Garante: sulle notizie
decide il giornalista

Nel 2004 l’allora presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti Lorenzo Del Boca chiese all’Autorità garante della privacy, presieduta da Stefano Rodotà, alcuni chiarimenti su ‘Diritto di cronaca e rispetto delle persone’. L’undici giugno del 2004 l’Autorità, nel cui board erano presenti Giuseppe Santaniello, Gaetano Rasi e Mauro Paissan che curò la stesura finale del testo, presentò alla stampa il documento


AUTORITÀ GARANTE DELLA PRIVACY
Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in risposta a quesiti dell'Ordine dei giornalisti

Autonomia e responsabilità del giornalista
Le norme in materia di trattamento dei dati personali a fini giornalistici individuano alcuni parametri entro cui assicurare il rispetto di diritti e libertà fondamentali protetti dall'art. 2 della Costituzione, quali la riservatezza, l'identità personale e il "nuovo" ed importante diritto alla protezione dei dati personali, senza pregiudicare la libertà di informazione che è tutelata anch'essa sul piano delle garanzie costituzionali.
La scelta di non introdurre regole rigide in materia, bensì di limitarsi ad indicare espressamente solo alcuni presupposti - scelta sostenuta dall'Ordine dei giornalisti e condivisa dal Garante al momento della stesura del Codice deontologico - si è basata su due ordini di considerazioni. Da una parte, la molteplicità e la varietà delle vicende di cronaca e dei soggetti che ne sono coinvolti non consentono di stabilire a priori e in maniera categorica quali dati possono essere raccolti e poi diffusi nel riferire sui singoli fatti: un medesimo dato può essere legittimamente pubblicato in un determinato contesto e non invece in un altro.
Dall'altra, una codificazione minuziosa di regole in questo ambito risulterebbe inopportuna in un contesto nel quale sono assai differenziate le situazioni nelle quali occorre valutare nozioni generali dai confini non sempre immutati nel tempo (essenzialità dell'informazione, interesse pubblico, ecc.) e valorizzare al contempo l'autonomia e la responsabilità del giornalista.
Alla luce di tali considerazioni, il bilanciamento tra i diritti e le libertà di cui sopra resta in sostanza affidato in prima battuta al giornalista il quale, in base a una propria valutazione (che può essere sindacata) acquisisce, seleziona e pubblica i dati utili ad informare la collettività su fatti di rilevanza generale, esprimendosi nella cornice della normativa vigente - in particolare, del Codice deontologico - e assumendosi la responsabilità del proprio operato. 
Il giornalista valuta, dapprima, quando una notizia riveste effettivamente un rilevante interesse pubblico e, successivamente, quali particolari relativi a tale notizia sia essenziale diffondere al fine di svolgere la funzione informativa sua propria. La diffusione di un determinato dato può essere ritenuta necessaria quando la sua conoscenza da parte del pubblico trova giustificazione nell'originalità dei fatti narrati, nel modo in cui gli stessi si sono svolti e nella particolarità dei soggetti che in essi sono coinvolti.
Quando non si ravvisa tale necessità oppure quando vi siano specifiche limitazioni di legge alla divulgazione di informazioni spesso connesse a determinati fatti di cronaca, il giornalista può comunque riferire di questi ultimi prediligendo soluzioni che tutelino la riservatezza degli interessati (ricorrendo ad esempio all'uso di iniziali, di nomi di fantasia e così via). Va tuttavia evidenziato come, in taluni casi, la semplice omissione delle generalità delle persone non basta di per sé ad escludere l'identificazione delle medesime: quest'ultima, infatti, può realizzarsi attraverso la combinazione di più informazioni concernenti la persona (l'età, la professione, il luogo di lavoro, l'indirizzo dell'abitazione, ecc.).
Accesso alle informazioni: i rapporti con le pubbliche amministrazioni
Viene spesso lamentato che le pubbliche amministrazioni giustificano la propria decisione di non fornire informazioni ai giornalisti dietro una supposta applicazione della legge sulla privacy.
Al riguardo, è stato più volte evidenziato anche dallo stesso Garante che la legge n. 675/96, prima, e ora il Codice privacy (Codice in materia di protezione dei dati personali, decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196), non hanno inciso in modo restrittivo sulla normativa posta a salvaguardia della trasparenza amministrativa e che, quindi, la disciplina sulla tutela dei dati personali non può essere in quanto tale invocata strumentalmente per negare l'accesso ai documenti, fatto comunque salvo il peculiare livello di tutela assicurato per certe informazioni e, in particolare, per i dati sensibili (dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale).