Maurizio Dente cita
in giudizio l'Ansa

IL CRONISTA DELLA redazione napoletana dell’Ansa Maurizio Dente ha citato in giudizio l’agenzia per impugnare la decisione “discriminatoria” della società di collocarlo in cassa integrazione.
Della querelle si occuperà il giudice Amalia Urzini del tribunale di Napoli che ha fissato la prima udienza per il prossimo 19 marzo.
La questione nasce nell’estate del 2017 quando l’Ansa con il via libera del sindacato è stata autorizzata dal ministero del Lavoro a varare il terzo stato di crisi con il prepensionamento di cinquantacinque redattori entro

il 31 dicembre 2018.
Chi non ha accettato la proposta dell’azienda, in teoria si tratta di una scelta su base volontaria, è stato messo in cassa integrazione. Qualche redattore ha rifiutato il prepensionamento; tra questi Dente posto in cassa integrazione il 13 novembre 2017 e Franco Nuccio della sede di Palermo. Quando manca un mese e mezzo alla chiusura dello stato di crisi non è ancora noto se la società ha raggiunto i cinquantacinque

Raffaele Lorusso

prepensionamenti. In questo caso i giornalisti in cassa integrazione dal primo gennaio dovrebbero tornare al lavoro. E proprio per avere un quadro chiaro sulla situazione dei prepensionamenti il 7 novembre il segretario della Federazione della stampa Raffaele Lorusso ha chiesto un incontro ai dirigenti dell’Ansa.
Tornando alla vicenda Dente, i suoi legali, Annamaria Barone e Gianlivio Fasciano, hanno contestato all’agenzia che la messa in cassa integrazione del giornalista era palesemente discriminatoria perché l’unico criterio utilizzato era stato l’anzianità anagrafica. E nel caso di Dente sembra emergere un accanimento della società nei suoi confronti.
Infatti nel luglio del 2006 l’Ansa lo ha licenziato mentre era in malattia e il giornalista ha dovuto combattere una lunghissima battaglia praticamente in solitudine. Ha comunque vinto rapidamente i due passaggi del rito d’urgenza (articolo 700 e reclamo) che gli hanno consentito di essere reintegrato al lavoro. Ha poi dovuto attendere il marzo del 2010 per ottenere la sentenza di primo grado che ha dichiarato illegittimo il licenziamento, decisione confermata dalla Corte di appello e quindi blindata dalla Cassazione.