Fnsi e Napoletana,
pacco a De Magistris

SONO STATI NECESSARI due pignoramenti 'romani' per scuotere finalmente la Federazione nazionale della stampa che ha seguito in questi anni le 'prodezze' dell’Associazione napoletana con assoluta indifferenza. Il merito della scossa è di Stefano Cianci, ex docente di Storia del diritto romano alla Federico II e avvocato che assiste il comune di Napoli nella vicenda

giudiziaria per il rilascio ritardato della Casina del boschetto da parte del sindacato dei giornalisti campani.
Dopo la sentenza della Corte di cassazione (presidente l’irpino di Lacedonia Francesco Trifone e consigliere relatore il napoletano


Stefano Cianci e Lucio Giacomardo
Franco De Stefano) che il 20 maggio scorso ha confermato la condanna dell’Assostampa a pagare al comune di Napoli tre milioni e mezzo di euro e 26mila euro di spese legali soltanto per il giudizio di Cassazione.
In questi mesi Stefano Cianci e Fabio Ferrari, responsabile dell’Avvocatura civile dell'amministrazione guidata dal sindaco Luigi De Magistris, hanno avviato tutte le procedure per andare all’incasso, ma hanno trovato un muro di gomma. Dopo avere provato senza successo i pignoramenti alla sede del sindacato a via Cappella Vecchia, il 31 gennaio Cianci ha fatto partire un duplice pignoramento presso terzi indirizzato ai presidenti dell’Inpgi, Andrea Camporese, e della Casagit, Daniele Cerrato, che versano ogni anno 190mila euro alla Napoletana, ufficialmente per sede e fornitura servizi agli uffici di corrispondenza dei due istituti; in realtà si tratta di un sostegno cospicuo dato a tutti i sindacati regionali.

Il portafoglio

Toccati al portafoglio i dirigenti sindacali romani si sono improvvisamente svegliati e hanno convocato d’urgenza una riunione nella sede della Fnsi. Il 13 febbraio nelle stanze di corso Vittorio erano presenti il presidente e il direttore della Federazione della stampa, Giovanni Rossi e Giancarlo Tartaglia, il


Enzo Colimoro e Domenico Falco

presidente e il direttore della Casagit, Daniele Cerrato e Francesco Matteoli, i componenti della giunta esecutiva della Fnsi Raffaele Lorusso e il pubblicista napoletano Domenico Falco, Enzo Colimoro, presidente dell’Assostampa ma anche componente del

consiglio generale dell’Inpgi e consigliere dell’Ordine campano, l’avvocato Lucio Giacomardo, consulente della Napoletana, i consiglieri campani della Federazione della stampa Massimo Calenda e Gianni Russo, e, non si sa a quale titolo, il vice direttore della Tgr Carlo Verna.

La strategia

Giovanni Rossi, emiliano di Piacenza, sessantacinque anni compiuti a febbraio, un passato remoto da redattore dell’Unità e una vita da sindacalista, ha aperto la riunione con parole chiare: “usciamo da questa vicenda al più presto possibile”. E ha tracciato la strada: “l’ingiunzione ci mette in difficoltà” perciò entro pochissimi giorni un gruppo di giornalisti napoletani costituirà un nuovo sindacato senza nessun legame tra le due associazioni; quindi la nuova organizzazione nascerà prima dello scioglimento della vecchia. Il nome più gettonato al tavolo è stato ‘sindacato giornalisti della Campania’, con il suggerimento di utilizzare come riferimento lo statuto dell’Associazione stampa romana che assegna al segretario e non al presidente il ruolo guida per aggiungere un altro elemento di discontinuità tra prima e dopo. Il leader dei pubblicisti campani Falco ha messo in evidenza il rischio di fare un “raggiro” e ha rivendicato l’estraneità dei pubblicisti alla gestione dell’Assostampa e del circolo. Colimoro ha assicurato che avrebbe convocato un’assemblea degli iscritti per procedere allo scioglimento del sindacato, ma, dimostrando di non

avere colto il senso politico e, diciamo, giudiziario della riunione, ha chiesto “una continuità politica” tra l’associazione morente e la nascente, magari pensando di poter conservare la sua poltroncina al sindacato.
Per entrambi è arrivata durissima la replica del


Daniele Cerrato e Giancarlo Tartaglia

presidente della Fnsi. A Falco: “i pubblicisti governavano durante quella gestione vergognosa del circolo della stampa”. A Colimoro: “voi siete fuori e nella nuova gestione non ci deve essere nessun componente del vecchio direttivo”. E il direttore Tartaglia ha aggiunto che il divieto va probabilmente esteso ai consiglieri Fnsi della Campania attualmente in carica: i professionisti (professionali) Massimo Calenda, Anna Maria Chiariello, Paolo Grassi e Gianni Russo e i pubblicisti (collaboratori) Domenico Falco ed Elia Fiorillo; il pubblicista Angelo Ciaravolo è invece componente del collegio dei revisori dei conti della Fnsi, mentre fanno parte del collegio dei probiviri della Federazione i professionisti Lucia Licciardi e Francesco Marolda.
Infine Rossi ha comunicato che entro i primi giorni di marzo la Federazione convocherà un consiglio nazionale che deciderà, a norma dell’articolo 6 dello statuto, la radiazione dell’Associazione napoletana della stampa. L’obiettivo è recidere qualsiasi rapporto con il sindacato napoletano.


