Per parafrasare una pubblicità molto trasmessa negli ultimi mesi: ci sono voluti otto anni ma ne valeva la pena. Il 5 giugno la prima sezione della corte d’appello di Napoli (presidente Giovanni Carbone, giudici a latere Allegra Migliorini e Alberto Maria Picardi) ha pubblicato il dispositivo che nella sostanza conferma l’impianto della sentenza di primo grado, depotenziata però dalla morte di una delle imputate e dalla
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Giuseppe Cirella e Mariarosaria Amato e della figlia Carmela Cirella, i quali non gradivano l’attività della cronista che quotidianamente raccontava, sul giornale online Napolitan da lei fondato nel luglio del 2014, il degrado di quella zona che i Cirella consideravano il loro ‘regno’, anche perché Mariarosaria Amato era la cognata di Annunziata D’Amico, reggente dell’omonimo clan, uccisa con sette colpi di pistola nell’ottobre del 2015.
Dopo la denuncia presentata dalla giornalista, che nell’aggressione aveva riportato due vertebre incrinate e nei mesi successivi era stata ancora oggetto di intimidazioni e di danni alla sua auto, il 20 ottobre del 2016 è iniziato il processo davanti al tribunale penale di Napoli. Alla prima udienza, con Luciana Esposito, difesa dall’avvocata Emilia Granata, si è costituito parte civile anche il Sindacato unitario dei giornalisti campani con l’avvocato Maurizio Sosti.
Il 24 febbraio del 2022 il giudice Tullio Morello ha firmato la sentenza che condannava Giuseppe Cirella e Mariarosaria Amato a un anno e due |