Condotta antisindacale,
condannato Caltagirone

SECCA SCONFITTA per Francesco Gaetano Caltagirone e per i suoi uomini: il giudice del lavoro del tribunale di Napoli Fabrizio Amendola ha condannato per attività antisindacale il Mattino, la spa controllata dalla Caltagirone Editore.
La denuncia per attività antisindacale era stata presentata a metà novembre dal presidente dell’Associazione napoletana della stampa Gianni Ambrosino, assistito dall’avvocato Lucio Giacomardo: prima udienza il 30 novembre; rinvio al 19 dicembre per trovare un accordo che non si trova; discussione il 25 gennaio; deposito della decisione del magistrato il 6 febbraio. Oggetto del contendere la decisione dei vertici del Mattino di negare il giorno di riposo ai

redattori che nell’arco della settimana non abbiano lavorato cinque giorni.
Dodici le pagine del decreto firmato da Amendola; nell’ultima “dichiara l’antisindacalità della condotta della


Francesco Caltagirone, Massimo Garzilli e Giancarlo Tartaglia

società il Mattino spa consistita nel non aver riconosciuto il diritto di godere del riposo settimanale, come previsto dal vigente contratto nazionale di lavoro, ai giornalisti che hanno aderito agli scioperi indetti dalla Fnsi del 29 e 30 settembre 2006, nonché del 5 e 6 ottobre 2006 e, per l’effetto, ordina alla convenuta (il Mattino spa, ndr), in persona del legale rappresentante pro tempore (il direttore generale Massimo Garzilli, ndr), la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti lesivi rappresentati per i giornalisti dalla trattenuta sulla retribuzione in misura pari a una ulteriore aliquota giornaliera ovvero dalla conversione del giorno di riposo settimanale in assenza per ferie e/o permessi; condanna la società soccombente al pagamento delle spese della presente fase del giudizio in favore del sindacato liquidate in complessivi euro 3400, oltre iva e cpa. Decreto immediatamente esecutivo".
Una vittoria molto importante per l'Assostampa, per il cdr del Mattino (Ambrosino, Ciaccio, Romanetti), che ha espresso in un comunicato la sua soddisfazione, e per l’intera redazione perché il giudice fa chiarezza piena sulla questione del riposo settimanale che non va messo in relazione alle presenze di lavoro nell’arco dei sette giorni. Un’interpretazione del contratto che coincide con la lettura in più occasioni fornita dalla Federazione nazionale della stampa (vedi i pareri firmati dal direttore Giancarlo Tartaglia) e che stigmatizza la forzatura operata dall’editore.
“L’arbitrarietà della tesi patrocinata dalla resistente (il Mattino spa, ndr) – scrive Amendola – emerge anche dall’indagine strutturale sulla natura giuridica del riposo settimanale che si aggiunge a quello inderogabilmente previsto dagli articoli 2109 del codice civile e 36 della Costituzione”.
Anche il parere della Federazione editori esibito in udienza dai legali del Mattino, Marcello De Luca Tamajo e Antonio Armentano, viene rapidamente liquidato. “Irrilevante dunque – continua il giudice – che la


Antonio Armentano, Marcello De Luca Tamajo e Lucio Giacomardo

Federazione italiana editori giornali abbia avallato l’interpretazione fornita dalla convenuta (il Mattino, ndr), non solo perché opinione promanante solo da una delle parti che hanno stipulato il

contratto collettivo – per di più quella cui aderisce il contendente che ha interesse ad affermare una simile interpretazione - ma anche perché opinione contraria al significato espresso nell’accordo sottoscritto”.
Sia nella memoria depositata da De Luca Tamajo che nella discussione orale fatta il 25 gennaio da Armentano, i legali del Mattino avevano sostenuto che dal “combinato disposto” degli articoli 7 e 19 del contratto di lavoro emergeva “ ‘chiaramente uno stretto nesso di correlazione e interdipendenza tra il godimento del riposo settimanale (non domenicale) e la distribuzione dell’orario settimanale su cinque giorni’, per cui il giornalista acquisirebbe il diritto al riposo settimanale esclusivamente nella misura in cui abbia effettivamente prestato la sua attività lavorativa per cinque giorni”.
Sul punto Amendola è tranchant: “Ritiene il giudicante che neanche il più acuto sforzo ermeneutico autorizzi una simile conclusione. Non v’è, infatti, nelle disposizioni citate argomento letterale che conduca all’interpretazione qui non condivisa”.