Al Presidente del Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti del Lazio
Dott. Bruno Tucci
Al Vice Presidente del Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti del Lazio
Dott. Gino Falleri
Al Segretario del Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti del Lazio
Dott. Filippo Anastasi
e per conoscenza
Al Presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti
Dott. Enzo Iacopino
Al Vice Presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti
Dott. Enrico Paissan
Al Segretario del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti
Dott. Giancarlo Ghirra
Al Presidente INPGI
Dott. Andrea Camporese
Al Vice Presidente Vicario INPGI
Dott. Maurizio Andriolo
Oggetto: Caso di Tania Zamparo, ex Miss Italia e giornalista abusiva a Sky Sport 24, e degli ex allenatori ed ex atleti che svolgono in via continuativa attività giornalistica ben retribuita e non occasionale, ma non sono iscritti all'Ordine dei Giornalisti, né quindi all'INPGI.
Roma, 27 settembre 2010
Caro Presidente,
Caro Vice Presidente,
Caro Segretario,
con mia e mail dell'8 settembre scorso avevo chiesto cortesemente di sapere se Tania Zamparo (nata a Roma il 16 agosto 1975), ex Miss Italia 2000 (per vederla in foto cliccare su: http://www.google.it/images?hl=it&q=tania
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Venerdì scorso il Direttore del Consiglio nazionale dell'Ordine dei Giornalisti dott. Ennio Bartolotta mi ha confermato ufficialmente a seguito di una ricerca presso tutti i 20 Ordini regionali che Tania Zamparo, nonostante che dal 30 agosto 2008 sia una delle conduttrici in studio di SKY Sport 24 (canale di Sky Italia dedicato senza interruzioni nell'arco della giornata esclusivamente alle notizie sportive), non é iscritta all'Albo nazionale, elenco professionisti e pubblicisti. Il suo nome non compare nell'Albo dei Professionisti, né in quello dei Pubblicisti e per l'INPGI 1 ed INPGI 2 Tania Zamparo é ovviamente un fantasma.
Sorge però spontanea una domanda: se Tania Zamparo non é iscritta all'Ordine dei giornalisti non scatta, forse, l'obbligo di denuncia per violazione dell'art. 348 C.P. (esercizio abusivo della professione) visto che per più di due anni ha svolto attività giornalistica conducendo insieme ad altri colleghi e colleghi Sky Sport 24 e alternandosi in studio con loro?
Per evitare possibili fraintendimenti intendo subito precisare che personalmente non ho nulla contro la Zamparo, né la conosco. In video é molto brava, é sciolta ed ha un'ottima dizione. Insomma, a differenza di molte altre Miss Italia, non é un'oca e per chi sta davanti al televisore sembra una giornalista come le altre colleghe di Sky Sport 24 in possesso della tessera dell'Ordine (vedere allegato 1).
Ho voluto sollevare questo caso soltanto perché rappresenta quello che, a mio parere, sta diventando IL PROBLEMA della categoria, cioè proprio nel settore dove girano più soldi sia per chi va in video, sia per le emittenti (RAI, MEDIASET, SKY, La7 ecc.), cioè il mondo dello sport, é ormai una giungla di contratti diversi nella totale indifferenza dei Comitati di redazione e del nostro sindacato che non fa nulla per arginare questo fenomeno.
C'é praticamente di tutto: Sandro Piccinini, professionista versa solo all'INPGI 2 da una decina da anni come un giornalista autonomo, pur commentando dagli Anni Novanta su Mediaset le partite in diretta della Coppa dei Campioni; Ilaria D'Amico - anch'essa bravissima - é pubblicista iscritta all'INPGI 2, pur svolgendo le stesse mansioni di colleghi professionisti iscritti all'INPGI 1 e incassando a quanto pare cifre superiori a quelle del Direttore di un grande giornale. Piccolo inciso: da qualche mese la neomamma D'Amico ha autorizzato una nuova forma sofisticata di pubblicità (forse per aggirare le possibili sanzioni disciplinari da parte dell'Ordine), cioè quella di reclamizzare Sky attraverso la riproduzione su foto della sua immagine a grandezza naturale maneggiata da altre persone!
