V. Del Tufo ricorda Calise

L’undici gennaio è scomparso Giuseppe Calise, nato a Portici nel 1942, professionista dal ’69, telescriventista da Milano, poi corrispondente, redattore, responsabile della giudiziaria, capo cronista, redattore capo centrale, per trenta anni pilastro del Mattino e di fatto numero due del giornale con i direttori Pasquale Nonno, Paolo Graldi e Paolo Gambescia.
Uno dei “ragazzi di Peppino Calise”, Vittorio Del Tufo, lo ha ricordato su Facebook. Questo il testo

Ho condiviso con Peppino molti momenti della sua avventura umana e professionale. Siamo stati legatissimi per anni: ricordo grandi litigate e meravigliose riconciliazioni, incoraggiamenti, battute, incarichi delicati,
parole di apprezzamento, lodi, cazziate memorabili. E pagine, tante pagine macinate insieme. Credo di poter dire che gli devo tutto. Come devo moltissimo ai colleghi con i quali ho diviso la meravigliosa esperienza della Cronaca del Mattino dei primi anni '90, da Enzo Ciaccio, che di Peppino era il vice, a Matteo Cosenza con il quale avrei lavorato in tandem ancora per tantissimi anni. Era un gruppo di giornalisti formidabili, di autentici fuoriclasse. Peppino Calise, nel '90, li andò a pescare a uno a uno, chi dall'Economia, chi dallo Sport, chi dalle redazioni distaccate, perché voleva formare attorno a sé un gruppo affiatato, in grado di consolidare la leadership del Mattino sul territorio e di replicare colpo su colpo a una concorrenza che diventava sempre più agguerrita, con Repubblica che apriva proprio in quel periodo la sua bellissima redazione napoletana.
Eravamo agguerriti anche noi, e Peppino non ha mai smesso di valorizzare ciascuno di noi, tirando fuori il meglio anche da chi si misurava in quegli anni con il difficile mestiere di cronista. Era la prima Cronaca di Calise, la Cronaca, tra gli altri, di Enzo Ciaccio e di Gianni Ambrosino, di Elio Scribani e di Enzo "Zio" Perez, di Bruno Delfino (che poi, maledetto, se n'è andato
al Corriere della Sera) e di Massimo Baldari, di Gino Giaculli e Daniela Limoncelli, di Bruno Buonanno e di Marisa La Penna, di Matteo Cosenza "il monacone" e Gigi Di Fiore "il consigliere", di Mino Jouakim e Santa Di
Salvo, di Daniela Limoncelli e Teresa Coscia, di Carlo Franco e di Maria Chiara Aulisio, di Maurizio Cerino e di Paola Del Vecchio, di Egidio Del Vecchio e di Luisa Russo. Ma tanti altri, da Giampaolo Longo a Claudio
Scamardella, da Corrado Castiglione a Francesco Vastarella, sarebbero venuti dopo Peppino è stato capocronista a più riprese e sono passati per quella stanza, la stanza più bella di via Chiatamone, e ognuno di loro ha dato qualcosa a tutti.
Chi come me ha vissuto quel periodo sa come sono stati gli anni della Cronaca di Calise, prima con Pasquale Nonno direttore, poi con Graldi e Gambescia. Peppino era un burbero dal cuore tenero, aveva un carattere
impossibile che tuttavia forgiava chiunque lavorasse con lui, rafforzandone la tempra. Da lui abbiamo appreso tutti,
credo il senso della notizia, il rigore professionale, il gusto dell'approfondimento, il lavoro di scavo ma anche il rispetto e il senso di umanità che nel nostro mestiere non devono mai mancare, anche quando, per così dire, il gioco si fa più duro.
Le sue intemerate erano terribili, le sue bestemmie irriferibili. Era un motore inesauribile. A pranzo andavamo tutti nel ristorante (allora interrato) della Caffettiera di piazza dei Martiri, ma dovevamo sbrigarci perché lui pretendeva (lo ha sempre preteso, fino all'ultimo giorno da
