A via Marconi si chiude
la stagione degli scrittori

IL 25 GENNAIO Felice Piemontese ha compiuto sessantacinque anni ed ha lasciato la Rai. Con il suo pensionamento si chiude la lunga stagione degli scrittori-giornalisti che per decenni hanno lavorato a via Marconi; due nomi su tutti: Luigi Compagnone e Domenico Rea.
Con Piemontese Iustitia ha ripercorso oltre quaranta anni di giornalismo (una

dozzina all’Unità, gli altri alla Rai), con un’operazione in due fasi: una autobiografia e una intervista. L'idea dell'autobiografia è nata dal libro di maggior successo curato da Piemontese,


Giuseppe Blasi, Ermanni Corsi, Nando Spasiano e Pietro Vecchione

l’‘Autodizionario degli scrittori italiani’ pubblicato nel settembre del ’90 dall’editore Leonardo, che raccoglie le autobiografie di duecentodieci scrittori raccontate in terza persona. Passiamo ora all’intervista.
Come è arrivato in Rai?
“L’assunzione fu la soluzione un po’ casuale di un problema: volevo andare via dall’Unità perché dopo dodici anni di lavoro duro, di cui sei da abusivo e due da capo della redazione napoletana, in sostituzione di Ennio Simeone impegnato nel varo della Voce della Campania, pensavo di avere meritato i gradi, invece i dirigenti del Pci scelsero Rocco Di Blasi, un funzionario della federazione di Salerno, che si dimostrerà un ottimo professionista. Mi proposero di andare a fare il corrispondente a Budapest o ad Algeri; accettai di fare l’inviato con base Napoli. Nella seconda metà degli anni settanta, mentre stava per nascere la Terza rete, si aprirono spazi alla Rai anche per i giornalisti del Pci; chiesi al partito di farmi assumere alla sede napoletana e il primo febbraio del ’78 entrai a via Marconi insieme ad altri quattro giornalisti: il praticante Giuseppe Blasi, corrispondente del Mattino dal salernitano, targa dc, area De Mita; Ermanno Corsi, redattore del Mattino, in quota sindacato; Nando Spasiano, cronista del Roma, in quota Napoli bene e Flotta Lauro; per i socialisti Pietro Vecchione, corrispondente da Napoli dell’Avanti! e segretario campano del Psi.
Frutto di congiunzioni astrali favorevoli l’approdo in Rai, frutto un po’ casuale anche la scelta del giornalismo. Avevo ambizioni letterarie e nei primi anni


Massimo Caprara, Roberto Ciuni, Carlo Rognoni e Lamberto Sechi (*)

sessanta collaboricchiavo a riviste come il Baretti e Cronache meridionali. I primi soldi me li diede Gaetano Macchiaroli. Nel ’65 arrivai all’Unità grazie a un’amica, Lina Tamburrino.

Il capo era Ennio Simeone e in redazione, con Lina Tamburrino, lavoravano Nora Puntillo, Giulio Formato, Sergio Gallo e Franco De Arcangelis. Sei anni senza contratto con moltissimo lavoro e pochissimi soldi. Negli anni da abusivo mi pagavano solo le domeniche: ventottomila lire al mese; quando mi sposai nel 1973 lo stipendio era di 170mila lire".
Che redazione ha trovato a Fuorigrotta?
“Era una specie di dormitorio pubblico, un refugium degli scrittori, con una dozzina di giornalisti. Il lavoro si esauriva nel realizzare qualche servizio per le testate nazionali e due giornali radio; il più importante andava in onda alle 14. Poi c’era silenzio fino alla mattina successiva. Il capo era Baldo Fiorentino; con lui c’erano scrittori come Compagnone, Rea e, meno famoso, Frascani, scrittori mancati come Baldo, autori di teatro come Samy Fayad. Mimì Rea si vedeva pochissimo, ma compariva puntuale nei giorni strapagati dei superfestivi: con passo allegro percorreva il lungo corridoio e sbalordiva i colleghi esibendo costosissime scarpe inglesi, arrivava nella stanza di Baldo per mostrargli la linea perfetta dell’ultima giacca che gli aveva cucito il sarto e, dopo pochi minuti, salutava e andava via. Fiorentino era allarmatissimo per lo sbarco di un ‘comunista’ a via Marconi e organizzò un cordone sanitario: mi mise in servizio dalle 14 in avanti; a quell’ora al terzo piano c’eravamo soltanto lui e io, che non avevo niente da fare. Nel primo anno realizzai un solo servizio quando, un pomeriggio, i terroristi spararono a un operaio dell’Alfa Sud; in compenso intensificai la collaborazione con Panorama, avviata quando alla direzione c’era ancora il fondatore del settimanale, Lamberto Sechi, che considero uno dei miei maestri. In quel periodo arrivai a scrivere quattro pezzi

a numero e storie di copertina. Dal nuovo direttore di Panorama, Carlo Rognoni, e, poco dopo, dal direttore del Mattino Roberto Ciuni e dal direttore amministrativo Arnaldo Benedetti ebbi offerte