Ci sono poi una marea di ex atleti ed ex allenatori di tutti gli sport (calcio, ciclismo, atletica, sci, nuoto, rugby, pallacanestro, pallavolo, pugilato, ecc.) che, pur non essendo giornalisti e pur guadagnando cifre ragguardevoli, fanno da anni i commentatori di centinaia di gare in diretta seduti accanto a giornalisti pubblicisti o professionisti.
Tutta questa massa di persone, perché si tratta di una vera e propria massa, evade a mio parere l'iscrizione all'Ordine che perde molti soldi per le mancate iscrizioni ed evade anche l'INPGI 1 e l'INPGI 2 perché a tutti gli effetti svolge attività giornalistica senza versare i relativi contributi ai due enti che ne sarebbero i legittimi destinatari e facendo fare per di più la figura dei fessi a tutti i colleghi in regola!
Inoltre questi ex atleti ed ex allenatori hanno anche l'ulteriore vantaggio di poter tranquillamente fare i testimonial anche spot pubblicitari perché non essendo iscritti nell'Albo dei giornalisti l'Ordine non può intervenire. Ora a questo lunghissimo elenco di "evasori", che, a mio parere, rischiano anch'essi l'esercizio abusivo della professione (art. 348 c.p.), si é aggiunta Tania Zamparo che non risulta iscritta all'Ordine né all'Inpgi, pur svolgendo mansioni prettamente giornalistiche.
Spero di aver chiarito a sufficienza perché questo PROBLEMA, che sinora é stato completamente sottovalutato - se non addirittura trascurato - dalla FNSI, va posto sotto la lente d'ingrandimento dell'INPGI e dell'Ordine nazionale dei giornalisti, perché altrimenti la disapplicazione delle nostre regole porterebbe dritta ad una giungla inestricabile dove i più furbi la farebbero franca senza pagare alcun dazio.
Quanto all'esistenza dell'art. 21 della Costituzione non credo possa togliere spazio all'Ordine regionale dei giornalisti quando l'attività giornalistica non sia occasionale e non retribuita, ma sia svolta, come nel caso dell'ex Miss Italia Tania Zamparo, in via continuativa, ben retribuita e in esclusiva per Sky Sport 24.
Basta rileggere attentamente i punti 4 e 5 in neretto della sentenza della Corte Costituzionale n. 11 del 1968 che accludo in calce.
Di conseguenza rientra nell'art. 21 della Costituzione il parere espresso gratuitamente a voce o per iscritto su una gara da un ex atleta o da un ex allenatore che ne venga richiesto da un giornalista. Se, invece, l'ex atleta o l'ex allenatore non si limita a esprimere a voce o per iscritto il parere su una gara, ma ne fa il commento minuto per minuto e non occasionalmente, ma stabilmente, cioè continuativamente, tutti i giorni o tutte le settimane e lo fa in via esclusiva come lavoro retribuito - anziché gratis - non si può invocare l'art. 21 della Costituzione, ma si deve rispettare la legge n. 69 del 1963. Cordialità
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CORTE COSTITUZIONALE sentenza n. 11 del 1968
Considerato in diritto
3. - La legge 3 febbraio 1963, n. 69, ha istituito l'Ordine del giornalisti, gli ha affidato la tenuta dell'albo, ne ha disciplinato la struttura e il funzionamento: l'art. 45 ha condizionato all'iscrizione nell'albo l'uso del titolo e l'esercizio della professione di giornalista, sanzionando penalmente i corrispondenti divieti a norma degli artt. 348 e 498 del Codice penale.
Non spetta alla Corte valutare l'opportunità della creazione dell'Ordine, perché l'apprezzamento delle ragioni di pubblico interesse che possano giustificarlo appartiene alla sfera di discrezionalità riservata al legislatore. Compete invece alla Corte accertare se la riserva della professione giornalistica ai soli iscritti all'Ordine ed il modo in cui la legge ha disciplinato il regime dell'albo comportino la violazione del principio costituzionale - art. 21 - che a tutti riconosce il "diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione": un diritto, come altre volte é stato detto (cfr. sentenza n. 9 del 1965), coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione, inconciliabile con qualsiasi disciplina che direttamente o indirettamente apra la via a pericolosi attentati, e di fronte al quale non v'é pubblico interesse che possa giustificare limitazioni che non siano consentite dalla stessa Carta costituzionale.