La radiazione
L’articolo 6 stabilisce che il consiglio nazionale sanzioni le associazioni stampa regionali che “violino lo Statuto federale o pregiudichino l'unità e la politica sindacale, vengano meno agli obblighi finanziari verso la Fnsi, non adeguino i propri statuti a quello federale o compromettano il prestigio della categoria”. Le sanzioni previste sono: a) diffida; b) ammonizione; c) censura; d) radiazione dalla Fnsi.
Negli ultimi trent’anni la Napoletana di violazioni ne ha commesse tante. Qualche veloce citazione per gli smemorati. Nel maggio 1984 cento poliziotti della Digos fecero irruzione al circolo della stampa perchè, con la regia dei


Andrea Camporese e Raffaele Lorusso (*)

clan della camorra, si giocava d’azzardo; ci furono tre arresti e ventisei persone vennero denunciate; e poi un dirigente dell’Assostampa venne anche condannato.
Nel 1985 i dirigenti dell’Assostampa pagavano al comune di Napoli per la sede del

circolo a via Caracciolo (con 1300 metri coperti e 2200 scoperti) un canone mensile di 129.931 lire e due anni più tardi subaffittano a un imprenditore napoletano, Antonio Campajola, i locali destinati alla ristorazione e al bar, nonché le aree esterne poi attrezzate a spese dello stesso Campajola.
“Le parti – scrive il giudice Alessandro Cocchiara nella sentenza della Corte d’appello di Napoli che nel 2006 ha condannato l’Assostampa - convennero un canone mensile (nel 1987) di 10 milioni di lire da rivalutare dopo tre anni, oltre all’accollo da parte della stessa sub conduttrice delle spese di ristrutturazione del locale e di sostituzione degli arredi. A ciò aggiungasi che la Villa Scipione (la società di Campajola, ndr) si impegnò a corrispondere all’Associazione della stampa la somma di lire 500.000 al giorno per l’uso dei locali di rappresentanza, nonché ad offrire agli associati e loro familiari pranzi e servizi al bar a prezzi scontati. Infine all’atto della sottoscrizione del contratto

la Villa Scipione srl versò all’Associazione 200 milioni di lire che quest’ultima si impegnò a restituire in 48 mesi (ma non vi è prova della restituzione, come non v’è prova di quanto nell’intero rapporto sia stato corrisposto per l’uso giornaliero dei locali di


Magda Cristiano e Carlo Verna

rappresentanza)”. Un fiume di oltre un miliardo di lire svanito nel nulla.
Ancora. Lo statuto della Napoletana prevede che le elezioni si svolgano ogni due anni, ma dal 1985 i presidenti del sindacato si prorogano l’incarico a tre anni. Nel 2002 un gruppo di giornalisti campani decise di ricorrere alla magistratura per interrompere questo abuso. Nel luglio del 2002 il giudice del tribunale di Napoli Magda Cristiano dichiarò illegittima l’autoproroga e condannò l’Assostampa a pagare quattro milioni e mezzo di lire di spese legali. La parcella fu pagata, ma la durata dell’incarico è rimasta triennale.
E non è l’unica violazione dello statuto: non viene rispettata la convocazione annuale degli iscritti e non si ha notizia dei bilanci del sindacato; a Cappella Vecchia dicono che l’ultimo presentato risale al 2010. Le uniche certezze sono il rosso profondo dei conti e l’uso disinvolto delle scarse risorse a disposizione.


La Cassazione

Fermiamoci qui, anche perché, come si è visto, da molti anni ci sono motivi concretissimi per radiare l’associazione napoletana della stampa, eppure i dirigenti della Fnsi non hanno mai preso iniziative, non hanno mai detto una parola. Si nascondevano dietro un alibi facile facile: siamo una federazione, le associazioni regionali sono autonome.
Nel maggio 2006 è stata pubblicata la sentenza della Corte d’appello di Napoli, ma nessun segnale è arrivato dall’Assostampa, né dalla Fnsi. Nel


Massimo Calenda e Gianni Russo

luglio 2013 Iustitia ha messo in rete la decisione irrevocabile della Cassazione e le reazioni sono state, manco a dirlo, zero. Il segretario della Fnsi Franco Siddi, a un consigliere nazionale della Campania che gli chiedeva le intenzioni della Federazione sulla

questione, rispondeva: “Tu vuoi portare a Roma i problemi di Napoli”. Ora i problemi di Napoli li ha portati a Roma l’avvocato Cianci e, a giudicare dalle reazioni, se ne dovrebbe dedurre che l’unico comportamento che “compromette il prestigio della categoria” è il pignoramento dei contributi di Inpgi e Casagit.

(*) Da www.antennasud.com