Authority, la procura indaga
Cheli e Meocci per peculato

DOPO CINQUE ANNI di indagini e la richiesta di archiviazione per i tredici indagati firmata dal pm della procura di Napoli Luigi Gay, l’inchiesta sulle spese allegre, le assunzioni disinvolte e le promozioni sorprendenti all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sembrava inevitabilmente

destinata a sepoltura negli armadi del tribunale.
Il finale invece è, per ora, diverso; il merito è di un caparbio avvocato di Verona, Fabio Salvadori, dipendente dell’Authority vittima di una lunga storia di mobbing e autore di una denuncia-querela


Fabio Salvadori e Claudio Farenga

presentata alla procura di Napoli nell’ottobre 2004, e del gip Alberto Vecchione, napoletano, quarantatre anni, da quindici inmagistratura, giudice a Monza prima di rientrare nella sua città.
Contro la richiesta di archiviazione di Gay, il 3 marzo Salvatori, assistito dagli avvocati Emanuela Perazzoli e Carminantonio Del Plato, ha presentato opposizione. All’udienza del 24 maggio, il gip, dopo avere ascoltato gli avvocati Enrico Tuccillo (difensore dell’ex presidente Cheli e dei commissari Lari, Luciano, Manacorda, Monaci, Pilati, Sangiorgi e Traversa), Filippo Liguori (che assiste Umberto Benezzoli), Annalisa Stile (con il padre Alfonso, difensore del dirigente Mario Belati e dei consulenti Giancarlo Coraggio e Gilberto Micheli) e, per la parte offesa, Claudio Farlenga dello studio Del Plato, si è riservato la decisione, che è stata depositata in cancelleria il 13 giugno.
Nelle sei pagine dell’ordinanza, Vecchione è piuttosto critico nei confronti del lavoro svolto dal pubblico ministero Gay, ora aggiunto alla procura di Santa Maria Capua Vetere. Archiviata l’accusa di abuso d’ufficio nei confronti di Belati, Coraggio e Micheli, il gip chiede al pm di chiarire meglio la posizione


Luigi Gay, Paola Manacorda, Giuseppe Sangiorgi, Carmine Spinelli

dell’ex segretario generale Umberto Benezzolie poi si concentra sulle spese facili effettuate dai commissari con le carte di credito dell’Authority.
“Alla luce dei dati di fatto già acquisiti – scrive Vecchione

nell’ordinanza – appare invero obiettivamente appurato che da parte di taluni Commissari vi è stato un uso delle carte di credito aziendali per spese non addebitabili all’Autorità”. E continua: “Né risultano convincenti le argomentazioni spiegate dal Pm per dar conto della sua scelta di non procedere ad alcuna iscrizione nei riguardi dei soggetti da lui nominativamente indicati sub K), ritenendo già chiaramente dimostrata agli atti la loro buona fede. Infatti, non sembra così evidente il difetto del richiesto coefficiente psicologico, essendo del tutto equivoco il dato sottolineato dall’Organo dell’accusa, costituito dall’avvenuta restituzione delle somme indebitamente utilizzate , atteso che ciò è avvenuto solo a notevole distanza di tempo dall’epoca cui risalgono le spese, e peraltro dopo che, a seguito di una serie di articoli giornalistici, era stata avviata l’indagine interna , circostanza che potrebbe di per sé deporre in senso diametralmente opposto a quanto sostenuto dal Pm. Allo stato, dunque, e in assenza di elementi di segno contrario maggiormente significativi, appare sussistente, in tutte le sue connotazioni oggettive e soggettive, il delitto disciplinato dall’articolo 314 del

codice penale (il reato è peculato con pena prevista tra i tre e i dieci anni, ndr)”.
Quindi le conclusioni di Vecchione con l’ordine al nuovo pm di interrogare, entro il 20 settembre, "Carmine Spinelli, già dirigente del Servizio risorse umane e finanziarie dell’Authority", Maurizio Mensi, già direttore del Servizio giuridico, Nicola De


Alessandro Luciano e Antonio Pilati

Dominicis, già dirigente dell’Ufficio gestione del personale, e Antonio Catricalà, già segretario generale dell’Authority. Il gip ordina inoltre al pm di iscrivere nel registro degli indagati con l’accusa di peculato l’ex presidente Enzo Cheli e i commissari Alessandro Luciano, Alfredo Meocci e Antonio Pilati e di “svolgere tutte le indagini ritenute necessarie”.