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14 giugno
2003 / anno XI
numero 22 |
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S.O.S.
URGENTE: GIUSTIZIA
PER LA MORTE
DI UN INNOCENTE
(da Giulia Casella
e Maria Antonietta
Rozzera - Legambiente,
Tribunale per
i diritti del
malato, TA.CO.CI.S.U.:
Tavola per la
convivenza civile
e lo sviluppo
umano, Pax Christi)
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Mohammed
Khaira Cisse è
un cittadino della
Guinea Konacri
nato il 20 marzo
1970.
Si laurea in lettere.
Non trovando lavoro
nel suo paese,
nel 1998 decide
di trasferirsi
in Italia dove
già si
trova la sorella
Kadiatou sposata
con Ousmane Diabi
da cui ha due
figli, Fausta
e Mohammed, nati
in Italia.
La sorella risiede
in Arzano, via
Porzio n. 2.
Mohammed Khaira
si trattiene presso
di lei prestandosi
a fare ogni tipo
di lavoro, in
nero, non solo
per non essere
di peso ma anche
per aiutare i
familiari.
Nel 2000 trova
lavoro a Treviso,
in fabbrica, regolarmente
assunto e con
permesso di soggiorno
di cui era provvisto
già dal
'98.
Lontano dalla
famiglia, senza
affetti, viene
colto da crisi
depressiva, per
cui, nel mese
di aprile di quest'anno
chiede ospitalità
temporanea alla
sorella e si trasferisce
ad Arzano.
La sorella lo
porta presso il
centro di igiene
mentale di Arzano
dove gli diagnosticano
la depressione
e gli prescrivono
una cura.
All'inizio Mohammed
Khaira si cura,
ma poi la depressione
diventa sempre
più forte.
Il giovane comincia
a rifiutare, oltre
alle cure, il
cibo, deperendo
ogni giorno di
più.
La sorella, disperata
per il suo stato
psico-fisico,
chiede l'aiuto
di un'amica italiana,
Vanda Brandolani,
che le fa conoscere
anche una missionaria
laica.
Questa passa ore
intere a cercare
di convincere
il malato ad assumere
cibo riuscendovi,
anche se solo
a volte, perché
ha conquistato
la sua fiducia,
tant'è
vero che lo convince
più volte
ad andare in ospedale
perché
sia visitato e
anche ricoverato.
In realtà
Mohammed, pur
consentendo a
sottoporsi a visita,
rifiuta il ricovero
che, quindi, non
gli può
essere imposto.
La situazione,
intanto, precipita
cosicché,
il 4 giugno scorso,
la sorella si
reca a Treviso
per ritirare i
documenti del
fratello con l'intento
di preparare il
viaggio di ritorno
dello stesso in
Guinea, nella
speranza che lì
possa riprendersi.
Tornata a casa
la sera dello
stesso giorno,
il marito le dice
che lo stato di
Mohammed sta precipitando
per il deperimento
sia organico,
sia picologico
perché
lo ha visto nascondere
un coltello sotto
il cuscino. Temendo
che potesse tentare
il suicidio, aveva
pregato l'amica
italiana di telefonare
al 118 per poterlo
ricoverare, ma
gli operatori
del 118 rispondevano
che, trattandosi
di un ricovero
coatto, la famiglia
doveva avvisare
i carabinieri.
(Nelle varie telefonate
è stata
sempre riferita
la presenza di
questo coltello,
forse per indurre
chi di dovere
ad accelerare
un intervento
per il ricovero
del Cisse, ma
questo è
stato il dato
che ha fatto precipitare
tutto, forse perché
è stato
riferito anche
in maniera sbagliata,
tenendo conto
del livello culturale
degli attori)
A questo punto
Ousmane (marito)
decide di attendere
il ritorno della
moglie.
Il mattino dopo,
la signora Cisse,
partito il marito
per Napoli, verso
le sette va a
controllare il
fratello e nota
che è talmente
debole da non
avere neanche
la forza di parlare.
Allarmata dalla
sua estrema prostrazione,
telefona all'amica
italiana, che
si reca subito
da lei, e la prega
di chiamare il
118 perché
è agitata
e teme di non
riuscire ad esprimersi
bene in italiano,
paventando che
il fratello possa
venir meno da
un momento all'altro.
Nel frattempo
arriva anche il
cugino, Fato Cisse,
che ogni giorno
l'aiuta ad assistere
il malato.
Intorno alle 7,30
l'amica chiama
ancora una volta
il 118, sentendosi
ancora rispondere
che loro non possono
intervenire senza
la presenza delle
forze dell'ordine.
A questo punto
telefonano al
113 che risponde
di non avere la
competenza e di
rivolgersi al
112.