4. - Ciò posto, la Corte osserva che per un'esatta valutazione del fondamento della questione sottoposta al suo esame occorre tener presente che la legge impugnata, realizzando un proposito espresso fin dal 1944 dal legislatore democratico (art. 1 del D.L. Lt. 23 ottobre 1944, n. 302), disciplina l'esercizio professionale giornalistico e non l'uso del giornale come mezzo della libera manifestazione del pensiero: sicché é esatto quanto sostengono sia la difesa dell'Ordine di Sicilia sia l'Avvocatura dello Stato, che essa non tocca il diritto che a "tutti" l'art. 21 della Costituzione riconosce. Questo sarebbe certo violato se solo gli iscritti all'albo fossero legittimati a scrivere sui giornali, ma é da escludere che una siffatta conseguenza derivi dalla legge. Ne costituisce riprova, oltre l'oggetto stesso del provvedimento, l'esplicita disposizione contenuta nell'art. 35: il quale, in quanto subordina l'iscrizione nell'elenco del pubblicisti alla prova che il soggetto interessato abbia svolto un' "attività pubblicistica regolarmente retribuita per almeno due anni", dimostra che la stessa legge considera pienamente lecita anche la collaborazione ai giornali che non sia né occasionale né gratuita. Senza che ci sia bisogno di affrontare questioni di interpretazione non essenziali per la presente decisione, appare certo che l'art. 35 circoscrive la portata del divieto sancito nell'art. 45, limita l'estensione dell'obbligo di iscrizione all'albo e, in definitiva, conferma che l'appartenenza all'Ordine non é condizione necessaria per lo svolgimento di un'attività giornalistica che non abbia la rigorosa caratteristica della professionalità.
5. - Questa conclusione, tuttavia, non esaurisce la questione sottoposta alla Corte. L'esperienza dimostra che il giornalismo, se si alimenta anche del contributo di chi ad esso non si dedica professionalmente, vive soprattutto attraverso l'opera quotidiana del professionisti. Alla loro libertà si connette, in un unico destino, la libertà della stampa periodica, che a sua volta é condizione essenziale di quel libero confronto di idee nel quale la democrazia affonda le sue radici vitali. E nessuno può negare che una legge la quale, pur lasciando integro il diritto di tutti di esprimere il proprio pensiero attraverso il giornale, ponesse ostacoli o discriminazioni all'accesso alla professione giornalistica ovvero sottoponesse i professionisti a misure limitative o coercitive della loro libertà, porterebbe un grave e pericoloso attentato all'art. 21 della Costituzione.
Sotto questo secondo profilo della questione, che di certo é il più delicato, la Corte deve in primo luogo accertare se l'istituzione stessa di un Ordine giornalistico e l'obbligatorietà della iscrizione nell'albo non costituiscano di per sé una violazione della sfera di libertà di chi al giornalismo voglia professionalmente dedicarsi.
La Corte ritiene che a tale interrogativo si debba dare una risposta negativa.
Chi tenga presente il complesso mondo della stampa nel quale il giornalista si trova ad operare o consideri che il carattere privato delle imprese editoriali ne condiziona le possibilità di lavoro, non può sottovalutare il rischio al quale é esposto la sua libertà né può negare la necessità di misure e di strumenti a salvaguardarla.
Per la decisione della presente questione - alla quale, per quanto si é detto al n. 3, resta estranea la rilevanza degli ulteriori profili di pubblico interesse (fra i quali quello inerente all'osservanza del canoni della deontologia professionale) soddisfatti dalla legge - é in vista di tale finalità che va valutata la funzione che l'Ordine può svolgere. Il fatto che il giornalista esplica la sua attività divenendo parte di un rapporto di lavoro subordinato non rivela la superfluità di un apparato che secondo l'avviso della difesa del Longhitano si giustificherebbe solo in presenza di una libera professione, tale il senso tradizionale. Quella circostanza, al contrario, mette in risalto l'opportunità che i giornalisti vengano associati in un organismo che, nei confronti del contrapposto potere economico del datori di lavoro, possa contribuire a garantire il rispetto della loro personalità e, quindi, della loro libertà: compito, questo, che supera di gran lunga la tutela sindacale del diritti della categoria e che perciò può essere assolto solo da un Ordine a struttura democratica che con i suoi poteri di ente pubblico vigili, nei confronti di tutti e nell'interesse della collettività, sulla rigorosa osservanza di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla.
