Indagini zoppe e depistaggi

RICCARDO BRUN. Napoletano, trentasei anni, è giornalista pubblicista, scrittore (ha firmato tre romanzi), sceneggiatore (i film ‘Racconto di guerra’ e ‘In ascolto’); ha diretto le redazioni del Premio Napoli e di Città della scienza ed è stato responsabile provinciale di Cultura  e comunicazione di Rifondazione comunista. Ha scritto un soggetto su Siani per una fiction Rai attualmente in stand by, lavora come responsabile sceneggiature della Panama film e sta completando come autore testi il documentario ‘Settimo grado’ sul terremoto in Irpinia del 1980 in uscita a novembre.


Riccardo Brun


‘E io ti seguo’, il film di Maurizio Fiume del 2004 sulla storia di Giancarlo Siani, è un film che funziona, anche rivedendolo oggi. Unisce la forza dell’indignazione all’accuratezza della documentazione. Inoltre restituisce con efficacia la figura di Siani, un giovane giornalista intelligente, rigoroso, attento,


Yari Gugliucci

che non voleva diventare un eroe, ma solo fare il proprio mestiere.
È un film “low-budget”, che può però contare sull’interpretazione del bravissimo Yari Gugliucci e sulla fotografia di quel Mario Amura che negli anni successivi si accrediterà

come uno dei migliori direttori della fotografia italiani. ‘E io ti seguo’ ricorda, sia dal punto di vista registico che da quello della scrittura cinematografica, più il cinema di denuncia degli anni ’70 (con tutti i suoi difetti e i suoi pregi) che l’attuale cinema italiano. Ha avuto una distribuzione debolissima, che è il vero problema di tanto cinema nostrano in questi anni, ma un poco alla volta è diventato un piccolo cult. Forse anche perché la storia che racconta è un pezzo di storia d’Italia, nel bene e nel male. È una storia di passione e intelligenza, di corruzione e violenza, di trame oscure e accordi segreti. Una storia che a distanza di venticinque anni lascia ancora dubbi, rabbia, sospetti.
Quello che è certo, e che emerge anche dal film di Fiume, è che l’uccisione di Siani affonda le radici nel torbido sottobosco di rapporti ambigui e malsani che

la nostra terra continua a produrre. La ricerca della verità sulla morte di Siani è stata inquinata da superficialità, nebbie varie e veri e propri depistaggi.  La verità processuale lascia ancora molti dubbi. Non sono in pochi ad essere convinti che l’omicidio Siani non sia nato solo all’interno della criminalità organizzata, come le carte processuali danno ad intendere. Molti ritengono che Siani avesse scoperto qualcosa che svelava i legami fra camorra e politica a Torre Annunziata, e che ci siano stati altri “ambienti” che abbiano favorito in qualche modo l’omicidio e si


Mario Amura (*)

siano in seguito adoperati per depistare le indagini. Quegli stessi ambienti che potrebbero aver fatto sparire le bozze del libro cui stava lavorando.
Giancarlo Siani fu ucciso il 23 settembre 1985. Oggi sarebbe un cinquantenne, forse avrebbe una famiglia sua. Quello che ci rimane, invece, sono i suoi articoli, lucidi e puntuali; qualche foto in cui guarda l’obiettivo con gli occhi sorridenti; la sensazione che anche in questo caso gli artigli della zona grigia che ammorba il nostro paese (quella zona grigia fatta di collusioni, silenzi, complicità, interessi innominabili, ipocrite condanne e ignobili brindisi), abbiano trattenuto e lacerato la ricerca della verità, rendendola zoppa, parziale, incompleta. Un amaro in bocca che si combatte solo mantenendo viva la memoria, facendola essere una cosa pulsante, presente, a volte anche


Giuseppe Gaudino (**)

sorridente. (Penso ad esempio al bellissimo monologo ‘Impercettibili sfumature’, di Angelo Petrella, interpretato a teatro da Giuseppe Gaudino, nel quale a ricordare Giancarlo sono i suoi occhiali da vista, e nel quale si sorride, anche se con tristezza). Ma la memoria si perpetua e si onora anche rinvigorendo la gloriosa tradizione del giornalismo d’inchiesta italiano, in questi anni un po’ fiacco e appannato. Napoli e la Campania, in particolare, hanno certamente bisogno di una nuova leva di cronisti che abbiano il coraggio di fare inchiesta, contribuendo pezzo pezzo alla

costruzione di una narrazione collettiva di ciò che è accaduto e di ciò che sta accadendo. Perché raccontare è l’unico modo per capire e far capire, e capire è il primo passo per cambiare.

Riccardo Brun
(*) Da www.taorminafilmfest.it
(**) Da www.ternafestival.net