L'Assostampa deve tre
milioni di € al Comune

A FINE GENNAIO l’ufficiale giudiziario andrà a Cappella Vecchia nella sede dell’Associazione napoletana della stampa per pignorare tutti i beni pignorabili. L'operazione è stata preceduta, ai primi di dicembre, dal precetto di pagamento. Il pignoramento avverrà per conto del Comune di Napoli, attraverso la Romeo Gestioni, la spa che ne gestisce gli immobili, in esecuzione della sentenza emessa dalla seconda sezione della corte d’appello di Napoli (presidente Domenico Balletta, giudici a latere Alessandro Cocchiara,

estensore, e Umberto Di Mauro).
Con una sentenza di quaranta pagine depositata il 16 maggio 2006, la corte d'appello ha condannato l’Assostampa, presieduta da


Il salone del circolo della stampa

Gianni Ambrosino, a pagare al Comune tre milioni di euro come differenza canoni e risarcimento danni per il fitto della Casina del boschetto in villa comunale, dal 1912 al 1999 sede del circolo della stampa; per la precisione la condanna ammonta a 2.528.347,84 euro, cui vanno aggiunti gli interessi maturati, secondo gli indici Istat, dal febbraio 2000 fino all’effettivo pagamento su 2.210.382,29 euro. Non basta: oltre al rimborso delle spese generali, tra primo e secondo grado di giudizio, la Napoletana deve pagare 31.400 euro di spese legali.
La decisione della corte d’appello forse chiuderà il lungo contenzioso giudiziario tra Palazzo San Giacomo e l’Assostampa, ma certo apre una voragine nelle già disastrate finanze del sindacato campano dei giornalisti, che ha debiti con l’Ordine regionale (oltre centomila euro annotati nell’ultimo bilancio dell’Ordine), con la Federazione della stampa (più di 25mila euro) e conti aperti con ex dipendenti.
Tre le tappe importanti che hanno preceduto la sentenza della corte d'appello.
Il 15 aprile 1994 il pretore emette l’ordinanza di convalida di sfratto per finita


Fausta Como

locazione, “su istanza di parte locatrice (il Comune, ndr) – scrive il giudice Troise nel successivo giudizio – e con l’acquiescenza di parte conduttrice (l’Assostampa, ndr), che non comparendo (chissà perché, ndr) all’udienza omise di opporsi alla convalida”. E poi non presentò neanche appello.
Il 6 maggio ’98 il pretore Massimo Troise riconosce il diritto del Comune, assistito dal professore Stefano Cianci, a ottenere il risarcimento danni causato dalla ritardata restituzione della Casina del boschetto dal 4 maggio

1985, data di scadenza del contratto di fitto, e rinvia la quantificazione a un giudizio successivo. L’Assostampa è presieduta da Franco Maresca e difesa dall’avvocato Calcedonio Porzio.
Il giudizio successivo, promosso dal Comune e dalla Romeo (la sigla all’epoca era ER spa), che chiedono all’Assostampa, difesa dall’avvocato Luigi Pietro Rocco di Torrepadula, un risarcimento di 5.377.623.985 lire, viene affidato al giudice Fausta Como, che il 25 settembre 2002 emette la sentenza. La Como rigetta la richiesta del Comune e stabilisce che il sindacato non deve pagare niente: una sentenza davvero singolare perché il giudice doveva decidere quanto l’Assostampa doveva al Comune di Napoli e non se fosse dovuto un risarcimento, punto già definito con sentenza dal pretore Troise.
Non a caso l’avvocato Cianci nel presentare appello era stato molto critico nei confronti della decisione adottata in primo grado. “Il primo giudice (la Como, ndr) – scrive il relatore Cocchiara riportando le tesi del Comune – aveva ritenuto che gli oltre 14 anni di ritardo nel rilascio dell’immobile (dal 1985 al 1999) non avevano arrecato alcun pregiudizio al Comune, dovendosi ritenere evidentemente congruo un canone mensile di lire 129.931 per un immobile di 1300 metri quadri coperti e 2200 scoperti nella centralissima villa

comunale di Napoli, dove si svolgevano continuamente, come notorio, sontuosi ricevimenti e feste, ciascuno del costo di decine e a volte centinaia di milioni di


