Si sgretolano una a una tutte le nostre certezze, nostre di Napoli, quelle di cui siamo stati sempre orgogliosi. Cioè di quei prodotti che uno li nominava e subito pensava al Vesuvio, ai vicoli, al sole. Come i pomodori, che ora li fanno in Cina e ce li mandano qui con l'etichetta Pomodoli, come la pizza, che ora metti una moneta e la pizza esce già pronta da una macchinetta a Singapore o a Oslo, come la mozzarella di bufala con le bufale che parlano il dialetto cantonese (e confondersi tra una bufala e una cantonata è un niente).
Rimaneva il colera, di cui non eravamo granché orgogliosi ma era nostro sin dal 1973. Adesso il direttore di Libero, Pietro Senaldi, ci toglie quest'ultima certezza: il 4 ottobre il titolo di prima annuncia: Torna il colera a Napoli. L'occhiello chiarisce: Lo hanno portato gli immigrati. E si racconta la storia di una donna di ritorno dal Bangladesh dove avrebbe contratto il virus. Così perdiamo un altro primato.
Restano il sole, il mare, i mandolini e la munnezza (ma su quest'ultimo brand ci stanno lavorando i cinesi, che riescono a copiare tutto per farci i soldi). |