Cara Iustitia,
ho letto con ovvio interesse l’approfondimento pubblicato sul numero 27, sul presunto plagio de La bibliotecaria da parte dello scrittore statunitense Sam Savage con il libro Firmino. È stato fatto un buon lavoro, finalmente esaustivo, che consente al lettore di farsi un’idea delle affinità che collegano i due libri. Non sempre è stato così.
Ho letto Irene Bignardi sul paginone de La Repubblica dedicato al gentile (così lo definisce) Sam Savage, che concede un’intervista da inserire in un articolo sviolinante. Riguardo al presunto plagio, lo scrittore americano afferma che “La questione è troppo sciocca perché se ne parli seriamente”, e la Bignardi chiude così l’articolo, senza possibilità di replica.
Marco Lombardi il 6 giugno, sulle pagine napoletane del quotidiano diretto da Ezio Mauro, si domanda: “A Ciccarone, autore di un libro che si nutre di altri libri, chiedo se non si è sentito talvolta plagiario, avventore felice di aggirarsi negli scaffali della Biblioteca di Babele, "ladro" autorizzato di idee e di parole”. E io a Lombardi prima di tutto ricordo che le parole ispirazione e plagio non sono sinonimi (comunque, anche la fonte dell’ispirazione è da citare), e poi chiedo come si sarebbe comportato, lui, se avesse scritto un romanzo, e poi avesse scoperto che il suo tomo, dopo svariati anni dalla pubblicazione, è davvero troppo simile a un best seller mondiale, così simile che personaggio principale e trama sono quasi intercambiabili, tanto simile che dopo una semplice lettura è possibile produrre pagine e pagine di frasi che se non sono identiche sono quasi uguali. Mi rammarico solo che la domanda sia apparsa sul quotidiano, e non me l’abbia rivolta personalmente, visto che ci si incrocia spesso nei luoghi di lavoro.
Ma i critici letterari si sentono così: superiori.
Non è stato semplice per me fare la scelta di confrontarmi con un fenomeno editoriale spinto da grandi interessi economici, e sono stato molto in dubbio se iniziare una lotta impari, ma non mi è stato possibile star zitto. Quando è propria, un’idea la si può perdere di vista, ma il legame mentale che l’unisce al creatore non perde mai di consistenza. Anche se vituperata, strapazzata, spalmata su fogli che non sono i suoi, l’idea è sempre quella, hai voglia a nasconderla ben benino. Chi la conosce, la riconosce, e la tarma si è trasformata in mosca al naso.
Ebbene, approfitto di Iustitia per fare una rivelazione sensazionale: non si tratta di plagio, ma di trasposizione spazio-temporale dell’Io.
Ricordo perfettamente quando avvenne: non era l’ultima ma la penultima eclissi solare. Il cielo era diventato plumbeo, c’era vento. Fu in quel momento che vidi una mia idea con la forma di una tarma che si staccò dal mio intimo, prendendo il volo. Attonito, non potei far altro che guardarla seguire l’immaginaria linea che porta a ovest, raggiungere il mare, scomparire all’orizzonte, laggiù, verso l’Atlantico. Povero insetto curioso, voleva tornare a Napoli, ma perse la strada e si ritrovò a Minneapolis; stanca e affaticata per il lungo viaggio, Marta si stava riposando sulla mensola di una libreria, quando fu inghiottita da un topastro, e metabolizzata.
Quel topo aveva una lunga barba bianca. |