentare. Ma poi la porta dell' ufficio si apre per qualche minuto. Il giudice, alla sua scrivania, legge l'intervista del collega bolognese Libero Mancuso, che ripete: "La chiave di tutto è nel rapimento Cirillo. E' lì che si è cementato il patto scellerato fra camorra, servizi segreti, costruttori, massimi esponenti politici napoletani". Vale la pena ricordargli che sempre Lancuba propose di far prosciogliere in istruttoria il capo della mafia campana, Carmine Alfieri, dalla strage di Torre Annunziata? No, non serve. Basta chiedere ad Alemi: ma davvero qualcuno frenava le indagini? Lui risponde: "Uno dei nomi usciti finora si occupava del caso Cirillo...". Più chiaro di così. Alemi sorride: "Non ho detto nulla. Ho solo fatto una constatazione obiettiva". Castelcapuano, tribunale maledetto, culla dei veleni del caso Tortora. Non puoi mai dare un nome alle cose più palesi, mentre qui in parecchi raccontano ancora di ministri che pressano per far scarcerare grandi boss e di magistrati che si genuflettono al potere, mentre i loro colleghi rischiano la pelle nelle indagini. In questo tempio della giustizia, ha documentato la commissione parlamentare Antimafia, cinque capiclan del calibro di Valentino Gionta, Luigi Giuliano, Mario Fabbrocino, Salvatore Zaza, Michele D' Alessandro sono stati scarcerati per decorrenza dei termini o motivi di salute, e subito dopo si sono dati alla latitanza. Sempre qui, dall' 83 all' 89, su 72 confische di patrimoni della camorra, 48 sono state revocate in appello. Il pagamento del riscatto Dottor Alemi, ma lei in che condizioni ha lavorato? Il giudice è secco: "Il giudice istruttore, che ero io, lavorava. La Procura, ufficio della pubblica accusa, proscioglieva". Ma ora il caso Cirillo risulta più chiaro. "A me era risultato chiaro anche allora". No, il giudice dell'inchiesta su camorra e politica non è soddisfatto. Non gli basta che oggi tutti gli diano atto di aver visto giusto. Attende ancora giustizia. Per lui, il caso Cirillo può tornare alla ribalta. Carlo Alemi spiega: "Anzitutto, il caso può essere riaperto in appello. A partire dai residui reati rimasti, come quello di diffamazione a mezzo stampa contestato al direttore dell'Unità Petruccioli e alla giornalista Marina Maresca. Basterà chiedersi se quel che scrissero allora, a proposito dell' intervento di uomini politici, risulti vero o falso alla luce delle recenti acquisizioni. Ma non basta. Vi può anche essere la riapertura di una inchiesta giudiziaria vera e propria, su tutti gli aspetti della vicenda che io non ho mai potuto portare a dibattimento: se vi fu pagamento di un riscatto, come quelle somme vennero raccolte e se vi fu una successiva compensazione in termini di concessione di appalti". Oggi si può accertare tutta la verità su Cirillo, mentre a Napoli si indaga anche su tangenti, big politici e camorra? Pietro Lignola, presidente della settima sezione penale, è certo di no. Accusa: "I processi di Tangentopoli rischiano di non celebrarsi mai. Ogni volta che abbiamo chiesto di rafforzarci, al ministero della Giustizia ci hanno risposto di arrangiarci. Ci mancano 40 giudici e 79 ausiliari. Non abbiamo un computer collegato con l' ufficio del giudice delle indagini preliminari. Quello che c'è non ha mai funzionato e nessuno si è mai interessato di farlo funzionare. Tangentopoli rischia di rimanere un nome senza un seguito processuale. Ogni volta che chiediamo un giudice ce lo mandano dopo un anno, mentre se un collega vuole andare via da Napoli lo lasciano andare subito. Allora: c' è un disegno contro la giustizia a Napoli? Più che una domanda mi sembra una certezza". Quel rogo di tre anni fa Trame contro la giustizia a Napoli? Torna così l' ultimo dei misteri, quello del rogo che avvolse la torre della giustizia nell'estate del ' 90. Un incendio che distrusse completamente il palazzo del Centro direzionale, dove si sarebbero dovuti trasferire di lì a poco gli uffici giudiziari partenopei. Un attentato consumato con sofisticate micro-cariche, piazzate e fatte brillare da mani esperte: questo appurarono le perizie. Ma i colpevoli sono sempre rimasti senza volto. C'è chi teme per il futuro delle inchieste e per la stessa incolumità dei pentiti. Il grido di allarme arriva da Salerno, il distretto che per competenza deve occuparsi delle indagini sui magistrati napoletani. Alfredo Greco, giudice della Super-procura, è preoccupatissimo: "Avverto rischi di manovre orchestrate - afferma - C'è chi tira le fila di un gioco delle indiscrezioni, probabilmente per pregiudicare i processi più delicati. Sul piano della sicurezza personale, ci troviamo in una situazione di gravità eccezionale per i pentiti, per i magistrati con cui collaborano, per le stesse persone che i pentiti accusano. In Italia, in questa fase politica, sono soltanto due i punti di riferimento per i cittadini, l'informazione e la magistratura. C'è il rischio che alcuni soggetti stiano operando per destabilizzare questi due riferimenti".
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