Si deve tuttavia ribadire che questa conclusione positiva é valida solo se le norme che disciplinano l'Ordine assicurino a tutti il diritto di accedervi e non attribuiscano ai suoi organi poteri di tale ampiezza da costituire minaccia alla libertà dei soggetti. E in questa ulteriore direzione va ora rivolta l'indagine affidata alla Corte.
6 - Il divieto posto nell'art. 45, come si é detto, condiziona all'iscrizione nell'albo il legittimo esercizio della professione giornalistica, ed esso, a causa del disposto contenuto nell'art. 36, si risolve in un divieto assoluto per gli stranieri che siano cittadini di uno Stato che non pratichi il trattamento di reciprocità. Da ciò scaturisce la necessità di accertare se esso non sia in contrasto con l'art. 21 della Costituzione che a tutti, e non ai soli cittadini, garantisce il fondamentale diritto di esprimere liberamente e con ogni mezzo il proprio pensiero.
La Corte - anche richiamando quanto esposto al n. 4 - ritiene che, in sé considerato, il presupposto del trattamento di reciprocità per l'accesso alla professione giornalistica non sia illegittimamente stabilito, e ciò perché é ragionevole che in tanto lo straniero sia ammesso ad un'attività lavorativa in quanto al cittadino italiano venga assicurata una pari possibilità nello Stato al quale il primo appartiene. Questa giustificazione, però, non può estendersi all'ipotesi dello straniero che sia cittadino di uno Stato che non garantisca l'effettivo esercizio delle libertà democratiche e, quindi, della più eminente manifestazione di queste. In tal caso, atteso che ad un regime siffatto può essere connaturale l'esclusione del non cittadino dalla professione giornalistica, il presupposto di reciprocità rischia di tradursi in una grave menomazione della libertà di quei soggetti ai quali la Costituzione - art. 10, terzo comma - ha voluto offrire asilo politico e che devono poter godere almeno in Italia di tutti quei fondamentali diritti democratici che non siano strettamente inerenti allo status civitatis.
Limitatamente a questa parte, dunque, l'art. 45 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo.
7. - Passando all'esame delle norme che disciplinano l'accesso all'albo, devono essere presi in considerazione gli artt. 29, 33, 34 e 35 della legge, che formano oggetto dell'impugnativa ritualmente proposta dal pretore di Catania.
Ad avviso della Corte, i dubbi di costituzionalità manifestati dal giudice a quo non appaiono fondati.
L'art. 29 richiede per l'iscrizione nell'elenco del professionisti, fra l'altro, l'iscrizione nel registro del praticanti e l'esercizio della pratica per almeno diciotto mesi: dal combinato disposto di questa norma e degli artt. 33 e 34 discende, secondo il pretore, che l'accesso al registro del praticanti e, mediatamente, all'albo é rimesso alla completa discrezionalità degli editori, del direttori e degli altri giornalisti già iscritti. La Corte osserva che, se é vero che ove il soggetto interessato non trovi un giornale che lo assuma come praticante egli non potrà mai intraprendere la carriera giornalistica, é altrettanto vero che neppure il giornalista iscritto può svolgere la sua attività professionale se non trova un editore disposto ad assumerlo: il che dimostra che ci si trova di fronte a conseguenze che non derivano dalla legge in esame, ma dalla struttura privatistica delle imprese editoriali, nell'ambito della quale la non discriminazione può essere assicurata soltanto dalla concorrenza della molteplicità delle iniziative giornalistiche.
Neppure può dirsi che il secondo comma dell'art. 34, in quanto richiede che lo svolgimento della pratica sia comprovata da una dichiarazione motivata del direttore del giornale, all'arbitrio di questi rimetta la valutazione di un presupposto per l'iscrizione nell'elenco del giornalisti. In effetti, poiché non risulta che l'Ordine abbia il potere di esprimere un giudizio di ammissibilità basato sull'apprezzamento del modo in cui l'interessato ha esercitato la pratica, si deve concludere che la motivazione del direttore deve avere ad oggetto solo gli elementi formali del rapporto (durata, continuità) e non può mai tradursi in un sindacato sul pensiero espresso dal praticante.
