‘Silenzio’ su 7 anni
e 10 mesi a Varriale

IL 30 GENNAIO la settima sezione penale collegio C del tribunale di Napoli (presidente Marta Di Stefano, giudici a latere Paola Valeria Scandone e Pasqualina Paola Laviano), per una frode fiscale di oltre due milioni e 300mila euro sui finanziamenti pubblici alle emittenti tv con reati che vanno dall’associazione a delinquere all’emissione di fatture false e alla truffa, ha condannato l’editore Lucio Varriale a sette anni e dieci mesi di reclusione, alla interdizione perpetua dai pubblici uffici, al risarcimento danni in favore del ministero delle Comunicazioni

costituitosi in giudizio come parte civile, “da liquidarsi in separata sede”, oltre al pagamento delle spese legali.
Con l’editore sono stati condannati la segretaria che lavora con l'editore

Paola Valeria Scandone e Lucio Varriale

dal 2002 ed è titolare di una delle società della galassia Varriale Carolina Pisani, alla quale sono stati inflitti cinque anni e due mesi, e i commercialisti Claudio Erra, cinque anni e dieci mesi, e Renato Oliva, cinque anni e quattro mesi. I quattro sono stati anche condannati “al pagamento in favore della parte civile della somma di 100mila euro a titolo di provvisionale provvisoriamente esecutiva”.
Per Varriale il pm Stefano Capuano aveva chiesto una condanna a otto anni e otto mesi di reclusione. Per ora i giudici hanno reso noto il dispositivo, per il deposito della sentenza hanno tre mesi di tempo.
Per trenta anni è stato un personaggio ingombrante dell’imprenditoria napoletana, soprattutto nel mondo delle televisioni locali con varie società come Julie tv, scatenando campagne di grande aggressività con principale bersaglio la magistratura senza però risparmiare avvocati e giornalisti. Ed è stato anche più volte arrestato ma va avanti impavido.
Ora arriva una condanna a poco meno di otto anni di galera e, come è già successo altre volte, pare che la notizia interessi davvero poco. Nell’aprile dell’anno scorso Varriale venne messo agli arresti domiciliari dal gip del tribunale di Roma Andrea Fanelli per avere calunniato una quindicina di magistrati e alcuni avvocati. Ma dell’arresto scrissero soltanto Vincenzo Iurillo sul Fatto Quotidiano cartaceo e sulla versione on line, mentre Repubblica Napoli si limitò alla pubblicazione di un

Stefano Capuano e Carolina Pisani

colonnino con la sigla (d.d.p.) del cronista di giudiziaria Dario Del Porto.
Anche la condanna a quasi otto anni di reclusione è stata avvolta dallo stesso disinteresse con l’eccezione del

Fatto Quotidiano con il solito Iurillo che resoconta con puntualità la vicenda e del Corriere del Mezzogiorno on line che pubblica un articolo breve di Titti Beneduce.
Perché il silenzio? Iustitia ha girato la domanda a un avvocato che difende uno dei condannati. “È di sicuro un silenzio strano perché siamo di fronte a una condanna molto dura, anche se per commentarla è necessario leggere le motivazioni. Penso che le spiegazioni del silenzio possano essere soltanto due: la vicenda è stata giudicata poco interessante per i lettori o i giornalisti sono molto, molto ‘prudenti’ quando devono scrivere di Lucio Varriale”.