L'ingresso del circolo

vecchie lire. Senza tenere conto che certamente non casuale era stata l’offerta da parte dell’Associazione di un canone mensile di 38.650.000 di lire per il rinnovo della locazione, oltre al versamento, a titolo di acconto sul risarcimento del maggior danno ex articolo 1591 del codice civile della somma di lire 382.066.386”.
Il giudice estensore continua a riportare le tesi di Cianci: "Il tribunale (cioè il giudice Como, ndr) aveva violato l’intangibilità del giudicato di cui alla sentenza pretorile di condanna generica, atteso che il pretore nell’individuare la data di decorrenza del ritardo (4 maggio 1985) e la data di cessazione dello stesso (rilascio dell’immobile o stipula di un nuovo contratto), nonché nel respingere tutte le eccezioni della conduttrice (l’Assostampa, ndr) compresa quella di prescrizione, aveva espressamente affermato che il maggior danno consisteva nella differenza tra il canone di mercato e quello corrisposto di lire 129.931 al mese”.
La corte d’appello esamina poi in maniera meticolosa i vari passaggi della lunga e complicata vicenda che vede i dirigenti dell’Associazione napoletana della stampa dare in qualche modo per scontato il diritto a occupare la Casina


Luigi Pietro Rocco di Torrepadula

del boschetto e a non preoccuparsi granché del rapporto con l’amministrazione comunale, a cominciare dal rinnovo del contratto di locazione che scade nel maggio del 1985. Il presidente è Giacomo Lombardi, che poi passa il testimone a Lello Barbuto, rimasto in carica fino alla sua scomparsa nel marzo del ’94; gli subentra Franco Maresca, che il primo ottobre 2002 cede la poltrona a Gianni Ambrosino.
In particolare è interessante leggere le pagine della sentenza che smontano la tesi del giudice di

primo grado secondo il quale il Comune non avrebbe dato prova del valore commerciale della Casina e quindi del danno patrimoniale subito. L’Assostampa “aveva un preciso interesse - scrive il relatore Cocchiara – a procrastinare le trattative (per il rinnovo del contratto con il Comune, ndr) perché doveva rispettare gli impegni assunti nei confronti della Villa Scipione srl alla quale, sotto l’apparente affidamento dei servizi di ricreazione e ristoro, aveva nella sostanza sublocato una parte dell’immobile preso in locazione dal Comune di Napoli, per la durata di nove anni a partire dal ‘novantesimo giorno successivo alla ultimazione dei lavori di ristrutturazione e del completamento degli arredi’ (vedi scrittura privata autenticata del 9 ottobre 1987, registrata il 29 ottobre 1987)”.
“In effetti, solo per una parte dei locali – continua il giudice Cocchiara – occupati dal Circolo della stampa e precisamente quelli destinati alla ristorazione e al bar, nonché le aree esterne poi attrezzate a cura e a spese della sub-conduttrice (la srl Villa Scipione, ndr), le parti convennero un canone mensile (nel 1987) di 10.000.000 di lire da rivalutare dopo tre anni, oltre all’accollo da parte della stessa sub conduttrice delle spese di ristrutturazione del locale e di sostituzione degli arredi. A ciò aggiungasi che la Villa Scipione si impegnò a corrispondere all’Associazione napoletana della

stampa la somma di lire 500.000 al giorno per l’uso dei locali di rappresentanza, nonché ad offrire agli associati e loro familiari pranzi e servizi al bar a prezzi scontati. Infine


Una delle sale interne

all’atto della sottoscrizione del contratto la Villa Scipione srl versò all’Associazione di lire 200.000.000 che quest’ultima si impegnò a restituire in 48 mesi (ma non vi è prova della restituzione, così come non v’è prova di quanto nell’intero rapporto sia stato corrisposto per l’uso giornaliero dei locali di rappresentanza)”.
Insomma un fiume di centinaia e centinaia di milioni di lire di cui si è persa traccia, che potrebbero tornare utili oggi per pagare i tre milioni di euro al Comune di Napoli.