Pasticcio del Mattino:
due giornalisti esodati

DAL PRIMO MARZO scorso due giornalisti del Mattino, Nicola Battista e Gino Giaculli, sono senza stipendio e senza pensione.
Che cosa è successo? Il 28 febbraio, rispettando la tabella preparata dall’azienda, si sono dimessi per andare in prepensionamento ma l’Inps ha respinto la richiesta perché ha modificato i requisiti previsti dall’Inpgi e chiede che prima di accedere alla pensione i redattori rimangano in

cassa integrazione per tre mesi. Una disposizione che il Mattino ha poi rispettato per i giornalisti andati in pensione negli ultimi sei mesi.
Sono invece rimasti ‘sospesi’ Battista e Giaculli, la cui situazione potrebbe essere rapidamente risolta con la reintegrazione dei giornalisti per consentire loro di coprire i tre mesi di cassa integrazione richiesti. Però l’azienda (presidente del Mattino spa

Massimiliano Capece Minutolo

Massimiliano Capece Minutolo, consiglieri Azzurra Caltagirone e Alvise Zanardi, terminale napoletano della società Giovanni Santorelli) rifiuta la reintegra. E ha risposto in maniera negativa anche alla diffida che le è stata indirizzata ad agosto dall’avvocato Luigi De Martino, legale del Sugc, il sindacato unitario dei giornalisti campani, che sollecitava l’immediato ritorno al giornale di Battista e Giaculli “per accedere al prepensionamento secondo i criteri indicati dall’Inps”.
È stato perciò inevitabile per il segretario del Sugc Fabrizio Cappella, assistito dagli avvocati De Martino e Bruno Del Vecchio della Federazione nazionale della stampa, presentare il 2 settembre un ricorso alla magistratura per denunciare l’attività antisindacale dei dirigenti di Francesco Gaetano Caltagirone.
Forse non è inutile ricordare che Caltagirone a Napoli ha dei precedenti

Giovanni Santorelli

perché è stato già condannato per attività antisindacale dai giudici Fabrizio Amendola, con un decreto di dodici pagine, e poi Linda D’Ancona.
Tornando al ricorso, De Martino ricorda che per lo stato di crisi siglato il 2 maggio 2022 dall’azienda e dal sindacato veniva esplicitamente chiarito che l’accordo “non potrà determinare giornalisti esodati” e aggiunge che “il piano di cassa integrazione è stato

predisposto dall’azienda stessa che oggi, a un proprio errore (seppure in buona fede) si rifiuta inspiegabilmente di porre rimedio”.
A questo punto, se non interverrà il ministero del Lavoro con una sanatoria, la questione verrà decisa dal giudice del lavoro Matilde Dell’Erario che ha fissato al 21 novembre l’udienza per la trattazione.