Dente, in tribunale seconda
bruciante sconfitta dell'Ansa

ANCHE IL COLLEGIO del tribunale di Napoli, chiamato a pronunciarsi sul reclamo presentato dall’Ansa contro il provvedimento del giudice del lavoro Gabriella Marchese che ha reintegrato in servizio il redattore Maurizio Dente, ha dato torto alla prima agenzia giornalistica italiana.
Il collegio (presidente Maria Della Rossa, giudici a latere Dario Simeoli e Luigi Ruoppolo, estensore) il 27 dicembre ha depositato l’ordinanza con la quale “rigetta il reclamo” e “condanna la società Ansa alla refusione delle spese, che liquida in 700 euro con attribuzione al difensore”.
Non era facile smontare le nove pagine dell’ordinanza firmata dal giudice Marchese, che il 9 novembre scorso ha accolto il ricorso d’urgenza (ex articolo 700) contro il licenziamento del giornalista presentato dai legali di Dente, il professore Orazio Abbamonte e l’avvocato Maria Carmela

Spadaro. Occorrevano novità forti e sostanziali, ma l’Ansa non ha messo in campo elementi significativi. E forse non è un caso che l’unica differenza tra la decisione del giudice monocratico e quella del collegio riguarda le spese: nel primo caso compensate, nel secondo addebitate all’agenzia.
Veniamo ora al merito dell’ordinanza del collegio. Due i


Orazio Abbamonte e Mario Rosso

punti posti al centro dell’attenzione: la richiesta dell’Ansa di avere da Dente il materiale relativo alla denuncia per mobbing presentata dal giornalista nel novembre del 2005 (la prima udienza è fissata per il 23 marzo 2007); l’attività svolta da Dente all’università Federico II durante il periodo di malattia. Partiamo dal secondo punto.
Dopo aver inquadrato la questione citando anche le sentenze della Cassazione, il giudice relatore scrive: “Passando all’esame del caso concreto, il Collegio ritiene di condividere le conclusioni del giudice di prime cure. Le risultanze in atto inducono, sia pur nella sommarietà istruttoria del presente giudizio cautelare, a ritenere comprovata la sussistenza di una effettiva patologia che, da un lato, impediva al Dente di assolvere al proprio obbligo contrattuale nei confronti dell’Ansa, ma che, dall’altro, appariva compatibile con le diverse attività espletate”. E Ruoppolo continua: “Si deve osservare, in particolare, che il contenuto dell’attività espletata, certamente non usurante, e il protrarsi di essa per la sola mattinata di lavoro del 3 giugno 2006 non appare tale da far ritenere, anche solo potenzialmente, pregiudicata o ritardata la guarigione del lavoratore”.
Segue un lungo passaggio sulla documentazione medica presentata dalla difesa di Dente con un arco temporale che va da aprile (quindi diversi prima del licenziamento) a settembre. Una documentazione medica, dettagliata e di fonte pubblica (la firma in calce è dei sanitari della Asl Napoli 1), a cui l’Ansa ha ritenuto di replicare soltanto con una contestazione verbale, una scelta molto debole evidenziata nell’ordinanza dal giudice relatore: “L’eccezione di ‘parzialità’ può, d’altronde, essere superata anche con riguardo alle risultanze della consulenza di parte, versate in atti, dal momento che queste ultime risultano fondate in gran parte sulle predette certificazioni sanitarie pubbliche e


Pierluigi Magnaschi e Maria Carmela Spadaro

tenuto conto che le conclusioni medico-legali di esse non risultano confutate da alcun argomento tecnico, neanche a mezzo di analoga consulenza di parte”.
Per quanto riguarda la richiesta dell’Ansa di avere dal suo redattore la documentazione relativa alla denuncia per mobbing, il collegio fa notare che l’agenzia non contesta il merito degli episodi

segnalati da Dente, cioè “non si censura da parte del lavoratore il fatto della denuncia della situazione di conflitto di diversi colleghi, anche superiori, della sede napoletana dell’Ansa, bensì la mera omissione dei chiarimenti richiesti dal datore di lavoro a seguito delle predette denunce”.
“Osserva il tribunale – scrive il giudice Ruoppolo – che la suddetta omissione non appare riferibile alla violazione di uno specifico ‘obbligo di collaborazione’ da parte del lavoratore non riscontrabile in disposizioni di legge o contrattuali, bensì alla violazione del generale dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione della prestazione lavorativa. Va, invero, evidenziato che la denuncia del lavoratore era contenuta nel corpo di un’istanza di tentativo di conciliazione, obbligatoriamente prevista ex articolo 410 del codice di procedura civile, quale condizione di procedibilità per il successivo eventuale giudizio, sicché il comportamento omissivo di cui sopra può ben ritenersi giustificato dall’interesse del lavoratore a preservare il proprio diritto di difesa in merito a fatti ritenuti lesivi e da lui posti a fondamento di una successiva azione giudiziale, poi effettivamente intrapresa, rispetto al cui interesse non può ritenersi prevalente l’interesse del datore di lavoro, sottostante all’applicazione della suddetta clausola generale. In tale prospettiva, come correttamente rilevato dal primo giudice, la reazione del datore di lavoro appare, dunque, ingiustificata”.
Chiarito, almeno per ora, in maniera netta il quadro giudiziario, resta da chiedersi perché l’Ansa insista in un accanimento apparentemente incomprensibile, che si è spinto fino a comunicare a Dente, con telegramma e lettera, che l’azienda non intendeva reintegrarlo in servizio dopo la decisione di novembre del giudice Marchese, nonostante il provvedimento fosse immediatamente esecutivo.
Una prima domanda, cui ne seguono altre: chi ha deciso e sta portando avanti una strategia che almeno finora si è dimostrata addirittura autolesionistica? Il presidente della società Boris Biancheri? L’amministratore delegato Mario Rosso? Pierluigi Magnaschi fino al 3 dicembre direttore responsabile dell’agenzia? Il vicario Carlo Gambalonga, dal 4 dicembre vice direttore in

attesa di deleghe? Il capo del personale Alessandro Barberi? Raffaele Greco, l’avvocato dell’ufficio legale dell’Ansa delegato a seguire la questione Dente?
Anche perché se, contro Golia-Ansa, Davide-Dente dovesse continuare a inanellare successi nelle aule di giustizia, qualcuno dovrà pure rispondere della


Carlo Gambalonga e Mario Zaccaria

decisione di licenziarlo e spiegare, come finora non è ancora stato fatto, se le denunce del giornalista su ripetute irregolarità, conflitti di interesse e violazioni deontologiche avvenute alla redazione napoletana dell’Ansa, guidata da Mario Zaccaria, sono invenzioni diffamatorie (e Dente ne dovrà rispondere) o sono accuse fondate; nel secondo caso ci sarà da spiegare perché nessuno è intervenuto e chi ha coperto, e per quali motivi, le eventuali marchette.
Ma forse con l’arrivo alla direzione dell’Ansa di Giampiero Gramaglia, giornalista di lunga esperienza e di grande equilibrio, la situazione potrebbe finalmente cambiare.