Non si vede, infine, in che modo il Consiglio dell'Ordine possa esercitare poteri arbitrari in ordine all'iscrizione nell'albo: chiamato a verificare la sussistenza di elementi tassativamente indicati dalla legge ed a prendere atto del giudizio positivo delle prove di esame predisposte per un accertamento tecnico, il Consiglio non può neppure liberamente valutare la buona condotta (art. 31, secondo comma) del richiedente, ma deve accertarla sulla base di fatti, secondo canoni elaborati in base ad una consolidata tradizione e con l'esclusione di ogni apprezzamento di atteggiamenti che costituiscano estrinsecazione delle libertà garantite dalla Costituzione. Val la pena di aggiungere che la legge impone che i provvedimenti di rigetto della domanda siano motivati (art. 30) e predispone su di essi il controllo giurisdizionale (art. 63), assicurando in tal modo la repressione di ogni abuso.
Del pari non fondata é la questione relativa al primo comma dell'art. 35, impugnato nella parte in cui stabilisce che al fine dell'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti il richiedente deve offrire la dimostrazione di aver svolto attività retribuita da almeno due anni. Il timore espresso dal giudice a quo che questa norma consenta un sindacato sulle pubblicazioni non ha ragione di essere, perché la certificazione dei direttori e la esibizione degli scritti sono elementi richiesti solo al fine di consentire che venga accertato se l'attività sia stata esercitata né occasionalmente né gratuitamente e per il tempo richiesto dalla legge, e non anche allo scopo di imporre o di permettere una valutazione di merito capace di risolversi, come afferma l'ordinanza, in "una forma larvata di censura ideologica".
8. - Poiché l'ordinanza denunzia che l'obbligatorietà dell'iscrizione nell'albo, sancita dal denunziato art. 45, rimette alla piena "discrezionalità altrui" l'esercizio del diritto riconosciuto dall'art. 21 della Costituzione, con conseguente violazione anche dell'art. 3, la Corte non può sottrarsi al compito di esaminare altre disposizioni della legge che possano incidere sul diritto all'iscrizione nell'albo, e ciò non per esercitare un controllo su norme che, per quanto si é detto al n. 2, non sono state ritualmente impugnate, ma solo per accertare se il loro contenuto sia tale da determinare l'illegittimità dell'art. 45.
Sotto questo profilo ed a questi limitati effetti vengono in esame l'art. 24, che attribuisce al Ministro per la grazia e giustizia l'alta sorveglianza sui Consigli dell'Ordine, e le disposizioni che conferiscono ai Consigli poteri disciplinari che sull'iscrizione all'albo possono incidere in via temporanea (art. 54) o definitiva (art. 55).
La Corte osserva che il potere del Ministro, corollario del pubblico interesse al regolare funzionamento dei Consigli, ha per contenuto i provvedimenti indicati nel secondo e nel terzo comma dello stesso art. 24, sicché nessuna ingerenza é consentita all'esecutivo sulla attività amministrativa relativa agli iscritti, salva la implicita possibilità di segnalare fatti che ai sensi dell'art. 48 possano giustificare il promovimento dell'azione disciplinare: nel che non si può riscontrare, in verità, nessun rischio di abuso.
La Corte ritiene, del pari, che i poteri disciplinari conferiti ai Consigli non siano tali da compromettere la libertà degli iscritti. Due elementi fondamentali vanno tenuti ben presenti: la struttura democratica del Consigli, che di per sé rappresenta una garanzia istituzionale non certo assicurata dalla legge precedentemente in vigore (Decreto legislativo luogotenenziale 23 ottobre 1944, n. 302), in base alla quale la tenuta degli albi e la disciplina degli iscritti sono state affidate per circa venti anni ad un organo di nomina governativa; e la possibilità del ricorso al Consiglio nazionale ed il successivo esperimento dell'azione giudiziaria nei vari gradi di giurisdizione. L'uno e l'altro concorrono sicuramente ad impedire che l'iscritto sia colpito da provvedimenti arbitrari. Essi, tuttavia, non sarebbero sufficienti a raggiungere tale scopo, se la legge stessa prevedesse, sia pure implicitamente, una responsabilità del giornalista a causa del contenuto dei suoi scritti e ammettesse una corrispondente possibilità di sanzione, perché in tal caso la libertà riconosciuta dall'art. 21 sarebbe messa in pericolo e l'art. 45 - norma di chiusura dell'intero ordinamento giornalistico - risulterebbe illegittimo. Ma la legge non consente affatto una qualsiasi forma di sindacato di tale natura. Se la definizione degli illeciti disciplinari, come é inevitabile, non si articola in una previsione di fattispecie tipiche, bisogna pur considerare che la materia trova un preciso limite nel principio fondamentale enunciato dalla stessa legge nell'art. 2. Se la libertà di informazione e di critica é insopprimibile, bisogna convenire che quel precetto, più che il contenuto di un semplice diritto, descrive la funzione stessa del libero giornalista: é il venir meno ad essa, giammai l'esercitarla che può compromettere quel decoro e quella dignità sui quali l'Ordine é chiamato a vigilare.