Baldo Fiorentino (**), Ernesto Mazzetti e Massimo Milone

d’assunzione. Nel ’79 fui contattato anche da Massimo Caprara che conoscevo bene per gli anni vissuti insieme nel Pci; stava mettendo su un quotidiano, Il Diario, e mi offrì di fare il capo della cultura, ma si intuiva che l’operazione aveva basi fragili. Saltate per motivi molto diversi tutte le offerte d’assunzione, sono rimasto in Rai dove mi sono sempre considerato un corpo estraneo; basti pensare che per quindici anni ho scelto di lavorare al turno dell'alba: alle 5,30 in macchina, alle sei in redazione".
Che ricordi ha dei capi che si sono succeduti a via Marconi?
“Baldo Fiorentino aveva il terrore del ‘rosso’, era un governativo naturale, ma anche un eccellente professionista, colto e attento alle notizie. Ernesto Mazzetti era un intellettuale di qualità, veniva dal mondo dell’università, considerava il lavoro in redazione un’esperienza a termine, perciò ostentava un certo distacco e aveva un’attenzione altalenante alle notizie. Pino Blasi era una persona onesta, consapevole dei suoi limiti, grandissimo accentratore fino all’autolesionismo, perché si sobbarcava un carico di lavoro enorme, con l'inevitabile peggioramento del prodotto. Forse non si fidava e voleva essere l’unico a decidere su tutto. Non ha mai provato a individuare dei capi settore, una scelta che deresponsabilizzava tutti, con risultati paradossali: un redattore proponeva un servizio su un cantante assolutamente sconosciuto e Blasi, sempre disponibile, si limitava a chiedere: ‘È ‘nu cazzariello tuo?’, e gli


Franco De Arcangelis, Giulio Formato e Sergio Gallo (***)

metteva a disposizione la troupe; arrivava a Napoli Peter Brook, ma non era un ‘cazzariello’ di nessuno e la Rai lo ignorava. Con Blasi la riunione di redazione del mattino, che era stata

introdotta da Mazzetti, si esauriva nella dettatura dei servizi, senza che arrivasse una proposta dai cronisti dei vari settori; tutt’al più venivano distribuite le fotocopie dei quotidiani da cui copiare. Via Marconi è l’unica redazione che conosco in cui i buchi del giornale, le tantissime notizie importanti non date, non vengono discussi, non interessano nessuno, anche perché nessuno ne risponde.
Se Sechi, a Panorama, ti faceva un rilievo stavi ad ascoltare perché sapevi di avere di fronte un professionista competente; se ti fanno un appunto alla Rai sai che chi te lo fa, nella gran parte dei casi, non ha titoli professionali per parlare, perché è cresciuto per meriti politici, e questa è una situazione che ti deresponsabilizza.
Su Blasi posso solo aggiungere che, forse per le sue radici provinciali, ascoltava con attenzione i rilievi critici e ne teneva conto”.
E il redattore capo in servizio, Massimo Milone?
Ho qualche resistenza a parlare di Milone perché fino a qualche settimana fa abbiamo lavorato insieme e le cose che avevo da dirgli le ho dette e scritte. Con Milone certe tendenze sono diventate degenerazioni, con una predominanza assoluta nella vita della redazione di politici e politicanti. Il tutto condito da un decisionismo privo di fondamento, che non riesce a incidere su niente.
Sulle assunzioni c’è forse da rimpiangere la vecchia lottizzazione che consentiva di introdurre elementi di arricchimento; penso alla Terza rete, ad Angelo Guglielmi, alla banda Ghezzi. C’è stata poi la breve stagione dei

concorsi che, grazie a una griglia alta d’accesso e a selezioni dignitose, ha consentito di assumere professionisti capaci; basta vedere i redattori di Fuorigrotta usciti dai concorsi: Fracchiolla, Damiano, Angelone, ma anche Forni e Verna. Non a caso l’esperienza delle selezioni è stata rapidamente accantonata, nel


Peter Brook (****) e Gaetano Macchiaroli

silenzio di tutti. Il risultato è un progressivo, inesorabile abbassamento della qualità dei nuovi assunti, abituati a frequentare soprattutto le segreterie politiche. E la politica onnivora controlla assunzioni e promozioni. Se non avessi fatto causa alla Rai per avere la qualifica di capo servizio, ottenuta nel 1985, dopo trenta anni di lavoro sarei andato in pensione da redattore ordinario. Come responsabile di fatto della fascia del mattino, con l’istituzione quindici anni fa del Gr delle 7,20, ho coordinato il lavoro anche di sei redattori, alcuni con gradi. Ritenevo perciò che mi spettasse la promozione a vice redattore capo, ma non ho voluto citare nuovamente in giudizio l’azienda. E quando un anno fa Milone ha dovuto indicare il nome del giornalista da promuovere, al redattore che aveva maturato la qualifica con il lavoro di anni, ha preferito un collega suo fedelissimo che ha la targhetta di Alleanza nazionale. E mi ha spiegato: “L’azienda guarda al futuro”.
Come è oggi la qualità dell’informazione del Tgr Campania?
“In Rai la tendenza alla marchetta è radicata, ma in quasi tutte le realtà viene mantenuta entro limiti fisiologici; a Napoli no. La ‘rottura’ tra la redazione e la


Annalisa Angelone, Anna Teresa Damiano e Antonella Fracchiolla

notizia libera spazi via via crescenti per servizi ‘privati’ o di scarsissimo interesse. Con Milone si è definitivamente rovesciato il meccanismo tradizionale: prima si davano le notizie e nello spazio residuo

si piazzavano i servizi minori o ‘privati’; oggi la griglia si costruisce sui servizi minori o ‘privati’ con le notizie costrette a occupare gli spazi residui o ad andare in rete con giorni di ritardo o a saltare del tutto”.

(*) Le foto di Rognoni e Sechi sono di Prima comunicazione
(**) La foto di Fiorentino è di Fabio Donato
(***) Le foto di De Arcangelis, Formato e Gallo sono di Mario Riccio
(****) La foto di Peter Brook è tratta dal sito www.literatura.hu