Poliziotti tra Alfieri e Gionta

NICOLA QUATRANO. Cinquantotto anni, irpino di Sant’Angelo dei Lombardi, dal 1981 in magistratura, nel 1987 è stato giudice a latere (presidente Paolo Scordo) del collegio che ha inflitto l’ergastolo a Carmine Alfieri. È presidente di uno dei collegi del tribunale del Riesame. Impegnato, con giuristi francesi spagnoli e svizzeri, nell'Osservatorio internazionale per la difesa dei diritti umani nel Magreb e nel Sahel e animatore del sito www.ossin.org. È autore di un noir, ‘La verità è un cane’, ed è quasi pronto il secondo libro, 'La guerra di Piero'.


Nicola Quatrano



Il film è bello e poi ha il merito di ricordarci una storia dopo tanti anni e tante cose che sono successe. È passato davvero molto tempo, le foto di Giancarlo Siani, che all’epoca del suo omicidio mi appariva un uomo, più o meno un mio coetaneo, a rivederle oggi nel film mi sembrano quelle di un ragazzo. E quindi fanno ancora più rabbia perché è morto così giovane. E fanno rabbia tutte le parole che si sono dette, sprecate per la sua morte che, semplicemente, non avrebbe dovuto essere accettata, digerita.
Il film non spreca parole, si affida tutto alla storia e alle immagini, ci racconta di un giornalista vero tra tanti giornalisti falsi, di un ragazzo pulito tra tanti uomini sporchi, una persona seria tra tanti cialtroni. E ci restituisce un clima, un ambiente, che è mille volte diverso e mille volte uguale a quello che viviamo.


23 settembre 1985. Giancarlo Siani assassinato sotto casa al Vomero

La paura oggi ha altri nomi, altre fisionomie, ma la pigrizia delle redazioni resta la stessa, e anche il rispetto per le convenienze.
Le indagini, sia pure tardivamente ci hanno indicato i colpevoli, perché si avviassero

seriamente è stato necessario aspettare la stagione di Tangentopoli e dei pentiti. La Corte d’Assise e la Corte d’Assise d’Appello hanno affermato che il mandante fu Angelo Nuvoletta. La Cassazione ha annullato la condanna a Valentino Gionta. Noi aspettiamo ancora, sono già passati venticinque anni ma ancora ci resta un po’ di tempo da vivere, speriamo. Resta anche da vedere quale fu il movente, sapere perché è stato assassinato. Che forse è più importante ancora del sapere chi è stato.
Le sentenze dicono che è stato Angelo Nuvoletta e che il motivo era nel lavoro di Giancarlo, nei suoi articoli, nella denuncia degli intrecci tra politica e camorra. È una motivazione plausibile, lineare, riscontrata dai fatti, ma…
Chi ha memoria dei tempi, dell’inossidabile tenuta del sistema di potere, della ignavia degli inquirenti, del balbettio della stampa, che in quegli anni riuscivano a masticare, digerire ed evacuare in silenzio ogni denuncia, ogni segno di indignazione civile, trova difficile acquietarsi, rassegnarsi a questa verità facile facile. E credere che il boss si fosse davvero spaventato per degli articoli, delle denunce che, anche serie, fondate, documentate, non avrebbero potuto arrecargli alcun danno.
Le denunce di Giancarlo non hanno spostato un solo voto nelle elezioni amministrative di Torre Annunziata, non hanno fatto aprire un solo fascicolo nella Procura della Repubblica di Napoli, non hanno spinto nessun apparato

dello Stato a contrastare gli affari dei clan nei nuovi campi di interesse, dall’edilizia al commercio della carne e del pesce.
La sentenza ci dice anche che il boss si sarebbe soprattutto arrabbiato perché Giancarlo aveva fatto intendere che poteva avere avuto un ruolo


11 settembre 1992. L'arresto di Carmine Alfieri

nell’arresto di Valentino Gionta. Certo il sospetto di infamità poteva metterlo in difficoltà davanti ai suoi, nei rapporti con il potente alleato, e questa è una ragione seria, un movente possibile, però…
Io continuo a considerare strano che Giancarlo sia stato ucciso a causa dei suoi articoli. Non è storia di camorra questa, la camorra non lo ha mai fatto. Il poliziotto, il giudice, il giornalista non corrono rischi finché rispettano le regole del gioco. È quando le tradiscono che possono essere ammazzati. O quando si schierano con l’avversario. C’è una frase nel film che mi ha colpito e che potrebbe avere un significato tragicamente centrale nella vicenda. È quando il boss si lamenta degli articoli di Giancarlo e manifesta il dubbio che lavori per conto del rivale, Carmine Alfieri.
La verità è sempre complessa, articolata, è difficile comprenderla tutta. Forse nel caso di Giancarlo c’è anche questo, un equivoco drammatico che gli è costato la vita. Ma questa ipotesi non è per nulla tranquillizzante per le nostre coscienze, anzi è forse la più inquietante di tutte, chiama in causa responsabilità collettive.
Perché se il boss ha scambiato lo zelo di Giancarlo, il suo amore per la verità e la giustizia per un lavoro sporco fatto nell’interesse del clan avversario, questo è stato possibile perché non conosceva in natura questo zelo, questo


