Connivenze 'inconsapevoli'

DOMENICO CIRUZZI. Cinquantasei anni, radici lucane, natali leccesi, napoletano da sempre, ha iniziato allo studio Siniscalchi. Come avvocato si è occupato di tutto, dalla camorra al terrorismo, spesso come parte civile. Insegna alle scuole di specializzazione di Giurisprudenza (Federico II) ed è stato consigliere dell’Ordine dal ’99 al 2003 e presidente della Camera penale dal 2004 al 2006. Per le prime quattro udienze è stato l'avvocato del Mattino parte civile nel processo Siani. Ha scritto testi per la tv ed è autore e regista di teatro e di cortometraggi.


Domenico CIruzzi


“ … E io ti seguo” è un film sofferto, precursore della rinascita del cinema impegnato dei Francesco Rosi ed Elio Petri, cassati dal disimpegno imperante negli anni ’80 e ’90. Cinema di impegno civile, realizzato nel 2003 con sacrifici economici personali del regista e sceneggiatore Maurizio Fiume che ha anticipato la narrazione filmica, rispetto al film “Fortapàsc” di Marco Risi, della tragedia del giovane giornalista de “Il Mattino” Giancarlo Siani, trucidato dalla camorra nel quartiere Vomero di Napoli.
Peraltro, proprio nell’ambito del processo avente ad oggetto l’omicidio di Giancarlo Siani, fui in un primo momento nominato da “il Mattino” quale


Elio Petri (*) e Francesco Rosi

difensore di parte civile, ma il rapporto professionale non proseguì in dibattimento.
Nonostante il budget ridottissimo, il film ha ritmo ed è interpretato splendidamente. Risulta evidente che se più ingenti fossero state le risorse, il film sarebbe risultato più accattivante ed appetibile per il monopolistico circuito distributivo delle sale cinematografiche italiane

dalle quali il film è stato escluso. Sul punto, ritengo che tale esclusione non sia da attribuire ad ipotesi di “censura” determinata dai contenuti di denunzia, ma soprattutto alla totale carenza di budget del film. Come accade in casi analoghi, se il prodotto può essere venduto non c’è censura sul contenuto che possa impedirne l’uscita nelle sale. Di contro, il vaglio censorio nel cinema della contemporaneità avviene in un tempo precedente la realizzazione: nel reperimento dei capitali per produrre il film scatta la mannaia dei dinieghi che sovente sono agevolati anche dai rischi dei contenuti di denunzia sottesi al progetto filmico.
“ … E io ti seguo” ripercorre, condividendola, la causale dell’omicidio individuata dal pubblico ministero Armando D’Alterio ed acclarata da sentenza definitiva. Non risulta di contro una trasposizione di riscontri giudiziari

l’ipotesi di ostacolo al lavoro giornalistico di Siani formulata nei confronti di alcuni redattori de “Il Mattino”, a cui collaborava il bravo e solare Giancarlo Siani, e di altri protagonisti della vita politica e sociale della Campania degli anni ’80.


Marco Risi alla prima di Fortapàsc al San Carlo

È superfluo precisare che non è in discussione la libertà creativa e di introspezione sociologica di un autore – regista in generale e, nel caso di specie, attento e sensibile come Maurizio Fiume. Un limite, oltre a quello sancito dalle disposizioni vigenti, però c’è, e consiste nel non confondere i piani del racconto: riscontri giudiziari o libera ricostruzione?
Ritengo che, sia pur realizzato in perfetta buona fede, il film soffre sul punto di inconscia confusione espressiva che non può essere superata dalla considerazione che negli atti giudiziari possano essere presenti supposti spunti investigativi che, viceversa, sono stati vagliati ed espunti dalla verifica giudiziaria. Vi è una similitudine con l’errore che si compie nel momento in cui si offrono al lettore stralci di intercettazioni estrapolati da un’indagine in itinere inducendolo a recepirli come verità acclarate. Nel film sembrano confondersi, sovrapponendosi, verità giudiziarie acclarate con presunti input investigativi esclusi dalla verifica giudiziale.
Fatta questa precisazione, si può concordare pienamente con Maurizio Fiume sull’analisi durissima dell’humus culturale in cui la tragedia del giovane Siani e di tanti altri germogliò in quella Napoli degli anni ’80, che l’assassinio del


Armando D'Alterio

sindaco Vassallo in questi giorni sembra tristemente rievocare.
È innegabile che in quegli anni vi fossero, accanto ai bagliori di piombo e sangue innocente, residuali connivenze consapevoli anche in settori istituzionali e professionali, dando luogo ad un vulnus criminale gravissimo; tuttavia, la quasi totalità delle

istituzioni e della classe imprenditoriale e professionale non era consapevole di fornire un apporto diretto alla criminalità organizzata. Viceversa, in quegli anni era generalmente diffusa l’assoluta carenza di sensibilità ed attenzione da parte della borghesia dei colletti bianchi  rispetto ai feroci effetti destabilizzanti prodotti dalla criminalità organizzata. Si fingeva, o ci si illudeva consapevolmente, di vivere in due mondi separati, non comunicanti, autoctoni.
E quando inevitabilmente i due mondi entravano in contatto, si dispiegava sovente il più grave misfatto compiuto dalla classe dirigente meridionale dal dopoguerra in poi: l’ambiguità dell’interazione con il mondo criminale, la mancata assunzione di responsabilità di opporre, spiegandone le ragioni con pacatezza e tensione educativa, ma nel contempo con fermezza assoluta, dinieghi netti a proposte e richieste irricevibili; senza “se” e senza “ma”, “si vedrà” e “fors’anche”.
In una realtà campana di povertà e di degrado in cui masse disagiate incontrano lo Stato per la prima volta sol quando impattano con il reclusorio di Poggioreale, il mondo dei colletti bianchi, al di là dei casi residuali e patologici

di connivenza, avrebbe dovuto dare di più ai cittadini meno abbienti e più ignoranti anche attraverso interazioni corrette, educative e formative.
Gli studi professionali di avvocati, commercialisti, notai, i giornalisti e le redazioni, i magistrati, i vertici ed i funzionari degli assessorati e degli enti istituzionali sarebbero dovuti essere degli avamposti di legalità da cui il sottoproletariato utente, sovente innocente, doveva uscirne sconfitto nei suoi propositi irricevibili e non già fuorviato da una comunicazione ambigua, reticente, accomodante, confusa e furba.
Il sogno è un diverso contesto sociale, caratterizzato da una


Al porto di Acciaroli la megafoto di Angelo Vassallo

più equa distribuzione delle risorse materiali ed educative; nell’attesa, se anche la borghesia, nel suo insieme politica, professionale ed imprenditoriale, ponesse unanimemente un argine comunicativo e comportamentale senza ambiguità, attraverso consapevoli e diffuse assunzioni di responsabilità, forse si potranno evitare tragedie come l’omicidio di Giancarlo Siani.

Domenico Ciruzzi

(*) Da www.dentrosalerno.it