L’Ungheria non è più una democrazia

Durante la campagna elettorale e anche dopo il voto una protagonista del dibattito politico, a destra e a sinistra, è stata l’Ungheria di Viktor Orbàn, con scambi di dichiarazioni generiche e ideologiche. Non ho infatti letto sui media italiani dei reportage che raccontassero come davvero vivono i cittadini ungheresi. Vorrei perciò fornire la mia testimonianza di cittadina magiara e di insegnante che vive da molti anni a Napoli ma va spesso nel suo paese.   
Innanzitutto guai a pensare all’Ungheria come paradigma politico per l’Italia del dopo Draghi, come auspicava, e forse auspica ancora, qualcuno degli adepti di Giorgia Meloni o di Matteo Salvini. Immaginare qualcosa del genere, anche per il più disinformato tra gli italiani, è mera follia. Parola di chi ungherese lo è per davvero.
Per coloro che ancora hanno le idee confuse è bene chiarire una volta per tutte che il paese di Victor Orbàn ha da tempo smesso di essere una democrazia. Perlomeno da quando il leader di “Fidesz”, il partito nazional-conservatore, governa il Paese dal lontano maggio 2010. Centocinquanta mesi che hanno finito con il trasformare l’Ungheria nel luogo più populista e illiberale del vecchio continente.
Con un po’ di ritardo se ne è accorta Bruxelles, molto prima ne hanno preso atto i miei connazionali, che da mesi protestano per le assurde condizioni di vita con le quali si trovano ogni giorno a confrontarsi. Il tutto, ovviamente, censurato da una stampa sempre più appiattita sulle posizioni dello zar di Budapest. Ultimi in ordine di tempo a scendere in piazza sono stati gli insegnanti, gli impiegati statali più bistrattati tra i lavoratori del pubblico impiego, il cui salario è molto inferiore a quello dell’autista di un autobus o di un tram. Questo anche per meglio per capire che valore hanno la scuola e l’istruzione nell’Ungheria di Orbàn.
Alla protesta dei docenti si è presto affiancata anche quella degli studenti e dei genitori. Centinaia di migliaia di persone stufe delle vessazioni decise da un regime che non solo ha imposto insopportabili limiti alla libertà delle persone ma ha ridotto alla fame una buona parte della popolazione ungherese.
L’ultimo capitolo di questa storia cominciata più di dodici anni fa ha preso il via a fine settembre di quest’anno, quando un gruppo di docenti ha dato vita ad una particolare forma di disobbedienza civile, subito stroncata con il licenziamento di 5 professori del liceo Kölcsey Ferenc di Budapest. Tra loro, anche una docente di lettere (già in età per andare in pensione) che per un innato senso del dovere non si è sentita di lasciare la sua classe, di cui era anche la coordinatrice, E, soprattutto, i suoi studenti che a breve avrebbero dovuto sostenere l’esame di maturità. Alla cacciata dei cinque promotori della protesta sono seguiti altri licenziamenti.
Il tutti si è trasformato in un piccolo tsunami per il sistema scolastico di un Paese – l’Ungheria – alla quale mancano all’appello almeno quindicimila insegnanti, e dove molti istituti sono costretti a ricorrere a personale non laureato per sopperire all’ormai cronica mancanza di professori. Una situazione che peggiora di anno in anno soprattutto a causa dei bassi stipendi che lo Stato riserva a coloro che dovrebbero formare la nuova classe dirigente.
Difatti, lo stipendio lordo di un insegnante di ruolo è di circa 312.000 fiorini che diventano 240.000 al netto delle tasse, per 22/26 ore di lezioni frontali. Che tradotto in euro significa circa 550 euro al mese. Se si tiene conto che, nel corso del 2022 l’inflazione ha raggiunto quota 20 per cento (il rapporto euro/fiorino è balzato da 1/367 di dieci mesi fa a 1/413 di qualche giorno fa), molto più alto è il conto pagato al banco del supermercato. Se in generale il costo del gas e dell’elettricità è quadruplicato rispetto agli anni precedenti, sorte migliore non è stata riservata agli alimenti che, in generale, hanno subito un rincaro del 30 per cento, con alcuni che questo tetto l’hanno sfondato di gran lunga. Difatti, il pollame ha subito un aumento del 44, la pasta del 57 e il pane di ben il 61 per cento.Tradotto in euro un chilo di pane costa 1.000 fiorini (2,5 euro), il prezzo di un chilo di formaggio di produzione varia dai 4.000 agli 8.000 fiorini (10/20 euro). Per un litro d’olio d’oliva vergine si spendono anche 10.000 fiorini (circa 24 euro).
Con uno stipendio di poco più di 500 euro cosa può permettersi un insegnante ungherese? Una casa? Questione non da poco, visto che il costo di un affitto di un appartamento di 80 mq a Budapest è di circa 140.000 fiorini, escluse le spese di acqua, luce e gas. Impensabile è, a maggior ragione, l’acquisto di una casa (anche in periferia), il cui valore difficilmente è inferiore ai centomila euro.
A onor del vero, va aggiunto, che per l’acquisto di una casa da parte di una giovane coppia il governo contribuisce investendo circa 10 milioni di fiorini (più o meno 25.000 euro). A una condizione però: che i novelli coniugi mettano al mondo almeno tre figli entro dieci anni. Se ciò non dovesse avvenire – tranne che in caso di sterilità dimostrata – la coppia dovrà restituire 68,75 milioni di fiorini se non nasce nemmeno un bambino; 64,625 se si tratta di un figlio unico e 50,875 se all’appello dei tre ne manca uno. Più che un aiuto il finanziamento si trasforma nei fatti in una “trappola esistenziale”. 
A questo punto facciamo due conti. Se non può acquistare una casa o permettersi una cena al “Pipa Étterem” di Pipa utca, uno dei più rinomati ristoranti di Budapest, cosa può fare un insegnante con uno stipendio di 240.000 fiorini al mese? Semplice. Può acquistare 240 chili di pane o, in alternativa, 24 litri d’olio e la notte dormire sotto le stelle, anche quando, d’inverno, la temperatura raggiunge i -15.
Fin qui, per non parlare degli straordinari, che diventano tali solo dopo otto/dieci ore di supplenze “obbligatorie” e gratuite a settimana. Stando così le cose solo dopo 32 ore di lavoro un insegnante può aspirare a uno straordinario pagato 3500 fiorini l’ora, insufficienti per comprare anche mezzo litro d’olio.
All’alzata di scudi del mondo della scuola (e più in generale del pubblico impiego) Orbàn ha promesso sostanziosi aumenti salariali, prelevandoli – udite, udite - dai fondi che l’Unione Europea minaccia di bloccare. Una situazione a dir poco paradossale, visto che quei soldi – che stando così le cose potrebbero non arrivare mai – possono servire a tutto ma non certo per aumentare gli stipendi di chi lavora nel mondo della scuola.

Agi Berta

 
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