26 agosto 1984. La strage di Torre Annunziata

amore per la verità e per la giustizia.
Le immagini del film sono illuminanti, la storia scritta dalle inchieste lo è altrettanto.
Angelo Nuvoletta conosceva solo redazioni piegate dalla paura e impegnate a fare marchette al potente di

turno, poliziotti e magistrati ignavi, se non addirittura corrotti. Bisogna ammettere che era obiettivamente difficile per lui capire che quel giovane giornalista non era come tutti gli altri, che il suo entusiasmo era in buona fede.
Se così è, la morte di Giancarlo è il frutto di un clima, non solo della mano del killer. E del cinismo così partenopeo di tante facce viste nel film, dell’ambiguità degli apparati dello Stato, di atteggiamenti come quello di collocare nella prima edizione del Mattino la notizia dell’omicidio in taglio basso, perché non c’era tempo (e voglia) di cambiare l’impostazione del giornale.
Ma l’inquietudine che il film ha richiamato non si placa ancora, la voglia di capire ancora non è soddisfatta. Giovanni Falcone confidava a Marcelle Padovani che si rischia di essere ammazzati non tanto quando ci si avvicina alla verità, ma quando ci si avvicina senza rendersene conto, una differenza piccola piccola, ma che può valere una vita. E Giovanni Falcone di queste cose se ne intendeva, come la storia ha poi tragicamente confermato.
Volendo fare il gioco delle ipotesi si può pensare che anche nel caso di Giancarlo possa essere questa la giusta chiave di lettura. Che forse davvero Angelo Nuvoletta aveva sotterranei rapporti con apparati dello Stato e l’accenno a certi comportamenti non limpidi abbia avvicinato Giancarlo a una verità indicibile, che lui ha detto senza capire fino a che punto sarebbe stato meglio evitare di dirla.
Fatto sta che almeno Valentino Gionta questi rapporti li ha avuti, indagini successive hanno svelato che il luogotenente del clan, Eduardo Di Ronza, fu in stretto contatto con un ufficiale della sezione anticrimine dei Carabinieri di

Napoli e collaborò attivamente alle indagini sulla strage di Sant’Alessandro, l’agguato realizzato il 26 agosto 1984 a Torre Annunziata dal gruppo


26 agosto 1984. Il pullman utilizzato dai killer per la strage di Torre

avversario di Valentino Gionta, che costò la vita a 13 persone.
La storia che Giancarlo ha tentato di raccontare nei suoi articoli è quella della crescita della camorra alla metà degli anni ’80, alimentata dalle politiche di spesa pubblica nel sud, del suo ingresso nel salotto buono della politica e dell’imprenditoria. La guerra tra il gruppo di Alfieri e quello di Gionta e Nuvoletta, culminata nella sanguinosa strage di Torre Annunziata.
Proprio questo episodio, però, non ha solo segnato i nuovi equilibri tra i clan, ma anche nuove alleanze e relazioni tra i clan e importanti apparati dello Stato.
La colpa di Giancarlo è stata forse di mettere la mano in questo verminaio senza rendersi conto di cosa fosse davvero.
Avevo più o meno la sua età quando mi capitò di fare il giudice a latere nel processo contro i presunti autori di questa strage e ricordo ancora la immediata impressione di avere a che fare con cose molto più grandi di me.
Il caso aveva destato sconcerto e indignazione, gli inquirenti si erano molto impegnati, addirittura si era riuscito a realizzare una qualche forma di collaborazione tra le differenti polizie. Alla prima udienza, scorrendo la lista dei testimoni, mi balzò davanti la prima anomalia: il capitano dei carabinieri che aveva svolto le indagini era stato arrestato per depistaggio, un finanziere era stato sorpreso a passare informazioni sugli inquirenti a Valentino Gionta e un poliziotto era latitante, accusato di concussione. Insomma un’equa ripartizione di infamia tra tutti i corpi investigativi.
Ma il peggio doveva venire dopo: molti dei magistrati che hanno avuto a che fare con quelle indagini (con l’esclusione di alcuni altri, tra i quali il sottoscritto)


Giovanni Falcone (*) e Marcelle Padovani (**)

sono stati poi a loro volta indagati, raggiunti dalle accuse di collusione del pentito Pasquale Galasso e di altri collaboratori. Uno dei pm è stato addirittura condannato in

primo grado a otto anni di reclusione per associazione camorrista.
E altre accuse hanno raggiunto poliziotti, avvocati, giornalisti, insomma tutto il complesso istituzionale e civile cui si appellava Giancarlo nelle sue denunce giornalistiche.
Non tutte le accuse hanno poi trovato conferma e assoluzioni e archiviazioni sono state tante, resta però che il quadro delineato era quello nel quale esponenti dei corpi dello Stato si dividevano tra gli amici di Alfieri e quelli di Gionta. E qui l’insinuazione che sarebbe costata la vita a Giancarlo comincia ad assumere una consistenza di verità come lui certamente non poteva nemmeno sospettare.
Insomma mi sembra – e vedere il film mi ha confermato nel dubbio – che la verità della sentenza sia una acquisizione importante ma non esauriente.
Capire veramente il perché della morte di Giancarlo richiede forse che si faccia finalmente luce sull’intero complesso di vicende nelle quali è maturata, soprattutto sullo sporco intreccio tra camorra e apparati istituzionali che ha segnato quegli anni così convulsi. Ne sappiamo qualcosa, ma ancora molto poco e forse non c’è più tempo e modo per conoscerlo. Eppure almeno questo al ricordo di Giancarlo lo dovremmo.

Nicola Quatrano
(*) Da www.nonsolobiografie.it
(**) Da www.unità.it