capocronista, per lui era un imperativo categorico) che alle 15 in punto fossimo tutti in redazione a presidiare la Cronaca. Per chi non rispettava l'orario era già pronta la lettera, e ne fioccarono parecchie in quel periodo.
Ricordo lo ricorderanno anche Gino Giaculli e Bruno Buonanno la volta in cui la lettera scattò anche quando facemmo tardi con lui, anzi per colpa sua. Tornammo insieme in redazione e ci fece la lettera di richiamo.
Ecchecazzo, Peppino! Una persona impossibile: perciò lo adoravamo tutti. Era incazzoso, era temuto, era rispettato, era spregiudicato. Ed era un mastino, forse come nessun altro. Era Peppino, ed era amato per come era. E quelli erano altri tempi, tempi nei quali il capocronista, forse, contava davvero più del direttore. Però erano anche tempi in cui ci si divertiva parecchio, tempi nei quali poteva capitare che Bruno Buonanno telefonasse in pizzeria spacciandosi per Matteo Cosenza e ordinando una
trentina di pizze a domicilio. Poi, il giorno dopo, si andava a seguire tutti insieme Papa Wojtyla. Spesso si fa un grande abuso del termine maestro.
Per me maestri furono uomini come Calise, zio Perez, Pietro Gargano, i fotografi del gruppo storico della Photosud, Marittiello Siano, Guglielmo Esposito, Antonio Troncone, Peppino Di Laurenzio, i grandi proti come
Taglialatela, come il mitico Peppino Oriente. In quel periodo si saccheggiava da tutti, per imparare. C'era una grande voglia di imparare, e queste persone erano fatte di una pasta, di una malta particolare, perché, più di ogni altra cosa, erano persone generose, che amavano mettersi a disposizione di chi voleva crescere.
La tensione divorava Peppino. Era divorato, consumato, dall'ansia di fare di più, meglio degli altri. Perciò pretendeva tantissimo. La sua Cronaca doveva essere la migliore d'Italia, e credo che lo fu. Se c'era un omicidio,
un morto a terra, lui pretendeva che i cronisti spaccassero il capello in quattro. Ricordo quello che mi diceva: "Davanti alla scena di un delitto, guardati intorno e fissa i particolari. Se c'è il morto a terra, non concentrarti
17 ore fa solo sul cadavere ma alza la testa e osserva le persone affacciate ai balconi, voltati e osserva gli sguardi delle persone oltre le transenne, passa in rassegna gli oggetti accanto al corpo dell'uomo ucciso. Dopo aver
messo a fuoco i particolari, guarda la scena nel suo insieme e fotografala nella mente. Quella veduta d'insieme ti sarà utile quando dovrai scrivere il pezzo". Magari me lo diceva bestemmiando, ma il concetto era quello.
A quei tempi si usciva dalla Cronaca tutti insieme, si stava insieme anche a cena, o a casa di qualcuno di noi la
De Crescenzo, i GiaculliSalvia, Angelo Iaccarino e
si concludeva la giornata con la chitarra. I nostri figli
nacquero tutti in quel periodo, più o meno. Fu una specie di nidiata. Erano i figli della Cronaca del Mattino. Tutto mi è stato utile, di quegli anni con Peppino (e con gli altri). Anche le ombre che avvolsero, ingiustamente, la sua figura professionale nel periodo di Tangentopoli, come quando fu intercettato mentre parlava con il questore e quella conversazione fu data in pasto ai giornali da un politicante. O come quando la Procura gli ritagliò addosso un'accusa che, per chiunque conoscesse Peppino, era semplicemente ridicola prima di essere palesemente infondata, come poi fu riconosciuto.
Ho conosciuto, apprezzato, amato professionalmente tanti colleghi. Sono nato al Mattino e ci resterò per sempre. E non smetterò mai di ringraziare tutti coloro che mi hanno trasmesso l'unica cosa per cui vale la pena lavorare, e forse vivere: la passione.
 
Giuseppe Calise