Il film un'occasione sciupata

MATTEO COSENZA. Nato nel marzo del '49 a Castellammare di Stabia, a ventidue anni è consigliere provinciale pci e, nella sua città, assessore all’Urbanistica, poi gli esordi giornalistici come corrispondente dell’Unità. Nel 1973 l'arrivo al periodico La Voce della Campania, che guida dalla metà degli anni settanta fino al marzo ’79, quando lascia il testimone a Michele Santoro e passa a Paese sera, di cui diventa capo della redazione di Napoli. Dopo un biennio da


Matteo Cosenza

collaboratore, nel maggio del ’90 viene assunto al Mattino. Nel 1995 va a dirigere la redazione di Salerno, nel '98 rientra a Napoli: è responsabile della Grande Napoli e dal 2000 vice redattore capo alla guida degli Interni. Nel settembre del 2006 accetta l’offerta del direttore Ennio Simeone: si trasferisce a Cosenza come numero due del Quotidiano di Calabria, di cui diventa direttore sei mesi più tardi.


Ho visto il film di Fiume su Giancarlo Siani. Non nascondo la delusione anche perché quando leggo o vedo qualcosa di cui sento parlar male mi dispongo quasi automaticamente a trovare nell'opera gli elementi positivi. Ciò nonostante sono arrivato alla fine della visione con la convinzione che si sia sciupata un'occasione. Intanto Siani: l'attore fa del suo meglio, ma di Giancarlo è mancata la solarità che non dimentica chi lo ha conosciuto e che tutti possono vedere nelle bellissime immagini che ci sono rimaste. Ben più convincente, anche fisicamente, il suo primo caposervizio, Mino Jouakim, che ho avuto come compagno di banco nei miei primi anni al Mattino.


Pino Calabrese, l'attore che per Fiume interpreta Jouakim

Condivisibile anche la rappresentazione feroce dei capi della Nuova Famiglia e della loro corte mentre matura,  viene ordinata e fatta eseguire l'eliminazione del giornalista che dà fastidio. Ma per il resto salvo ben poco, soprattutto perché,

pur nel rispetto delle ragioni narrative, mi sembra sbagliata l'idea di fare un film a tesi su una vicenda concreta, con protagonisti in carne e ossa, con date certe, con luoghi fisici precisi e con una conclusione giudiziaria dalla quale non si può prescindere, anche se si può legittimamente ritenere che non si sia indagato in tutte le direzioni. Che nell'iter giudiziario ci sia stato un riferimento a un'eventuale quinta colonna all'interno del Mattino che abbia operato in complicità con chi aveva deciso l'omicidio, non può autorizzare a fare un film nel quale questa quinta colonna è un riconoscibilissimo giornalista. È un'operazione sbagliata e deprecabile. Se il regista ha nuove prove, si rechi in una stazione dei carabinieri a raccontare quanto sa.
Oggi non sono più al Mattino, ma mi sento di dire in piena coscienza e per quello che so che i sospetti, che Fiume fa suoi trasformandoli disinvoltamente in certezze, non sono fondati su nulla. Altre furono le responsabilità. Innanzitutto quella di una lettura iniziale del delitto deviante al punto che il direttore Pasquale Nonno, evidentemente non bene informato, dovette pensare ad una motivazione non professionale. Di qui l'imperdonabile decisione di relegare la notizia al taglio basso e, solo dopo la rivolta di tanti giornalisti, di elevarla al rango peraltro ancora minimizzante della spalla. Evidentemente, a parte il panico del momento, scattò il senso di colpa per due ragioni. La prima era data dal fatto che Siani era un abusivo. Ma, questa, vista

col senno di poi, non era una colpa così grave perché almeno a quei tempi era ancora possibile entrare in un giornale facendo la gavetta da abusivi e darsi da fare anche a gomitate per strappare una collocazione in organico. C'erano le lottizzazioni ma qualche


Mino Jouakim e Pasquale Nonno

pattuglia di abusivi, soprattutto nelle redazioni locali, che di volta in volta il comitato di redazione prendeva in carico, prima o poi riusciva nell'impresa. Oggi, senza alcun intento nostalgico, mi verrebbe da chiedere: come si fa la gavetta? La seconda ragione, sicuramente più grave, era la solitudine in cui lavorava Siani nonostante la materia che trattava. Quando il gioco si fa pesante - lo si sa bene nei giornali - si adottano le normali misure di sicurezza che fanno capire ai malintenzionati che non hanno un nemico individuale ma che devono vedersela con un intero giornale. Siani invece continuò a lavorare in solitudine e chissà se si rese conto che anche un passaggio all'interno di un articolo poteva contenere un'insidia mortale. Ma sono sicuro che anche se se ne fosse reso conto, avrebbe deciso di correre ugualmente il rischio non solo perché era un giornalista ma anche perché avrebbe dato tutto, anche la vita, pur di fare questo mestiere.
Ma da tutto questo non si può arrivare alle conclusioni del film di Fiume. Apparentemente l'opera sembra un tributo alla memoria di Siani, in realtà la falsa. A meno che, ripeto, non si abbiano prove per dimostrare il contrario di quello che l'inchiesta e il processo hanno accertato, e allora si fanno nomi e cognomi nelle sedi appropriate. Anche in un film.

Matteo Cosenza