Chiamato il 112,
spiegando ancora
una volta che
sollecitavano
l'arrivo di un'ambulanza
per lo stato di
grave deperimento
e di pericolo
in cui versava
il fratello, chiedono
l'intervento dei
carabinieri.
Intorno alle 9,45,
bussano alla porta,
la signora Cisse
apre e si trova
di fronte due
carabinieri, uno
dei quali impugna
la mitraglietta
e chiede dove
si trovi la persona
ammalata.
La Cisse indica
il fratello immobile
sul letto nell'ingresso
e chiede se è
arrivata l'ambulanza
con loro.
Uno dei due le
risponde che deve
chiamarla lei.
La Cisse richiama
il 118 e poi passa
il telefono all'amica
- che si trattiene
ancora in casa
per accudire il
figlioletto della
Cisse, di appena
13 mesi - per
far spiegare bene
l'indirizzo.
(N.B.: a questo
punto in casa
si trovano, oltre
al malato, la
signora Cisse,
il figlioletto
di 13 mesi, il
cugino e l'amica
italiana)
I carabinieri,
con atteggiamento
aggressivo e tracotante
impongono di aprire
tutte le porte,
chiedendo chi
si trovi in casa
e pretendono i
documenti (quasi
fossero lì
per una retata
e non per soccorrere
un malato in gravissime
condizioni), poi,
puntando sempre
l'arma contro
il malato che
non si è
mai mosso dalla
posizione in cui
l'hanno trovato
sul letto, gli
intimano di esibire
i documenti e
di alzarsi perché
lo devono portare
in questura, gli
chiedono dov'è
il coltello, che
né la sorella
né il cugino
né l'amica
avevano comunque
visto.
Mohammed Cisse
non reagisce in
nessun modo, se
non con qualche
debole cenno di
mano.
La signora Cisse,
temendo che quell'aggressività
spaventi il povero
fratello, invita
i carabinieri
a parlare con
lei, e precisa
di averli chiamati
per aiutarla a
trasportare il
congiunto in ospedale.
Si offre di andare
a prendere i documenti
che lei conserva
in camera sua,
chiedendo al cugino
di accompagnarla
perché,
nello stato di
agitazione in
cui l'hanno indotta
i carabinieri,
teme di non riuscire
a trovarli.
La signora Cisse
e il cugino fanno
appena a tempo
ad entrare nella
camera da letto,
che sentono due
spari in successione.
Gli spari vengono
sentiti anche
dall'amica che
si trova sul balcone
della cucina dove
ha portato il
piccolo impaurito
dall'atteggiamento
e dalla voce dei
carabinieri.
Tutti si precipitano
nell'ingresso
dove trovano il
corpo di Mohammed
Khaira a terra,
presso il letto.
L'amica, spaventata,
scappa via portando
con sé
il bambino perché
non veda quella
scena angosciosa
"E' morto?"
chiede la sorella,
notando una pozza
di sangue:
E uno dei carabinieri,
mentre l'altro
va via, spingendo
il corpo riverso
con un piede "No,
dorme" risponde.
La sorella abbraccia
il corpo del fratello,
poi ai carabinieri
che arrivano in
forze, chiede
di telefonare,
ma le viene impedito;
chiede di restare
ma viene minacciata
con l'arma puntata,
poi lei e il cugino
vengono prelevati
con la forza,
portati giù
e chiusi nella
macchina dei carabinieri,
senza alcuna possibilità
di uscire, pur
chiedendo lei
ripetutamente
di aprire.
I due vengono
trattenuti in
macchina per circa
due ore, mentre
i carabinieri,
si trattengono
in casa per il
medesimo tempo,
sconvolgendo la
scena della tragedia
appena accaduta
Dopo questo tempo
i due vengono
portati direttamente
in caserma, quasi
fossero colpevoli
di alcunché
e la sorella,
pur in evidente
comprensibile
stato di shock
emotivo, viene
invitata a deporre
la sua versione
dei fatti.
Lei comincia a
parlare e dopo
è invitata
a firmare la dichiarazione.
Lei sostiene di
non aver completato,ma
la fanno firmare
ugualmente. Lei
non dice di non
saper leggere.
Al ritorno a casa,
avvenuto intorno
alle ore 15, trova
l'abitazione in
uno stato del
tutto differente
in confronto a
quando ne è
uscita.
Qualche ora dopo,
un'amica le legge
la dichiarazione
da lei sottoscritta,
e lei si rende
conto che molte
cose non sono
esatte, soprattutto
quando sente che
avrebbe dichiarato
che "certamente"
il coltello era
sotto il cuscino,
cosa che lei non
ha mai sostenuto.
