Cari colleghi,  
quando un giorno  andrò in pensione e mi ritroverò a navigare nei ricordi della mia esperienza in  Rai, rivivrò costantemente questo momento. È uno dei più amari degli ultimi  anni. Sono deluso. Molto. Innanzitutto di me stesso.  
Chi ricopre un  ruolo sindacale deve avere la forza di sopportare umiliazioni e ingratitudine,  replicare con calma a ciò che ritiene ingiusto, mediare con grande diplomazia,  spiegare e rispiegare fino alla noia, e sempre nel massimo rispetto dei  colleghi e dell’azienda che rappresenta. Io tre sere fa non l’ho fatto, sono  stato scorretto nei confronti della collega Donadio, e nulla mi giustifica, né  lo stress personale né il desiderio di sostenere un principio di giustizia.  
Per questo  vi comunico la mia decisione di dimettermi dal Cdr.  
Permettetemi solo  di darvi qualche chiarimento.  
Ho letto la  lettera pubblicata da Cecilia. Le cose non sono andate esattamente come da lei  riportate e ci sono tanti testimoni che potrebbero attestarlo (ad esempio  Perillo e Coppola, presenti alla scena).  
Vengo accusato di  aver offeso la collega Damiano definendola “nessuno”. Ma non si precisa in  quale contesto ho pronunciato questa parola. Eravamo a mensa e tutti i presenti  sanno che le mie parole sono state: “Teresa, tu sei un’egregia collega, una  bravissima giornalista, una delle migliori inviate che abbia mai conosciuto, ma  non sei nessuno in termini di line. Non puoi pretendere che il caporedattore  chieda il permesso a te se ha in mente una diversa organizzazione della  segreteria”.   
L’oggetto della  discussione era la richiesta fatta dal caporedattore al collega Pocobelli di  collaborare, in caso di bisogno, con la segreteria di redazione. Da sempre sono  schierato, e sempre lo sarò, con i precari e con chi viene definito da qualcuno  in redazione “l’ultimo/a arrivato/a”. Lo sono sindacalmente perché parliamo  degli anelli più deboli della categoria, lo sono professionalmente, perché mi  riconosco nelle parole di Gubitosi: siamo un’azienda vecchia, le nostre redazioni sono  vecchie, dobbiamo solo ringraziare questi giovani e questi “ultimi arrivati”  che con il loro entusiasmo e la loro forza ci permettono di andare avanti,  valorizzarli e non intralciarli, usarne le potenzialità e non invidiarli.  
Vengo accusato di  aver alzato la voce nei confronti di Anna Teresa, ma chiunque sia stato  presente a quella conversazione sa che, resomi conto che si stava esagerando  nel tono del colloquio, ho preferito alzarmi dal tavolo che condividevo con lei  e Cecilia e spostarmi in un altro tavolo, proprio per non far degenerare la  discussione.  
Vengo accusato di  essermi rifiutato di chiedere scusa alla collega, ma non viene riferito che, a  chi me lo chiedeva, ho risposto: “Anche se ritengo di non aver fatto nulla di  male sono pronto a chiedere scusa, ma spero che Teresa con grande onestà  intellettuale ammetta che non ho mai usato parole offensive nei suoi  confronti”.  
Vengo accusato di  aver “origliato” dietro la porta del caporedattore, quando si può facilmente  appurare che sono stato chiuso in saletta montaggio fino a pochi minuti prima  della messa in onda, e quindi potrei aver ascoltato al massimo qualche frase  pronunciata mentre ritornavo nella mia stanza prima di andare a mensa. Non è  colpa mia se nel corridoio silenzioso del terzo piano anche i bisbigli nelle  stanze a porta chiusa sembrano discorsi fatti al megafono.  
Vengo accusato di  aver inviato un messaggio in cui definivo con parole disdicevoli la collega  Donadio. E’ vero. Ho scritto quelle parole e me ne sono pentito un secondo  dopo. Di questo  chiedo scusa a Cecilia pubblicamente. Anche il solo pensare certi concetti è  inaccettabile.  
Potrei spiegare  che nemmeno per un attimo ho pensato di inviare quel messaggio. L’ho scritto e  chiuso, credendo di averlo cancellato. Devo aver premuto qualche tasto  sbagliato con i nuovi cellulari Rai ed inavvertitamente è partito.  Il  fatto stesso che non sia arrivato al destinatario originale, spero attesti  l’errore materiale e la mia assoluta non volontà di inviarlo. Ma non è questo  il punto, perché ripeto: sono colpevole per il solo fatto di aver pensato  quelle parole. Ma quando ho scritto il messaggio l’amarezza e la delusione per  quanto stava accadendo erano enormi. Mi sono sentito ingiustamente sul banco  degli imputati, al punto di reagire utilizzando termini a me non consoni.  
Ma queste sono  vicende umane (amplificate dalla speranza che il rapporto tra colleghi, da anni  legati dalla condivisione di un turno disagiato come quello notturno, possa  essere fondato su basi più solide) che spero il tempo ci permetterà di  chiarire.  
Ringrazio Ettore  per il suo lavoro di mediazione, e per l’impagabile pazienza dimostrata in  questi anni di durissimo impegno sindacale. Condivido la sua preoccupazione per  un clima redazionale al limite dell’insostenibilità. Ringrazio Silvio per la  saggezza con la quale ci ha accompagnati, e il grande dono della sua preziosa  esperienza.  
Ora però dovremmo  sforzarci di capire che viviamo un momento in cui le epocali trasformazioni  della nostra azienda necessitano di forza e coesione redazionale. È urgente  creare le condizioni di un nuovo patto sindacale. Spero che sia possibile con  l’elezione del nuovo Cdr.  
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