In primo grado il Mattino
batte il giudice Esposito

AVEVA DAVANTI una questione rognosa il giudice Pietro Lupi della quarta sezione civile del tribunale di Napoli: la citazione da due milioni di euro di risarcimento danni per diffamazione presentata da Antonio Esposito, giudice di Cassazione ora in pensione, contro il Mattino, il direttore Alessandro Barbano e Antonio Manzo, autore dell’articolo contestato. E l’ha risolta con una sentenza di trentasei pagine depositata il 15 gennaio con la quale stabilisce che il Mattino non ha diffamato Esposito, perciò “rigetta le

domande” del magistrato e “compensa le spese tra le parti”.
La notizia viene diffusa dall’agenzia Ansa il 25 gennaio e pubblicata con comprensibile enfasi dal Mattino che il 26 la colloca nella fascia alta di prima pagina.
Facciamo ora un passo indietro. La vicenda risale all’estate del 2013: il 30 luglio la seconda sezione penale della Cassazione, presieduta da Esposito, rende definitiva la condanna di Silvio Berlusconi

Antonio Esposito

per il processo Mediaset; il 6 agosto il Mattino pubblica un’intervista al magistrato firmata da un giornalista con il quale è in rapporti di amicizia da molti anni, Antonio Manzo. Questa la presentazione: “Silvio Berlusconi non è stato condannato ‘perché non poteva non sapere’ ma ‘perché sapeva’: era stato informato del reato”. Così il giudice Antonio Esposito, presidente della sezione feriale della Cassazione spiega la sentenza di condanna per il Cavaliere in una intervista esclusiva al Mattino
È una bomba, ripresa da tutti gli organi di informazione in Italia e anche all’estero, perché nell’udienza del 30 luglio è stato letto il dispositivo, ma devono ancora essere scritte le motivazioni. L’intervistato contesta il titolo e il contenuto dell’articolo e intanto si trova travolto da una bufera mediatica, alimentata soprattutto dai giornali di centro-destra, ed è destinatario di un’azione disciplinare, che si chiuderà soltanto nel marzo 2015 quando la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura lo assolveràda tutte le incolpazioni”.  
Sono soprattutto due i punti sui quali ha insistito Esposito, assistito dagli avvocati Franco e Alfredo Iadanza e Alessandro Biamonte, mentre editore, direttore e autore sono difesi da Francesco Barra Caracciolo: il testo pubblicato è diverso da quello che, come concordato, gli era stato

Antonio Manzo

inviato via fax; a sua insaputa, prima della pubblicazione è stata inserita nell’intervista  una nuova domanda (“Non è questo il motivo per cui si è giunti alla condanna? E quale è allora?”). Lupi conferma la fondatezza dei rilievi che esamina punto per punto: “Esposito non sapeva che l’intervista fosse registrata”; “l’inserimento della domanda conferisce all’articolo una valenza del tutto diversa”; “anche le virgolette del titolo

non erano contenute nella bozza inviata a Esposito” che quella frase non l’aveva “così esattamente pronunciata”.
L’estensore aggiunge che le violazioni deontologiche “possono rilevare in sede disciplinare”, ma ritiene che “l’operazione di editing” fatta dall’autore e dal direttore “è sostanzialmente fedele al senso delle dichiarazioni” rese da Esposito e che quindi è stato esercitato correttamente il diritto di cronaca. 
Questione chiusa quindi? Sembra proprio di no. “Presenteremo certamente appello, – assicura l’avvocato Biamonte – perché nella sentenza ci sono profili contraddittori e passaggi non chiariti. Non a caso le conclusioni del giudice Lupi vanno in direzione esattamente opposta rispetto a quelle del Consiglio superiore della magistratura”.