Poi comincia la
campagna stampa
tesa ad accusare
il povero Cisse,
a cancellarne
la memoria e la
dignità.
La prima notizia
passata all'Ansa
è che all'entrata
dei carabinieri,
il Cisse si è
scagliato contro
di loro armato
di coltello, e
loro hanno sparato;
tutto falso, come
si deduce dai
fatti esposti.
Il giorno seguente
è apparso
su "Il Mattino"
di Napoli un articolo
vergognosamente
diffamatorio,
di cui accludiamo
copia, con una
versione dei fatti
inventata di sana
pianta, in cui
la vittima viene
dipinta come un
invasato maniaco
sessuale armato
di coltello affilato
sotto la minaccia
del quale tentava
di violentare
una donna nell'appartamento.
La donna gridava
e i vicini hanno
chiamato i carabinieri
contro cui il
presunto maniaco
si sarebbe avventato
con violenza,
costringendoli
a sparare. Anche
contro il giornale
bisogna chiedere
giustizia per
onorare la memoria
di un povero malato
inoffensivo.
Qualunque psichiatra
può spiegare
che la depressione
è rifiuto
di vivere, abbandono
totale che, nel
peggiore dei casi,
può risolversi
in un suicidio
ma mai in violenza
contro gli altri.
Naturalmente i
carabinieri basano
tutta la difesa
sulla presunta
presenza di un
coltello che nessuno
dei presenti ha
visto ma che i
carabinieri hanno
addirittura sequestrato
nelle ore in cui
sono stati nell'appartamento
da soli.
Mohammed Khaira
Cisse era una
persona buona
e tranquilla,
trascorreva gli
ultimi giorni
sostanzialmente
sul letto, in
compagnia dei
nipotini, Fausta
di 7 anni e Mohammed
di 13 mesi.
La sorella si
è mossa
per chiedere aiuto
per il ricovero
del fratello,
nel tentativo
di salvarlo dallo
stato di deperimento
psico-fisico in
cui si trovava
e si ritrova a
dover curare il
rientro della
salma nel suo
paese natio, senza
un perché.
Sono molti i punti
oscuri e le omissioni:
· i carabinieri
si presentano
in una casa dove
giace un ammalato
grave con la mitraglietta
impugnata, puntandola
contro l'ammalato
stesso e contro
la sorella e si
rifiutano di chiamare
l'ambulanza;
· l'ambulanza,
più volte
chiamata dai familiari,
è arrivata
solo dopo l'uccisione
del Cisse;
· I due
cugini sono chiusi
in macchina per
qualche ora, contro
la loro volontà
( è ipotizzabile
il sequestro di
persona?);
· la signora
Cisse viene "invitata"
a deporre nonostante
l'evidente stato
di shock;
· i carabinieri
restano soli sul
luogo della tragedia
(non doveva restare
almeno un familiare?
non dovevano aspettare
l'arrivo della
scientifica e
del magistrato
senza toccare
nulla?)
· la notizia
passata subito
dopo all'Ansa,
dove si parla
di aggressione
da parte del Cisse,
è priva
di ogni fondamento,
non essendo egli
in grado neanche
di reggersi in
piedi.
L'unica cosa a
cui hanno pensato
i carabinieri
è questo
fantomatico coltello.
Può anche
darsi che il coltello
(da cucina) stesse
da qualche parte,
ma c'era comunque
una persona che
stava morendo,
ma, cosa importa,
era un "fantoccio
nero" senza
alcuna possibilità
di difendersi.
|
Sessa
Aurunca,
7 giugno
2003 |
Giulia
Casella
Via XXI
Luglio,
107
81037 Sessa
Aurunca
(Caserta)
tel. 0823/937382
Cell. 333/4211633
e-mail yellowjulie@libero.it
Maria Antonietta
Rozzera
Via XXI
Luglio
81037 Sessa
Aurunca
(Caserta)
tel. 0823/937170
cell. 329/4311781 |
|
Il documento è
stato spedito
per e-mail a:
Bassolino, Buffardi,
Tufano per le
Regione Campania;
ai parlamentari
Diliberto, Realacci,
Rutelli, Russo
Spena, Turco,
Melandri, Cima,
Pecoraro Scanio,
Boselli, Cossutta,
per le interrogazioni
parlamentari;
alle associazioni
Legambiente Campania
e nazionale, Tribunale
per i diritti
del malato Campania
e nazionale, Emergency
di Caserta, Pax
Christi nazionale;
alla Cgil Campania;
alla stampa: Repubblica,
Il Manifesto,
L'Unità,
La Nuova Ecologia |
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