9. - Con ciò la Corte ha esaurito l'esame delle questioni ritualmente proposte dal pretore di Catania. Non può essere affrontato, infatti, un ulteriore problema sul quale l'ordinanza di rinvio si é soffermata, se cioè la disciplina introdotta dalla legge limiti, ed in quale misura, il diritto di tutti di dar vita ad un giornale e di esprimere con questo mezzo il proprio pensiero. A questa tematica l'art. 45 é del tutto estraneo, perché gli oneri che in essa verrebbero in discussione non discendono dall'obbligatorietà dell'albo, ma sono autonomamente posti dagli artt. 46 e 47: da disposizioni, dunque, che, per quanto si é detto al n. 2, restano fuori dell'oggetto del presente giudizio.
10. - Il Tribunale di Torino denuncia l'illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 102 e 108 della Costituzione, del terzo comma dell'art. 63 della stessa legge, a tenore del quale presso il Tribunale e la Corte di appello competenti a decidere sull'azione promossa contro le deliberazioni del Consiglio nazionale dell'Ordine il collegio viene integrato da un giornalista professionista e da un pubblicista, nominati in numero doppio all'inizio di ogni anno dal presidente della Corte di appello su designazione del Consiglio stesso. Non tutti i rilievi che l'ordinanza espone con espresso richiamo ai principi affermati dalla Corte nella sentenza n. 108 del 1962 trovano esatto riscontro nel caso in esame. Tanto é a dirsi sia del requisito della idoneità dei due membri del Collegio, assicurata dalla circostanza che deve trattarsi di giornalisti professionisti e di pubblicisti tali qualificati in base alle norme della stessa legge, sia della possibilità di rendere operanti le disposizioni relative alla astensione e ricusazione del giudice, sufficientemente garantita dalla nomina in numero doppio. La questione risulta invece fondata sotto il profilo che il meccanismo predisposto dalla legge non é tale da conferire al giudice piena indipendenza nei confronti del Consiglio dal quale sostanzialmente egli deriva la sua nomina.
Giova in proposito tener presente che all'esame del Tribunale e della Corte di appello, nella speciale composizione descritta, vengono portate (artt. 62 e 63) le impugnazioni promosse contro le deliberazioni di quello stesso organo che é competente alla designazione dei due giudici estranei alla magistratura. Vero é che siffatta circostanza, come si ricava dalla giurisprudenza della Corte (sentenza n. 1 del 1967), di per sé sola non costituirebbe ragione di illegittimità costituzionale: tuttavia sarebbe stato necessario che la legge impedisse ogni forma di responsabilità, anche indiretta, nei confronti del Consiglio. Questa fondamentale garanzia, essenziale per il rispetto del principio di indipendenza, non é invece assicurata, perché la brevità del termine di durata nell'ufficio e la possibilità di una rinnovata designazione degli stessi soggetti non escludono che il Consiglio possa periodicamente esercitare un implicito sindacato sul modo col quale é stata amministrata la giustizia in casi nei quali era in gioco un suo diretto interesse. Perciò é da riconoscere che la norma impugnata contrasta con l'art. 108, secondo comma, della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 45 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, relativa all'ordinamento della professione giornalistica, limitatamente alla sua applicabilità allo straniero al quale sia impedito nel paese di appartenenza l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana;
b) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 63, comma terzo, della stessa legge;
c) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale concernenti gli artt. 29, 33, 34 e 35 sollevate dall'ordinanza 5 giugno 1967 del pretore di Catania in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione;
d) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 24, 28 Cpv., 46, 47, 51, lett. c e d, 54 e 55 sollevate dalla stessa ordinanza in riferimento agli artt. 3, 21, 18, 19, 33, 39, 49 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 1968.
Aldo SANDULLI - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI.
Depositata in cancelleria il 23 marzo 1968. |